Sandra Rizza
L’aveva detto vent’anni fa e adesso lo ripete: “Il vecchio Bernardo Mattarella, padre del capo dello Stato, mi fu presentato come uomo d’onore di Castellammare del Golfo”. E aggiunge: “Me lo presentò tra il ’63 e il ’64 il dc Calogero Volpe, affiliato alla famiglia di Caltanissetta, che aveva uno studio a Palermo”. Franco Di Carlo, il pentito che per trent’anni ha fatto da ponte tra Stato e mafia, torna ad accusare il vecchio patriarca democristiano, scomparso nel 1971, che per un decennio (’53-’63) fu ministro della Marina, dei Trasporti, del Commercio, delle Poste e dell’Agricoltura.
L’ultimissimo verbale, datato 3 marzo 2016, arriva con il potenziale di una bomba nel processo civile che Sergio Mattarella e i suoi nipoti, Bernardo jr e Maria, hanno intentato nei confronti del giornalista Alfio Caruso e della Longanesi, autore e casa editrice del volume Da Cosa nasce cosa: accusati dall’inquilino del Quirinale di aver “infangato la figura di Mattarella padre”, e di aver raccontato in “maniera grossolana” i rapporti politici del fratello Piersanti, il presidente della Regione siciliana ucciso da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980.
Nei mesi scorsi, il capo dello Stato e i suoi nipoti, che chiedono al giornalista un risarcimento di 250 mila euro, hanno rifiutato una proposta di conciliazione che avrebbe chiuso la causa con la pubblicazione di una nota “riparatoria” sul sito della Longanesi. E ora, se il giudice civile Enrico Catanzaro deciderà di acquisire il nuovo interrogatorio di Di Carlo agli atti del fascicolo processuale, lo scontro giudiziario pare destinato ad arroventarsi.
Cosa dice il pentito di Altofonte? “In quei primi anni Sessanta, nei paesi in Cosa Nostra entravano le persone migliori. Così era capitato anche a Bernardo Mattarella che era un giovane avvocato perbene. Ciò era avvenuto anche nell’ambito della famiglia della moglie, Buccellato, che aveva al suo interno sia esponenti di Cosa Nostra, sia esponenti delle istituzioni, perfino un magistrato”. Poi aggiunge: “In epoca successiva, per evitare di essere attaccato come mafioso, Bernardo si allontanò da Cosa Nostra: il boss di Trapani, Nicola Buccellato, mi raccontò che si era allontanato a causa del sequestro di un suo figlioccio, rapito dalla mafia. Ma in realtà si era allontanato prima, perché Cosa Nostra stava cambiando e Mattarella non condivideva quei cambiamenti”.
A far parlare il pentito di Altofonte, che iniziò a collaborare nel ‘96 e oggi vive sotto falsa identità tra Londra e una città del Nord Italia, stavolta non è un magistrato, ma un avvocato: Fabio Repici, difensore di Caruso, che nei giorni scorsi ha chiesto e ottenuto dal Servizio centrale di protezione il permesso di interrogare Di Carlo, nell’ambito di un’indagine preventiva difensiva: una prerogativa concessagli dal codice (art. 391 c.p.p.) e scaturita dalla preoccupazione di un nuovo procedimento, dopo che l’avvocato di Mattarella, il civilista Antonio Coppola, aveva annunciato nell’ultima udienza di riservarsi “ogni azione nelle sedi competenti” per contrastare le fughe di notizie sui giornali. Registrata la nuova testimonianza di Di Carlo, poi riassunta in un verbale di cinque pagine, Repici l’ha depositata presso la cancelleria della prima sezione civile di Palermo, chiedendone l’acquisizione.
Nei mesi scorsi, infatti, il giudice Catanzaro aveva rigettato sia l’istanza di sentire in aula il pentito di Altofonte, sia quella di convocare il capo dello Stato per sapere se la madre, Maria Buccellato, “fosse legata da vincoli di parentela con alcuni mafiosi di Trapani”. Una tesi, quest’ultima, respinta dall’avvocato Coppola che ha sempre definito “un marchiano errore di persona” il collegamento tra la donna e i Buccellato mafiosi: il legale ha anche prodotto in aula una documentazione anagrafica che manifesta “l’assoluta diversità di tempo, di famiglie genitoriali e di famiglie di coniugi tra Antonino Buccellato (nonno materno di Sergio Mattarella, ndr) e l’omonimo mafioso trapanese” di Castellammare del Golfo. Nel ’66 Volpe e Bernardo Mattarella querelarono il sociologo Danilo Dolci che aveva scritto della loro contiguità con Cosa nostra. Dolci fu poi condannato per diffamazione dal tribunale di Roma.
Ma ora Di Carlo, che la Corte d’assise di Trapani nella sentenza Rostagno ha definito pienamente attendibile, riporta a galla i suoi ricordi, tra cui alcuni incontri con il vecchio Bernardo: “Insieme a Volpe, ebbi occasione di andare alcune volte a casa di Mattarella, in una piazzetta, forse Virgilio o Isidoro Siculo”. E, a distanza di mezzo secolo, coglie nel segno: l’abitazione del politico all’epoca era proprio in via Segesta, traversa di piazza Virgilio, nel centro di Palermo.
31 Marzo 2016
Il libro “Da cosa nasce cosa” (Longanesi) è uscito nel 2000, ma la querela è scattata solo nel 2009, con una richiesta di risarcimento danni da 250 mila euro. L’episodio controverso dello sbarco in Italia del mafioso Joe Bonanno…
di Sandra Rizza per “Il Fatto Quotidiano”
Bernardo Mattarella
Il vecchio patriarca della Dc Bernardo Mattarella? “Viveva per il potere, mescolava spregiudicatezza ai buoni sentimenti, stringeva mani lorde di sangue”. Suo figlio Piersanti, ucciso dalla mafia il 6 gennaio dell’80? “Non avrebbe potuto prescindere dal proprio cognome e dal passato della propria famiglia”. Per aver raccontato la saga dei Mattarella, i Kennedy di Sicilia, in un capitolo del suo libro Da cosa nasce cosa (Longanesi, 2000), il giornalista e scrittore catanese Alfio Caruso è stato citato in giudizio con una richiesta di risarcimento di 250mila euro. A trascinare Caruso davanti al Tribunale civile di Palermo è proprio il figlio di Bernardo, Sergio Mattarella, da ieri nuovo capo dello Stato, e i nipoti Bernardo e Maria, che lo accusano di aver “infangato la figura di Mattarella padre” e di aver ricostruito “in maniera grossolana” i rapporti politici di Piersanti.
Caruso, ma cosa ha scritto per far infuriare i Mattarella?
Sono il primo ad avere il privilegio di essere chiamato in giudizio per aver riportato vicende che tutti prima di me avevano già scritto. È come se per trent’anni i Mattarella si fossero rifiutati di leggere qualsiasi libro o giornale e si fossero svegliati all’improvviso.
Come si sente a essere citato in giudizio dal capo dello Stato?
Spero che, senza dover andare a Berlino, ci siano dei giudici anche in Italia. Stabiliranno loro se ho diffamato l’ex ministro Bernardo e suo figlio Piersanti o se invece sono stati Sergio Mattarella e i suoi nipoti ad avventurarsi in una lite temeraria.
Da cosa nasce cosa è del 2000. Perché i Mattarella hanno aspettato il 2009 per depositare l’atto di citazione?
Sostengono di aver letto il libro solo nel 2009. All’epoca ci fu un grande battage pubblicitario. Ma a quanto pare nessuno di loro ha saputo nulla. Lei ci crede? Nessuno può mettere in dubbio le parole del presidente della Repubblica.
Partiamo dalla vicenda di Joe Bonanno: il capo della mafia italo-americana scrisse nella sua autobiografia che nel ’57, quando sbarcò a Ciampino, fu accolto personalmente dal ministro Bernardo Mattarella. La famiglia sostiene che è una menzogna.
I Mattarella si svegliano di colpo solo alla morte di Joe Bonanno, scomparso nel 2002: prima, la famiglia non ha mai avuto nulla da obiettare. Eppure, Enzo Biagi per due volte, il 13 marzo del ’92 e il 15 agosto del ’98, sul Corriere della Sera, racconta l’accoglienza di Mattarella a Ciampino. Lo scrive anche Attilio Bolzoni sulla prima pagina di Repubblica il 25 ottobre del 2000. Eppure mai, finché Bonanno fu in vita, la famiglia pensò di querelarlo né di chiedere una smentita.
Cosa vuole insinuare? Che, morto Bonanno, i Mattarella hanno riscritto la storia?
Loro sostengono che il 13 settembre del ’57 il vecchio Bernardo era a Palermo, ma la data dell’arrivo a Ciampino di Bonanno è controversa: il 15, il 16 o il 28 settembre. E anche se il boss fosse arrivato a Roma il 13, nulla impediva al vecchio patriarca dc di essere la mattina a Roma e il pomeriggio a Palermo.
È vero che l’atto di citazione dei Mattarella è partito contestualmente a una querela presentata dagli 8 figli del ministro dc Franco Restivo, conclusa con un’archiviazione?
Sì, verissimo, e la sentenza penale riconosce che tutto quello che ho scritto su Franco Restivo è vero.
Come spiega questa coincidenza temporale?
Avranno fatto una rimpatriata, una riunione di vecchie famiglie di ex dc e avranno detto: vediamo un po’ cosa fare.
Tra le contestazioni dei Mattarella ci sono le accuse di collusioni mafiose rivolte al vecchio Bernardo che sarebbero tratte dal dossier di Danilo Dolci del 1965. Ma Dolci fu condannato per diffamazione…
Dolci non è tra le mie fonti. Le vicende relative alle frequentazioni di Mattarella con esponenti mafiosi della zona di Castellammare, le ho attinte dal volume Raccolto Rosso di Enrico Deaglio che a sua volta aveva consultato gli atti della Prima Commissione Antimafia (’76). Nessuno ha querelato Deaglio, che tra l’altro ha ripubblicato tranquillamente il suo libro nel 2010.
E il ritratto di Piersanti? L’accusano di aver diffamato persino il presidente della Regione siciliana ucciso dalla mafia nell’80…
Piersanti è un signore che viene fuori da una storia familiare controversa. Tanto di cappello per quello che è stato poi l’approdo finale, straordinario, della sua vita. Ma anche Carlo Alberto Dalla Chiesa in un’intervista a Giorgio Bocca, ricordò da dove veniva Piersanti. Sono fatti. Nessuno è mai stato querelato prima di me per averli raccontati.
Sembra proprio che i Mattarella ce l’abbiano con lei. Perché?
Gli sarò simpatico.
1 feb 2015
Il pentito Di Carlo accusa: ”Il padre di Mattarella? E’ uomo d’onore”
- di Aaron Pettinari
- La dichiarazione in un verbale depositato in una causa per diffamazione del cronista Alfio Caruso“Il vecchio Bernardo Mattarella, padre del capo dello Stato, mi fu presentato come uomo d’onore di Castellammare del Golfo. Me lo presentò tra il ’63 e il ’64 il dc Calogero Volpe, affiliato alla famiglia di Caltanissetta, che aveva uno studio a Palermo”. A parlare della dichiarazione dirompente del collaboratore di giustizia, Francesco Di Carlo, è stato ieri Il Fatto Quotidiano. Le nuove accuse emergono in un nuovo verbale, datato 3 marzo 2016 in cui l’ex boss di Altofonte ribadisce alcune dichiarazioni già rese negli anni Novanta. Il documento potrebbe essere acquisito al processo, che si celebra in sede civile, intentato da Sergio Mattarella ed i suoi nipoti, contro il giornalista Alfio Caruso. La famiglia del Capo dello Stato ha accusato il giornalista e la Longanesi, autore e casa editrice del volume “Da Cosa nasce cosa” di aver “infangato la figura di Mattarella padre”, e di aver raccontato in “maniera grossolana” i rapporti politici del fratello Piersanti, il presidente della Regione siciliana ucciso da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980.
Per questo motivo hanno chiesto un risarcimento pari a 250mila euro, rifiutando una proposta di conciliazione che avrebbe chiuso la causa con la pubblicazione di una nota “riparatoria” sul sito della Longanesi. Il verbale, depositato dal legale di Caruso, Fabio Repici, verrà quindi valutato dal giudice civile Enrico Catanzaro.
Proprio Repici nei mesi scorsi (in base alla regola delle indagini difensive) ha chiesto ed ottenuto il permesso al Servizio centrale operativo di interrogare Di Carlo. Il pentito gli ha raccontato, come riporta Il Fatto Quotidiano, che “in quei primi anni Sessanta, nei paesi in Cosa nostra entravano le persone migliori. Così era capitato anche a Bernardo Mattarella, che era un giovane avvocato perbene. Ciò era avvenuto anche nell’ambito della famiglia della moglie Buccellato, che aveva al suo interno sia esponenti di Cosa Nostra, sia esponenti delle Istituzioni, perfino un magistrato”. E poi ancora: “Insieme a Volpe (un vecchio democristiano che il pentito sapeva essere affiliato alla famiglia mafiosa nissena, ndr), ebbi occasione di andare a casa di Mattarella in una piazzetta, forse Virgilio o Isidoro Siculo”. Che in realtà sarebbe Diodoro Siculo, una piazza palermitana a poca distanza dalla quale, scrive Il Fatto Quotidiano, c’era proprio l’abitazione di Bernardo Mattarella.
Nei mesi scorsi il giudice civile ha rigettato l’istanza di sentire in aula Di Carlo, sia quella di convocare Sergio Mattarella per sapere se la madre, Maria Buccellato, fosse legata a personaggi della mafia trapanese. L’avvocato Coppola, che è legale di Mattarella, ha sempre sostenuto che il nonno materno di Sergio Mattarella, Antonio Buccellato, era solo omonimo di un mafioso trapanese. Nel merito avrebbe anche presentato della documentazione.
Eppure non è la prima volta che emergono delle accuse nei confronti di Bernardo Mattarella (vecchio patriarca democristiano, scomparso nel 1971, che tra il ’53 ed il ’63 fu ministro della Marina, dei Trasporti, del Commercio, delle Poste e dell’Agricoltura).
Anche il sociologo Danilo Dolci nel ’66 aveva scritto riguardo ai rapporti con Cosa Nostra di Mattarella padre e Calogero Volpe, che era l’uomo più potente della Dc di Caltanissetta, e così venne querelato e condannato per diffamazione dal tribunale di Roma.
Proprio Volpe non era insolito a trascinare giornalisti e scrittori in tribunale. Lo fece anche con Michele Pantaleone che sul giornale L’Ora lo aveva definito mafioso. In quell’occasione però la sentenza – eravamo alla fine degli anni Sessanta – fu clamorosa. Pantaleone fu assolto, e così tutti potevano scrivere che Volpe era un mafioso. Ora ci sono le nuove accuse di Di Carlo, che la Corte d’assise di Trapani nella sentenza Rostagno ha definito pienamente attendibile, e che riporta a galla i suoi ricordi. Oggi l’avvocato Antonio Coppola ha scritto una lettera al Fatto Quotidiano definendo “fantasiose” le dichiarazioni del pentito. Nella controreplica del giornale, però, si sottolinea giustamente come “nel pubblicare alcuni stralci di quel verbale, depositato a disposizione delle parti processuali, ci siamo limitati a esercitare il nostro diritto-dovere di cronaca”.Ma forse è proprio questo diritto-dovere che è più temuto dai potenti.In foto: Sergio Mattarella con il padre Bernardo nel 1963 (© Archivio Riccardi) - 01 Aprile 2016
Il legale di Mattarella contro Di Carlo: ”E’ inattendibile”
Riceviamo e pubblichiamo la lettera dal Quirinale
di Antonio Coppola
Egregio Direttore,
nell’interesse dei familiari dell’on. Bernardo Mattarella, deceduto nel 1971, rappresento quanto segue, in relazione all’articolo a firma Sandra Rizza, pubblicato il 31 marzo 2016.
Con sentenza del 21 giugno1967 il Tribunale di Roma, pronunciandosi su una querela per diffamazione presentata dall’on. Bernardo Mattarella, ha affermato che lo stesso “ha portato a conoscenza del Tribunale, obiettivamente documentandolo, l’atteggiamento di insuperabile contrarietà alla mafia, assunto e mantenuto nel corso di tutta la sua carriera politica“.
Nella stessa sentenza – confermata dalla Corte di Appello di Roma il 7 luglio 1972 e dalla Corte di Cassazione il 26 giugno 1973- si pone in evidenza “la diversità delle sedi, parlamentare, giornalistica, elettorale, in cui il Mattarella ha espresso sempre in modo inequivoco la sua condanna del fenomeno mafioso e la coerenza alla quale sin dall’inizio e poi per tutto l’arco della sua vita politica, ha saputo improntare tale atteggiamento” e si sottolinea che egli non è “mai entrato in contatto con l’ambiente mafioso da lui, invece, apertamente e decisamente osteggiato nel corso di tutta la sua carriera politica”.
L’avv. Repici, difensore del Caruso in questo giudizio, pur di ritardare la conclusione del giudizio, ricorre alle millanterie attribuite al Di Carlo, raccogliendo presunte dichiarazioni in maniera decisamente anomala ed irrituale, sulla base di un processo penale che non esiste, e nonostante il Giudice della causa attualmente in corso avesse già rigettato la richiesta di testimonianza dello stesso Di Carlo.
Abbiamo provveduto a verificare, agli atti non ancora pubblici del giudizio civile, ormai alle conclusioni, l’intera dichiarazione attribuita al Di Carlo e va detto che si tratta di una somma di palesi fandonie, facilmente confutabili, con significative differenze tra il verbale sintetico e il testo integrale delle dichiarazioni. E’, inoltre, davvero significativo che nelle sue affermazioni il Di Carlo citi sempre persone decedute (dato che chi è in vita potrebbe smentire).
Grottesca l’affermazione che un tempo “i migliori entravano in Cosa Nostra, in modo fisiologico, anche da persone per bene”. Questa inverosimile visione buonista della mafia è formulata per consentire di dire che Bernardo Mattarella “persona per bene” si sarebbe avvicinato alla mafia di Castellammare del Golfo in quanto vi svolgeva la professione di avvocato e le persone anche per bene di un certo peso sociale entravano inevitabilmente nell’ambito della mafia. Il Di Carlo ignora evidentemente che Bernardo Mattarella ha svolto la sua professione di avvocato, sin dall’inizio, a Palermo, dove trasferì anche la propria residenza non ancora trentenne.
Ma, va aggiunto, “nei primi anni sessanta” Bernardo Mattarella, nato nel 1905, non era un “giovane avvocato di Castellammare del Golfo”, avendo fatto parte dei primi due Governi del Comitato di Liberazione Nazionale nel 1944-45 ed essendo in Parlamento, sin dalla Consulta Nazionale del 1945 e dall’Assemblea Costituente, e successivamente facendo parte del Governo.
Aggiunge il Di Carlo che i mafiosi di Castellammare del Golfo avrebbero considerato “successivamente contrario a loro” Bernardo Mattarella (in realtà da sempre: già alle elezioni comunali di quella cittadina, nel 1946 e quindi nel 1958-59, quegli ambienti mafiosi avevano promosso liste civiche e alleanze con gli altri partiti contro la Democrazia Cristiana di Bernardo Mattarella). Questi, secondo la narrazione del Di Carlo –di provincia diversa da quella di Castellammare- si sarebbe allontanato da quegli ambienti a seguito del rapimento del proprio figlioccio Caruso (Antonio), figlio dell’industriale del marmo. Ebbene, il dott. Antonio Caruso, come accertato dalla sentenza del Tribunale di Palermo del 3 ottobre 2013 n. 4089/2013, e come testimoniato dallo stesso in quel giudizio, non era affatto figlioccio di Bernardo Mattarella ed il suo rapimento avvenne pochissimi giorni prima della morte di Bernardo Mattarella, che si trovava ricoverato in clinica, a Roma, per la seconda volta a causa della sua malattia.
Va sottolineato anche che il Di Carlo afferma di avere incontrato, nel ’63-’64, quando aveva poco più di venti anni, l’on. Bernardo Mattarella nell’abitazione di questi a Palermo in piazza “Isidoro” Siculo o in piazza Virgilio, recapiti dove questi non ha mai abitato. Peraltro, dal 1948, Bernardo Mattarella viveva a Roma.
Afferma il Di Carlo, in maniera confusa, approssimativa e contraddittoria, che la famiglia della moglie di Bernardo Mattarella, chiamandosi Buccellato – pur essendo molte le famiglie con questo cognome, con magistrati, insegnanti, professionisti, e così via – siccome esisteva in quella cittadina anche un mafioso con questo cognome, doveva necessariamente avere con costui un collegamento. In realtà il cognome Buccellato è tra i più diffusi dell’intera provincia di Trapani, con nuclei familiari senza alcun rapporto di parentela e che nulla hanno a che vedere fra di loro.
Come si vede il Di Carlo non sa nulla della vita di Bernardo Mattarella.
Afferma, inoltre, il Di Carlo di aver incontrato Piersanti Mattarella “da ragazzo” e che lo incontrava anche “all’epoca dell’Università, in occasione di feste di ambiente universitario”. Ebbene, Piersanti Mattarella dal 1948 viveva ed ha studiato (ginnasio, liceo e università) a Roma, dove si è laureato: è quindi impossibile che il Di Carlo peraltro di sei anni più giovane, possa averlo conosciuto allora.
Aggiunge il Di Carlo che incontrava Piersanti Mattarella ogni anno alla festa che la Principessa di Ganci organizzava nel castello di Solunto e cui avrebbero sempre partecipato prefetti e questori. Anche qui tocca il ridicolo: Piersanti Mattarella si è recato nel castello di S. Nicola l’Arena (e non di Solunto) una sola volta, con i suoi familiari, in occasione di un famoso concerto di Fred Bongusto, come molti altri spettatori paganti. Va aggiunto che la Principessa di Ganci era morta da molti anni!
Ma anche nell’altro articolo della stessa pagina del vostro giornale vi è un’ennesima prova dell’inattendibilità del Di Carlo: affermare, come questi fa, che a provocare involontariamente l’assassinio di Piersanti Mattarella sarebbe stata una presunta confidenza fatta dal Procuratore Pajno per notizie ricevute nella sua qualità di Procuratore della Repubblica di Palermo, si scontra con la realtà. Come è scritto nel vostro stesso articolo, il dott. Pajno ha ricoperto quel ruolo “dalla fine del ‘80 al ‘87” e Piersanti Mattarella, com’è ampiamente noto, è stato assassinato il 6 gennaio 1980, quando Procuratore della Repubblica di Palermo era Gaetano Costa, anch’egli successivamente assassinato.
Davvero singolare questo cosiddetto collaboratore di giustizia che, con tanta disinvoltura, maltratta persino il calendario su tanti punti di queste sue presunte dichiarazioni, fantasiose e – si ripete – incerte e contraddittorie.
Per tutte queste ragioni i familiari dell’On.le Bernardo Mattarella mi hanno conferito l’incarico di tutelare in sede giudiziaria la memoria del loro congiunto, nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, in relazione all’articolo apparso questa mattina sul giornale da lei diretto.
Distinti saluti.
Antonio Coppola
Legale famiglia Mattarella
02 Aprile 2016
Bernardo Mattarella, l’attendibilità del pentito e le conoscenze siciliane
di Fabio Repici
Caro Direttore, come difensore dello scrittore Alfio Caruso, preciso quanto segue, al riguardo della lettera dell’avv. Coppola, legale del Presidente Mattarella, pubblicata oggi:
1) il difensore del Capo dello Stato ha spiacevolmente scritto che io “pur di ritardare la conclusione del giudizio” (dei Mattarella contro Caruso e la società Longanesi) avrei fatto ricorso “alle millanterie attribuite al Di Carlo, raccogliendo presunte dichiarazioni in maniera decisamente anomala ed irrituale, sulla base di un processo penale che non esiste”. Ma il collega sa che ho raccolto dal pentito Francesco Di Carlo, ai sensi dell’art. 391-nonies cpp, le dichiarazioni riportate nei verbali che ho depositato al Tribunale di Palermo e che come sa sono state registrate (inclusa la verbalizzazione riassuntiva, ricompresa nell’integrale, e quindi è lunare sostenere differenze fra l’una e l’altra). Le indagini difensive sono previste “per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”. Poiché era stato l’avv. Coppola all’ultima udienza, dolendosi di articoli riportanti anche dichiarazioni del mio assistito, ad annunciare azioni, il verbale di Di Carlo è pure merito suo. La lettera annuncia ulteriori iniziative giudiziarie: di nuovo ricorrono i presupposti per altre indagini difensive;
2) nel citare la sentenza del 1967 del Tribunale di Roma come certificazione della presunta antimafiosità dell’on. Mattarella sr, l’avv. Coppola ha omesso di dire che il condannato per diffamazione fu Danilo Dolci e che a querelare Dolci insieme a Mattarella era stato l’on. Volpe. Questi, mafioso di Caltanissetta, fu proprio colui che, secondo Di Carlo, gli presentò Mattarella come uomo d’onore del clan di Castellammare. I tanti pentiti che hanno parlato di Mattarella sr arrivarono ben dopo quella sentenza, cosicché su di essa è ormai tempo di fare qualche pubblica riflessione;
3) l’avv. Coppola definisce “fandonie” le parole di Di Carlo. Opinione legittima e diametralmente opposta alla mia. Poi ci sono i fatti. Di Carlo ha parlato di Mattarella come giovane avvocato di Castellammare quando quest’ultimo era entrato in Cosa Nostra, non “nei primi anni sessanta”. Nel 1935 Bernardo sr era un giovane avvocato di Castellammare, dove in quell’anno nacque il figlio Piersanti. Poi si trasferì a Palermo e lì Di Carlo sostiene di averlo conosciuto, nella abitazione dei Mattarella, indicata da Di Carlo con precisione millimetrica. Al palazzo di via Segesta 9 a Palermo ci sono persone che possono confermare;
4) in quegli anni Piersanti Mattarella era ricercatore universitario a Palermo e iniziava dal Comune la sua carriera politica. Di Carlo, che frequentava un amico di alto lignaggio come Alessandro Vanni Calvello, non aveva difficoltà a incrociare Piersanti Mattarella. E, dopo, a ricevere al Castello di Trabia, dove gestiva un noto locale, Piersanti Mattarella e tanti altri;
5) per Vanni Calvello e per la madre, principessa di Gangi, notoriamente organizzatrice di feste charmant all’altro castello di Solunto, Di Carlo era davvero uno di famiglia. Sulla principessa di Gangi l’avv. Coppola è stato un po’ frettoloso, visto che la nobildonna morì nel 1995, non trent’anni prima, secondo l’erroneo calendario del difensore dei Mattarella;
6) Di Carlo, come molti prima di lui, ha riferito dei legami fra Mattarella sr e l’industriale alcamese Caruso. Ha indicato il figlio di questi come “figlioccio” del politico con il proprio frasario, non evocando rapporti da sacramenti religiosi. Sul distacco del vecchio Mattarella da Cosa Nostra, Di Carlo, con benevolenza, l’ha motivato con una dissociazione dell’ex ministro dalla mutazione che avrebbe connotato in peggio Cosa Nostra. Questo, sì, è buonismo, ma si può concedere a Di Carlo un eccesso di zelo nel rispetto, che mi è parso più che genuino, per la famiglia Mattarella;
7) è vero che nel 1979 il capo della Procura di Palermo era Costa ma è pure vero che Pajno ne era uno dei componenti più autorevoli. È noto però che dei cugini Salvo non era certo amico Costa ma proprio Pajno, come sostenne già Rocco Chinnici.
Si vedrà se il Capo dello Stato, come preannunciato dal suo legale, agirà contro le dichiarazioni Di Carlo, oggi più dettagliate ma rese anche in passato. Stupisce non l’abbia molti anni fa, alle analoghe rivelazioni di Di Carlo ai magistrati palermitani o all’uscita di un libro con dichiarazioni di tenore simile. Ci sarebbe quasi da sperarci. Peraltro, sull’attendibilità di Francesco Di Carlo, oltre a numerose sentenze, si sono sempre positivamente espressi i magistrati oggi al vertice del distretto giudiziario di Palermo.
Fabio Repici
difensore di Alfio Caruso
2 aprile 2016