Nell’articolo, sottostante, de il Manifesto, di Saverio Ferrari, vi è la ricostruzione di una realtà milanese che ha dato alla luce negli anni passati a strutture che, apparentemente, sono state smantellate come Gladio.
Una delle tante domande che ci eravamo posti diversi anni fa (12 aprile 2012) con il post dal titolo “Dens dŏlens 53 – Dopo aver visto il film su Piazza Fontana…” in cui concludevamo con la seguente frase: ”
“E vista l’estrazione politica di molti “padani” che avevano, in passato, aderito, a movimenti dell’estrema destra, come Ordine Nuovo, può essere considerato pura coincidenza il fatto che uno dei protagonisti della strategia della tensione, coinvolto per la bomba di piazza Fontana, abiti da anni a meno di 100 metri dalla sede leghista di via Bellerio?””
Perché concludevamo con questo dubbio?
Perché quando le coincidenze del sottobosco della destra sembra camminare di pari passo con altrettanti irrisolti episodi del nostro recente vissuto, vuol dire che la casualità non è, poi, così accidentale. Si potrebbe pensare, invece, che non sia solo, semplice, sfortuna ma, anzi…
Facciamo due brevissimi esempi di queste “casualità” per cui ci siamo posti altre lecite domande.
Com’è possibile che a pochi passi dalla sede centrale della Lega e dalla villletta di via Brusuglio, citata nell’articolo sottostante, ci sia un’attività commerciale che abbia dato preoccupazioni all’ANPI, e richiamati nel Consiglio di Zona 9, per evidenti simpatie al fascismo?
E, ancora.
Com’è possibile che, con tanti alloggi che il mercato immobiliare milanese propone, l’esponente di punta della Lega Nord compri un alloggio, proprio, in via Bligny 42 dove ci sono state (?!) sedi di equivoche strutture nell’oscuro passato della strategia della tensione?
Un’incomprensibile acquisto immobiliare dell’esponente della Lega vista, anche, la sua mozione presentata in Consiglio comunale, il 18 novembre 2011. (http://issuu.com/matteosalvinimi/docs/mozione_su_viale_bligny?e=0).
MOWA
All’ombra di Gladio
Storie. Nell’intrigo di cimiteri, bombe e bombaroli che in Italia sta dietro alla vicenda «Stay Behind» si nascondono anche le prove che non furono mai resi pubblici alcuni dei ritrovamenti di depositi di armi effettuati dopo lo scioglimento del piccolo esercito segreto, una struttura armata organizzata e finanziata dalla Cia che Francesco Cossiga andava fiero di aver contribuito a creare
di Saverio Ferrari
Via Brusuglio è una traversa di via Pellegrino Rossi, nel cuore di Affori, quartiere all’estremo nord di Milano confinante con Brusuglio, frazione del comune di Cormano.
Da queste parti diverse sono le storie che hanno visto protagonisti bombaroli e gladiatori. Quella più nota ebbe come teatro, nel novembre del 1990, il cimitero di Brusuglio, fino ad allora conosciuto solo per aver dato sepoltura ai familiari di Alessandro Manzoni.
I depositi segreti
Siamo all’epoca della “scoperta” di Gladio, ovvero dell’esistenza, per quasi quarant’anni, di una struttura armata segreta composta da civili e militari, costituita allo scopo di contrastare, in caso di invasione sovietica, l’Armata rossa. A rivelarlo fu l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti con una relazione, il 18 ottobre 1990, alla Commissione stragi. Questa struttura, creata il 28 novembre 1956, a seguito di un accordo tra il nostro servizio segreto militare, il Sifar (Servizio informazioni forze armate) e la Cia statunitense, nell’ambito dell’allestimento in tutti i Paesi dell’Alleanza atlantica di organizzazioni simili, assunse il nome convenzionale di Stay Behind («Stare dietro»), mentre la specifica rete italiana fu chiamata Gladio. A livello politico gli unici ad essere informati della sua esistenza erano stati i presidenti del Consiglio e i ministri della Difesa.
Una rivelazione fragorosa
La rivelazione ebbe una risonanza a dir poco fragorosa dando avvio a uno scontro politico e istituzionale senza precedenti che portò, tra l’altro, alla richiesta di impeachment nei confronti dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che aveva orgogliosamente rivendicato, in quanto sottosegretario alla Difesa dal 1966 al 1970, il suo «concorso» alla formazione di Gladio. Una bufera che fu al centro di moltissime sedute della Commissione stragi e spinse ben cinque procure a istruire procedimenti giudiziari su possibili deviazioni eversive.
Piccolo esercito clandestino
Gladio, che fu formalmente sciolta, anche a seguito di queste accuse, il 27 novembre 1990, con un decreto dell’allora ministro della Difesa Virginio Rognoni, si dotò di un piccolo esercito clandestino e di un centro di addestramento in Sardegna, a Capo Marragiu, vicino Alghero, totalmente finanziato dagli americani. Qui vennero inviati consistenti armamenti, contenuti in speciali involucri infrangibili, che a partire dal 1963 furono interrati in appositi nascondigli con il nome convenzionale di Nasco, quasi tutti localizzati nel Nordest, spesso in chiesette, cimiteri o camere mortuarie. Ben 139 depositi segreti con armi portatili, munizioni, bombe ed esplosivo plastico C4.
Uno dei Nasco, come relazionato da Giulio Andreotti, composto da tre cassette metalliche, con esplosivi, bombe a mano, armi, munizioni e macchine fotografiche, fu posto, il 10 luglio 1963, tra gli undici collocati in Lombardia, proprio nel cimitero di Brusuglio. Il suo dissotterramento fu un caso.
In base ai documenti dei servizi segreti i contenitori dovevano trovarsi vicino a un muro nel frattempo abbattuto per ampliare il cimitero.
Sotto la supervisione dei carabinieri, con la collaborazione dei tecnici del comune e l’uso di metal detector, si scavò a fine novembre 1990 per più giorni tra le tombe, a cancelli chiusi, suscitando non poche apprensioni tra i parenti dei defunti. Non fu trovato nulla.
Diverse le ipotesi, tra le altre, che le armi fossero già state dissepolte, non si sa bene da chi, o, come disse qualcuno, nascoste magari nella cava di via Moneta, dove una volta c’era «il cimitero vecchio di Brusuglio».
Due cassette, due becchini
In realtà un grosso quantitativo di esplosivo era già stato rinvenuto, nell’estate del 1964, nell’altro camposanto di Cormano, a circa un chilometro di distanza dalla frazione di Brusuglio. Se ne occupò in due articoli Il Corriere della Sera il 20 agosto e il 2 settembre successivo che parlò di «bare al plastico». Due, infatti, furono i ritrovamenti ad opera di due becchini.
Le cassette erano identiche, 25x25x30 centimetri, contenenti «tritolo, gelatina, petardi, bombe incendiarie, micce e detonatori», per «circa sei chilogrammi», con tanto di «foglietto con l’istruzione per l’uso», «sepolti» come da accertamenti dei carabinieri «dopo il 25 aprile 1945». Furono gli stessi carabinieri a far brillare il tutto. Due i cimiteri, dunque.
Agli inizi di febbraio del 1991 arrivò anche l’intervista rilasciata a Radio Popolare da parte di un ex dipendente di un’impresa di pompe funebri che sostenne che in tre occasioni, tra il 1963 e il 1974, i necrofori del cimitero di Brusuglio, mentre scavavano fosse per l’inumazione, avessero rinvenuto casse di color verde militare piene di armi. Una decina in totale che non vennero denunciate all’autorità, ma affidate all’addetto alla nettezza urbana del cimitero che se ne disfò scaricandoli in una cava con altri rifiuti.
Il ritrovamento accidentale
Improvvisamente, poi, il 12 ottobre 1999, a Brusuglio un contadino accidentalmente fece riaffiorare con il suo trattore una bomba a mano nei pressi delle mura del cimitero. I militari di Sesto San Giovanni recuperarono così le tre casse mai precedentemente ritrovate con ben 1.600 cartucce calibro 9, sei bombe tipo ananas in uso durante la seconda guerra mondiale, due pistole, un mitra inglese Sten, materiale per fotografie e istruzioni per l’occultamento. Il Giornale avanzò subito il sospetto che si trattasse di armi nascoste dai comunisti venendo seccamente smentito dai carabinieri. «Ma quali armi del Kgb! – dichiarò il comandante del Reparto Operativo – dalle analisi effettuate gli armamenti ritrovati sono materiale del periodo bellico in uso alle forze occidentali». Si trattava del nascondiglio di Gladio sfuggito nel 1990 alle ricerche. Resta il fatto che molte più di tre fossero le cassette nascoste, non in uno ma in ambedue i cimiteri di Cormano. Date le caratteristiche, cassette con diversi pacchetti, ciascuno con la sua targhetta esplicatrice e istruzioni per l’uso, certamente appartenenti a Gladio, ma mai rese pubbliche allo scioglimento della struttura.
Le bombe di via Moneta
Nella stessa via Brusuglio, ad Affori, sicuramente un caso, abitava al 47 negli anni Sessanta il capo di Ordine nuovo milanese, Giancarlo Rognoni, condannato a 15 anni e sei mesi per la tentata strage sul treno Torino-Roma del 7 aprile 1973. Non sappiamo se vi abiti ancora. Si tratta di una villetta a due piani dove, in bella mostra, sul cancello d’ingresso troneggiano due aquile assai simili a quelle degli stemmi della Repubblica sociale italiana. Lì vicino, in via Teodoro Moneta (dove un tempo sorgeva «il cimitero vecchio di Brusuglio»), la mattina del 5 maggio, sempre del 1973, in un prato, furono rinvenute in una cassetta militare, trenta bombe a mano, tipo Srcm, in perfetto stato, uguali a quelle lanciate dai neofascisti meno di un mese prima, il 12 aprile, contro le forze dell’ordine, uccidendo l’agente di polizia Antonio Marino. Qualcuno aveva voluto disfarsene a seguito delle numerose perquisizioni che avevano interessato le abitazioni di numerosi neofascisti milanesi.
Poche le vie da quelle parti, ma tante le bombe e le armi.
05.05.2016