G.C.
Sono trascorsi ormai 23 anni, da quella notte tra il 26 e il 27 maggio del ’93, quando, in via dei Georgofili, presso l’Accademia omonima, si scatenò l’inferno.
Un fiorino bianco era parcheggiato sotto la Torre de’ Pulci, a Firenze: era imbottito di 250 chili di tritolo che, esplodendo, sventrarono la sede dell’Accademia e strapparono la vita a cinque persone: la trentaseienne Angela Fiume, suo marito Fabrizio Nencioni, 38 anni, le loro figlie, Nadia, di 8 anni e mezzo, e Caterina di appena 50 giorni, e lo studente ventiduenne di architettura Dario Capolicchio,
A compiere lo scempio, Cosa Nostra.
Erano gli anni dello stragismo: dopo aver colpito uomini simbolo della lotta alla mafia, le cosche avevano intenzione di andare a colpire il patrimonio storico e artistico dell’Italia. Colpire un popolo nella sua identità nazionale e culturale, tentando, in tal modo, di destabilizzarlo e, contemporaneamente, farlo cedere alle richieste presentate. Si voleva, di fatto, velocizzare quella trattativa con lo Stato di cui parla anche la “Primula Nera” Paolo Bellini.
Questi, conosciuto in carcere il boss Antonino Gioè, gli suggerì forse indirettamente l’idea di perseguire una strategia che si concentrasse sul patrimonio monumentale d’Italia. Perchè “se tu a Pisa vai a togliere la torre, è finita Pisa”. E Cosa Nostra accolse il suggerimento: decise di focalizzarsi su Firenze, far saltare in aria gli Uffizi.
Non vi era intenzione, secondo le testimonianze dei collaboratori di giustizia, di mietere vittime, quella volta. Vi furono per un errore nella pianificazione, tanto più che anche i celebri musei non vennero distrutti: semplicemente, l’autobomba era stata posteggiata in un luogo sbagliato. Probabilmente i mafiosi siciliani non conoscevano sufficientemente bene la geografia della capitale del Rinascimento; secondo altri pentiti, invece, fu colpa delle telecamere di sorveglianza che, installate nel luogo pianificato,avrebbero ostacolato l’attentato.
Un attentato di cui ancora oggi non si ha soluzione. Nel 2000 furono condannati come mandanti i boss Riina, Graviano, Bagarella e Provenzano, ma vi è comunque l’ombra dei mandanti occulti, di quei personaggi non appartenenti alla mafia che avrebbero richiesto e ottenuto la strage. Perchè, come ebbe a dire il pentito Salvatore Cancemi, “Cosa Nostra non ha la mente fina di mettere un’autobomba come quella di Firenze”. Nel 2012, il pentito Gaspare Monticciolo fece alcuni nomi: Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, per esempio, ma le indagini in merito furono ben presto archiviate. Il febbraio scorso, infine, il boss Francesco Tagliavia è stato condannato all’ergastolo in appello, per la strage.
A oggi resta però la sete di giustizia: quella notte, cinque innocenti persero la vita. Per Cosa Nostra fu un errore trascurabile, un’insignificanza. Per la società civile, che ancor’oggi lotta per ottenere i nomi dei veri responsabili, un’immensa tragedia, che ancora reclama la propria verità.