di Gianni Barbacetto
L’ultima volta che il Csm si era occupato seriamente di lui, era stato nel 1997, quando lo aveva messo sotto procedimento disciplinare. Era stato l’allora ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, a chiedere al Consiglio superiore di punirlo, per “aver recato discredito alla magistratura”: Francesco Greco, durante un’iniziativa promossa a Milano da Micromega, aveva detto che “sulla giustizia, questo governo di sinistra fa ciò che neppure Craxi aveva mai tentato”. Erano gli anni della Bicamerale di Massimo D’Alema e “questo governo di sinistra” era quello dell’Ulivo. La dichiarazione di Greco dimostrava che il magistrato considerato antiberlusconiano e “di sinistra” non faceva sconti neppure alla sua presunta parte politica. Il Csm, comunque, nel 1998 lo prosciolse. Ora lo incorona procuratore della Repubblica. E i colleghi al quarto piano del palazzo di giustizia lo salutano con ironia: “Dal conclave di Roma è finalmente uscito papa Francesco!”.
Nato a Napoli nel 1951, figlio di un ammiraglio, entra in magistratura nel 1977. Fa l’uditore a Roma, poi il sostituto procuratore a Milano. Si occupa di corruzione quando ancora il termine Tangentopoli non era stato inventato: è il pm del processo Icomec, azienda che aveva costruito una parte della metropolitana milanese. “La linea tre avanza”, dicevano i cartelloni: avanzavano anche le mazzette ai partiti. Vengono arrestati, tra gli altri, Antonio Natali, padre politico di Bettino Craxi, e Pietro Longo, ex segretario del Psdi. Era il 1985. Bisognerà aspettare il 1992 perché il sistema crolli: scoppia Mani pulite, di cui Greco è uno dei pm. Si costruisce una competenza specifica nei reati economico-finanziari e nel 1994 prende il posto di Antonio Di Pietro come rappresentante della pubblica accusa nel processo Enimont, la joint-venture tra Eni e Montedison che si conclude con la più grande tangente scoperta fino a quel momento.
Poi arrivano gli scandali finanziari: Milano è la piazza della Borsa. Salta per aria Parmalat e a Greco tocca mettere le mani, questa volta, nel più grande crac mai avvenuto fino allora in Italia. Nel 2005 anche nel nostro paese entrano in vigore le nuove norme europee per il market abuse: è Greco a coordinare le indagini che seguono in diretta le scalate dei “furbetti del quartierino” ad Antonveneta, a Bnl, a Rcs-Corriere della sera. E le bloccano. Intanto scrive sul Sole 24 ore che “il mercato finanziario italiano è il Far West dell’Occidente”. Diventato procuratore aggiunto, guida il pool reati economici, finanziari e fiscali. Si occupa delle (presunte) voragini lasciate all’erario da Prada, Armani, Dolce & Gabbana. E da multinazionali come Apple, Google, Amazon. Dello scandalo dei dossier Pirelli-Telecom. Del sequestro dell’Ilva. Delle indagini sulla sanità lombarda e delle belle vacanze di Roberto Formigoni. Della vendita Finmeccanica-Ansaldo.
Negli anni aumenta il suo peso anche come esperto in materia finanziaria e fiscale. Viene chiamato a far parte di commissioni governative per riformare le norme finanziarie, il falso in bilancio, l’autoriciclaggio, la voluntary disclosure, l’accordo con la Svizzera per il rientro dei capitali. Il suo nome comincia a circolare come candidato a molte cariche (governatore della Banca d’Italia dopo le dimissioni di Antonio Fazio nel 2005, presidente di Equitalia al posto di Attilio Befera nel 2014, presidente della Consob…). Non si muove invece dal suo ufficio al quarto piano del palazzo di giustizia milanese, tranne che per convegni e vacanze. Estate al mare della Maddalena, inverni sulle piste di Courmayeur.
Quando divampa lo scontro tra il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il capo della Procura milanese Edmondo Bruti Liberati, Greco è schierato decisamente con Bruti. Qui la narrazione si sdoppia. Gli avversari interni sostengono che si sia ormai legato troppo alla politica, che sia diventato anche più di Bruti attento alle “sensibilità istituzionali”, che dopo essere stato inflessibile con i Fiorani, i Ricucci e i Consorte, pochi anni dopo sia diventato morbido con Unipol e Mediobanca, che pensi più ai convegni che alle inchieste, che chieda troppe archiviazioni senza fare indagini adeguate (per questo la Procura generale ha avocato nel 2013 una serie di fascicoli del suo ufficio). Gli amici scuotono la testa davanti a questi rilievi, enumerando i risultati ottenuti e spiegando che le invidie si possono trasformare in calunnie.
Ora, procuratore della Repubblica nella sede giudiziaria più importante d’Italia, Greco avrà modo di dimostrare di che pasta è fatto.
Il Fatto quotidiano, 31 maggio 2016 (versione estesa)