di Gianni Barbacetto
I dati, questa volta, sono maledettamente chiari. I risultati elettorali di Giuseppe Sala al primo turno sono deludenti, se confrontati con quelli del 2011 di Giuliano Pisapia.
- Innanzitutto l’affluenza. Lo scontro tra i due manager ha portato alle urne meno milanesi rispetto al 2011, facendo registrare il record negativo d’affluenza. Ha votato solo il 54,6 per cento dei milanesi, meno della media nazionale (62,1) e ben 12,9 punti meno che nel 2011 (67,5 per cento).
- Poi i voti raccolti. Con il suo 41,6 per cento, Sala è sotto di ben 7,2 punti rispetto al Pisapia del primo turno 2011 (48,8 per cento). Pisapia distaccò Letizia Moratti (41,5) di ben sette punti. Sala è a un soffio (0,9 per cento) da Stefano Parisi (40,7 per cento). In numeri assoluti, Sala ha perso per strada 91 mila voti di Pisapia.
Sembra dunque paradossale che circolino interpretazioni secondo cui, invece, “Sala è andato meglio di Pisapia”, per di più firmate da un sociologo brillante e di grande competenza come Paolo Natale. Sala ha preso di meno, spiega, perché “mancano all’appello ben due dei partiti che sostenevano Pisapia nel 2011: la sinistra e i radicali. (…) Dunque: a Sala manca circa il 5-6% di voti che cinque anni fa erano inseriti nella coalizione che sosteneva Pisapia. Se anche quest’anno la formazione di sinistra e i radicali fossero entrati nell’area di sostegno per Sala, il distacco tra quest’ultimo e Parisi sarebbe stato certamente molto più ampio, di almeno 5-6 punti”.
Se mio nonno avesse il troller, sarebbe un tram, si dice a Milano. È stata proprio la scelta di Sala – proposto da Matteo Renzi e dai giovani leoni del Pd milanese – a spezzare l’unità che si era creata attorno a Pisapia e dunque a provocare le candidature alternative di Basilio Rizzo e del radicale Marco Cappato. È stata proprio la scelta di Sala anche a infrangere l’entusiasmo della “rivoluzione arancione” e a creare in città un clima di apatia (e di astensionismo) davvero imparagonabile con quello del 2011.
Poi ci si può consolare con ragionamenti arzigogolati. Aggiungendo alla Moratti del 2011 i 6 punti del fuoriuscito da Forza Italia Manfredi Palmeri, il distacco Pisapia-Moratti diventa di un punto. Come il distacco Sala-Parisi del 2016. E nonostante le defezioni di Rizzo e Cappato. Dunque, conclude Natale, “Sala è ancora un punto avanti a Parisi, come lo era Pisapia cinque anni fa sulla Moratti. Con due appoggi in meno”. Ergo, meglio Sala di Pisapia.
Se riuscite a superare lo stridor di unghie sui vetri, potete tornare a guardare i duri, inesorabili fatti: 5 giugno 2016, 13 per cento di votanti in meno, 91 mila elettori persi. È l’effetto Sala.
Il Fatto quotidiano, 7 giugno 2016