di Domenico Marino
La ricostituzione del PCI è un avvenimento molto significativo, quasi straordinario, nel panorama della politica italiana dominato dalla mediocrità, e soprattutto nell’ambito della sinistra, perché rappresenta il primo tentativo di ricomposizione – e per giunta dal basso – attraverso una costituente, dopo decenni di lotte intestine e conseguenti suddivisioni “personalistiche” che hanno frastagliato il movimento comunista relegandolo all’inconcludenza.
Parte del Pcdi, di Rifondazione, e molti altri comunisti rimasti senza partito, dopo la svolta della Bolognina, come le Sezioni Gramsci-Berlinguer di Pisa e Milano, si sono finalmente rimessi insieme.
Oggi si riparte mettendo al centro gli ideali comunisti, il centralismo democratico e l’unità d’intenti. Quell’UNITA’ tanto tanto cara a Gramsci.
Fondamentale sarà radicarsi nei luoghi di lavoro agendo da cuneo nelle contraddizioni sociali, primo tra tutti nel conflitto capitale-lavoro. Le elezioni non dovranno essere un punto di arrivo, come più volte si è inteso a sinistra, ma un passaggio mediano, istituzionale per così dire, della lotta di classe. Ci vorrà del tempo per crescere e ritornare a essere il glorioso partito che fu di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer, ma non bisogna lasciare nulla di intentato.
La rinascita del PCI non deve essere percepita come una operazione nostalgica, tutt’altro. Bisogna rimanere con i piedi ben piantati nel presente, consapevoli del nostro monumentale passato, ma con gli occhi ben aperti sul futuro, impedendo che l’ideologia diventi una prigione stantia, un approccio statico e dogmatico alle questioni socio-politiche che si porranno via via, ma che sia invece una risorsa dinamica e organica in aderenza con la dialettica materialista sviluppata da Marx e Engels e proseguita da Lenin; perché il comunismo non è un dogma tanto meno una “religione laica” (come molti purtroppo hanno inteso e intendono tutt’ora, facendo del marxismo-leninismo una caricatura) ma “analisi concreta della situazione concreta”. Pertanto aderire è un dovere, una necessità di ogni lavoratore che voglia innalzare “collettivamente” la propria posizione nella società e diventare classe dirigente: “ogni cuoco deve imparare a governare lo stato” scriveva Lenin. Questa è la modernità e la diversità insita nel comunismo rispetto a tutte le altre formazioni politiche.
Grande peso perciò deve essere dato alla formazione di quadri di partito che facciano da megafono all’INTELLETTUALE COLLETTIVO.
Dovere e responsabilità più grande sarà del Partito, che dovrà ritornare ad essere “strumento” di lotta e di elevazione socio-culturale del proletariato unito e non fine, poiché il fine ultimo – preceduto dal socialismo che avrà come caratteristica la dittatura del proletariato da contrapporre all’attuale dittatura (mal travestita da democrazia) della borghesia – dovrà essere il comunismo: un sistema sociale superiore: senza classi, senza Stato e senza partiti. Innalzati bandiera rossa, fatti straccio…e che il più povero ti sventoli!