Ci siamo permessi di riprendere (e segnalato dalla Sezione Gramsci-Berlinguer) un post scritto nel 2015 da Alessandro Pascale perché molto chiaro e lineare rispetto a quanto possono fare i comunisti nel mondo se si applicano gli insegnamenti del marxismo-leninismo. Una scienza, quella del marxismo-leninismo, che applica teoria e prassi della dittatura del proletariato, che insegna a comprendere e capire come si possa star bene ed evolversi se si rispettano certe regole di correttezza verso la collettività; marxismo-leninismo tanto temuto dai padroni e, spesso, non assunto dai dirigenti politici locali in Occidente. Un PCC, tra l’altro, che aveva avuto molte simpatie per le posizioni assunte dal nostro P.C.I. con la segreteria di Enrico Berlinguer. Ci auguriamo che l’autore di questo post valuti con attenzione l’ipotesi dell’attuale PCI per una proficua collaborazione.
MOWA
Facendo riferimento alla Cina post-Maoista il giudizio comune, anche tra molti compagni e studiosi, è che non si sia più davanti ad un Paese socialista bensì ad un paese ormai completamente reinserito nel campo del capitalismo. Certo le contraddizioni sono presenti, ma vorremmo elencare una serie di punti che dovrebbero porre quanto meno il dubbio sul fatto che la Cina non tenda più verso la costruzione del socialismo. Ecco 20 cose che probabilmente non sai sulla Cina post-Maoista:
1) Tra il 1978 ed il 2004 il numero dei poveri assoluti si è ridotto da 250 a 25 milioni, cioè a meno del 2% della popolazione. Un esempio di come si proceda tuttora per eliminare completamente la povertà è dato dal fatto che nel 2007 sono state eliminate tutte le tasse ed imposte per i contadini autonomi dei distretti e province più povere delle regioni centrali ed occidentali del paese, in cui vive una popolazione pari a diverse decine di milioni di unità. Nel 1949, la vita media dei cinesi era di 40 anni, oggi è di 71 anni e a Pechino questa media è di 80 anni.
2) I salari sono aumentati di almeno sei volte negli ultimi tre decenni, come ammesso a denti stretti da studiosi anticomunisti come F. Zakaria; ciò in modo decisamente asimmetrico rispetto all’Italia (dove tra 2000 e 2013 il reddito dei lavoratori è addirittura calato) ed al mondo occidentale. Le donne vanno in pensione a 50 anni, gli uomini a 60 anni (in Italia per entrambi i sessi si va per i 67 anni). Il tasso di disoccupazione complessivo si attesta intorno al 4,1% (attualmente in Italia è circa del 13%).
3) Secondo un’indagine condotta dalla banca elvetica Credit Suisse nel 2013 il salario medio mensile dei giovani 30enni cinesi è di circa 1.100 euro, il 15% in più rispetto ai loro genitori. Quello dei trentenni italiani? Per quei pochi che lavorano è di 830 euro. Per quanto riguarda la fascia dei giovani tra i 18 e i 29 anni il tasso di disoccupazione è al 4,1%. In Italia il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 43,9%.
4) Dal 1977 fino al 2008 la crescita media del prodotto nazionale lordo cinese è risultata pari al 9,7% annuo e soprattutto immune alle crisi recessive tipiche del modo di produzione capitalistico contemporaneo.
5) La Cina rimane un punto fermo nello sviluppo delle energie rinnovabili, rappresentando quasi il 40% dell’espansione globale e il 60% della crescita non Ocse. La produzione di pannelli solari tra il 2009 e il 2011 è quadruplicata, fino a rappresentare l’80% di quelli installati in Europa, e il 63% della produzione mondiale. Già secondo produttore di energia solare al mondo dopo la Germania, la Cina ha nella Huanghe Hydropower Golmud Solar Park la più grande centrale a energia solare del mondo, con una capacità da 317 GW all’anno. Dal 2010 è il primo produttore di energia eolica del mondo.
6) La Cina è tuttora guidata dal Partito Comunista Cinese (PCC), che con oltre 85 milioni di membri, è il più grande partito politico del mondo. Per entrare nel PCC gli aspiranti aderenti devono seguire un corso di formazione che dura 2 anni (6 mesi dei quali sono dedicati esclusivamente all’apprendimento del marxismo-leninismo), durante i quali i candidati vengono giudicati anche in base alla loro vita privata e pubblica, al fine di evitare l’ingresso di spie, traditori o sabotatori.
7) La Costituzione cinese proibisce a qualsiasi organizzazione o individuo di violare, occupare o sabotare la proprietà statale e collettiva. Lo Stato tutela i legittimi diritti ed interessi dell’economia individuale, dell’economia privata e delle altre economie non statali. La legittima proprietà privata dei cittadini non può essere violata.
8) Vige il totale monopolio statale del settore militar-industriale, spaziale e telecomunicazioni. Totale controllo pubblico anche sulla ricerca scientifica ed il settore high-tech. Rimane anche il possesso e controllo statale della stragrande maggioranza delle risorse naturali del paese, a partire da quelle idriche ed energetiche.
9) Il sistema finanziario è principalmente al servizio dello Stato, che infatti se ne serve anche “per scopi come la lotta all’evasione fiscale” come riconosciuto anche da studiosi anticomunisti. Le autorità statali centrali mantengono un ferreo controllo anche sulla moneta yuan (o renminbi) con il derivato controllo su larga parte dei flussi finanziari da e per la Cina.
10) Nonostante una tendenza alla liberalizzazione dei prezzi lo Stato mantiene il potere reale di fissare “dall’alto” per via politica i prezzi di alcuni beni e servizi, come è successo nei primi mesi del 2008 per alcuni beni popolari essenziali come benzina, grano, latte e uova al fine di combattere la crescente inflazione (misure analoghe vennero prese nel 1996 e 2003) e mantenere (e anzi accrescere) il potere d’acquisto popolare.
11) Benché abbiano ampia libertà di azione nelle “zone speciali”, nel resto del Paese le multinazionali occidentali sono costrette ad agire alle rigide condizioni del Governo: quasi tutte sono state costrette ad accettare di costruire joint-ventures alla pari (50 a 50%) con aziende statali per poter operare in terra cinese. Lo Stato spesso procede poi alla riacquisizione dell’intera proprietà di alcune di queste joint-ventures come testimoniato a denti stretti anche da Luigi Vinci in un suo articolo sulla dinamica politico economica cinese.
12) La tendenza generale attuale è verso la sindacalizzazione di massa, che permette ai lavoratori di esercitare una costante interazione con il Partito e lo Stato, ottenendo di trattare in rapporti di forza favorevoli anche con il padronato presente nelle aziende private: dal 1° gennaio 2008 è entrata in vigore una nuova legge politico-sindacale che prevede tutele più efficaci per i lavoratori quali la fissazione di un salario minimo, l’obbligo di pagamento degli straordinari, la liquidazione per i licenziati e difficoltà maggiori per le assunzioni temporanee, in netta controtendenza con il clima politico-economico dominante attualmente in Italia e nel mondo occidentale.
13) Il settore collettivistico (di matrice statale e cooperativo) mantiene una larga egemonia. Il 3 settembre del 2007 il Quotidiano del Popolo di Pechino, l’organo di stampa più prestigioso del PCC, ha riportato che nel 2006 le 500 imprese della Cina (ivi comprese banche, settore petrolifero, e degli armamenti, ecc.) controllavano e possedevano l’83,3% del PNL cinese, in netto aumento rispetto al 78% del 2005 ed al solo 55,3% del 2001: tra questi 500 grandi colossi, 349 e quasi il 70% del totale sono di proprietà statale, in modo completo o con una quota di maggioranza della sfera pubblica. Il giro d’affari e le vendite delle imprese statali risultò di 14,9 migliaia di miliardi di yuan su un totale di 17,5 migliaia di miliardi di yuan di vendita globale collezionati dalle prime 500 imprese, pari a circa l’85% dell’insieme del giro d’affari della ricchezza prodotta da queste ultime; visto che la quota dei “500 big” sul prodotto nazionale lordo cinese era pari al sopracitato 83,3%, la quota percentuale delle 349 imprese statali sul PIL cinese ufficiale risultava pari a più del 70% e quasi tre quarti della ricchezza globale cinese.
14) Il Fondo Monetario internazionale (dati 2004) ha stimato che se già nel 1980 le cooperative non agricole di villaggio impiegavano circa 30 milioni di lavoratori, nel 2003 la cifra era salita a 130 milioni di unità lavorative rimanendo quasi invariata negli ultimi 4 anni e comprendendo circa il 20% della forza lavorativa cinese. Nel 1990 la proprietà delle imprese di municipalità e villaggio è stata conferita collettivamente a tutti gli abitanti del municipio o del villaggio interessato. Il potere di assumere o licenziare i direttori delle imprese fu conferito alle autorità locali, con la possibilità di demandare tale scelta a una struttura governativa. Anche la distribuzione dei profitti è stata sottoposta a normativa, introducendo l’obbligo del reinvestimento nell’impresa di più del 50% dei profitti per modernizzare e ingrandire gli impianti e per finanziare servizi e grafiche per i lavoratori, mentre la quasi totalità di quel che resta deve essere impiegata per infrastrutture agricole, miglioramenti tecnologici, servizi pubblici e investimenti di nuove imprese. Nel 2002 ammontavano a circa 100 milioni gli associati delle cooperative cinesi facenti parte dell’Alleanza Internazionale delle Cooperative, mentre nel 2003 le 94.711 cooperative cinesi (di tutti i generi e tipologie) contavano al loro interno la modica cifra di 1.193.000.000 di uomini e donne associati a vario titolo.
15) Il presidente cinese Xi Jinping guadagna 19.200 euro l’anno, circa 1.600 euro al mese. Davvero poco se si pensa che il successore di Napolitano intascherà 20mila euro ogni 30 giorni mentre a Obama ne vanno 28.750.
16) La politica estera cinese, da Deng in poi, si basa sulla coesistenza pacifica e la cooperazione economica con tutti i paesi del globo e, come lato nettamente subordinato, sulla lotta all’egemonismo ed alla tendenza statunitense volta ad acquisire il dominio planetario. Di qui la serie di alleanze, trattati e dichiarazioni di amicizia con i BRICS e i paesi dell’America Latina, ma anche gli ampi investimenti della Cina nel continente africano, con reciproco vantaggio. La buona tecnologia a prezzi contenuti che la Cina offre nei suoi prodotti ha significato per molti paesi africani poter saltare alla telefonia cellulare senza passare dalla rete telefonica tradizionale spesso assai carente. Gli Americani bombardano e armano i terroristi islamici, i Cinesi invece commerciano, investono e fanno prestiti poco onerosi per i governi locali ed in maniera paritaria senza interferire negli affari politici locali.
17) A partire dal 1981 i terreni vennero in gran parte divisi tra le famiglie contadine, anche se si mantenne (e vige tuttora) il diritto di proprietà collettiva sugli appezzamenti rurali dei quali i produttori rurali autonomi hanno l’usufrutto, come avvenne del resto in Unione Sovietica tra il 1917 ed il 1929 e prima della grande ondata di collettivizzazione nelle campagne. Il suolo cinese rimane tuttora di proprietà pubblica e viene concesso legalmente in usufrutto a privati solo in determinate condizioni e con l’approvazione preventiva dello stato. Ancora recentemente l’assemblea legislativa cinese ha rifiutato qualunque proposta di privatizzazione della terra in Cina ed il 30 gennaio del 2007 Chen Xiwen, direttore dell’ufficio agricolo del governo centrale, dopo aver ribadito un secco diniego alle ipotesi di privatizzazione ha notato che la terra veniva data in usufrutto ai contadini per trent’anni e che ogni ipotesi di subaffitto del suolo da parte dei contadini alle imprese industriali era da considerarsi come assolutamente illegale.
18) Mentre nel 1978 le riserve valutarie statali risultavano pari solo a tre miliardi di dollari, a fine giugno 2008 il tesorone di proprietà pubblica della Cina ha raggiunto la cifra astronomica di 1810 miliardi di dollari ed un valore pari a circa il 50% del prodotto nazionale lordo (nominale) del paese: detta in altri termini, ai circa due terzi del PIL cinese (ufficiale) controllati dalle imprese statali va aggiunta un’altra massa enorme di denaro e risorse di proprietà pubblica convertibili in ogni momento con facilità, un’altra enorme quota di ricchezza saldamente in mano all’apparato statale ed a potenziale disposizione dei bisogni dello stato e del popolo cinese.
19) Tutti i principali dirigenti del PCC hanno sempre dichiarato fedeltà alla costruzione della via cinese al socialismo, sottolineandone, in ossequio alla dottrina marxista-leninista, i tempi lunghi. Il primo passo, segnato dalla necessità di sviluppare i mezzi di produzione, è in pieno sviluppo. Il PIL cinese è quadruplicato dal 1980 al 2000, più che raddoppiato dal 2000 al 2008 e infine nel 2014 è avvenuto uno storico sorpasso, che ha portato la Cina a diventare la prima potenza economica mondiale, scalzando dal trono gli USA che occupavano tale posto dal 1872.
20) La studiosa anticomunista Bergere ha rilevato correttamente che “il regime comunista cinese ha in sé una doppia eredità: marxista-leninista e maoista. Esso è più fedele al primo che al secondo. Questa fedeltà si manifesta, da un lato, con la persistenza dell’ideologia che esalta il socialismo e il ruolo dirigente del Partito e dall’altro, con la permanenza di un sistema istituzionale fondato sulla triplice gerarchia del Partito, dello Stato e dell’esercito.” Fin dal marzo del 1979 sotto Deng Xiaoping ed il partito comunista cinese hanno affermato con forza, e ribadito costantemente la teoria dei Quattro Principi (tanto che nel 1997 il XV congresso del Partito li ha perfino iscritti nei propri statuti), ossia la via socialista, il marxismo-leninismo, il pensiero di Mao Zedong e la dittatura democratica del popolo sotto la guida del Partito.
Dopo quanto letto è onestamente difficile affermare che la Cina sia una potenza capitalista…
Ricordiamo che già durante la costruzione dell’URSS Lenin nel 1921 lanciò il modello della NEP, che prevedeva un ampio ricorso al ritorno dell’economia di mercato con l’accrescersi delle disuguaglianze interne, ritenendo che una simile fase, necessaria a sviluppare i mezzi di produzione, fosse necessaria per “un’intera epoca storica. Se tutto va per il meglio, noi possiamo attraversare quest’epoca in uno o due decenni.” E naturalmente, come oggi, il mondo dei critici gridava in coro: “I bolscevichi hanno fatto marcia indietro, verso il capitalismo; questa sarà la loro tomba.” Lenin replicava sprezzantemente: “essi, in realtà, non aiutano, ma ostacolano l’edificazione economica, la rivoluzione proletaria; (che) essi vogliono attuare aspirazioni non proletarie, ma piccolo-borghesi.”
Autore: Alessandro Pascale, Cpf Rifondazione comunista – Milano
Fonti:
http://www.resistenze.org/sito/te/pe/tr/petr5m21.htm
http://www.lacinarossa.net/socialismo-o-capitalismo/
http://italian.cri.cn/chinaabc/chapter3/chapter30302.htm
http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/notizia_2090726201502a.shtml
http://www.linkiesta.it/ricchi-cinesi-precari-italiani
http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/speciali/Eurafrica/coopcinese.htm
http://it.tradingeconomics.com/china/unemployment-rate
http://www.agienergia.it/Notizia.aspx?idd=2239&id=59&ante=0