di Gianni Barbacetto
Non ha dubbi, Franco Roberti: “Le indagini prima si fanno, poi si comunicano”. Al procuratore nazionale antiterrorismo non è piaciuto che il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, abbia annunciato l’esistenza di una “pista pugliese” nelle indagini sul terrorista di Nizza prima che ne fosse informata la Procura nazionale.
“C’è stato un ritardo di qualche ora nelle comunicazioni al nostro ufficio. Ora, io capisco che nelle indagini antiterrorismo la polizia giudiziaria debba intervenire immediatamente, anche prima di avvisare la magistratura. Quello che non capisco è perché lo si debba comunicare a perquisizioni ancora in corso”. Ma a parlarne, durante una riunione a Palazzo Chigi con Matteo Renzi, era stato lunedì il ministro Alfano in persona: “Non mi interessa sapere chi è stato”, risponde Roberti. “Ripeto: le indagini prima si fanno, poi si comunicano, e non viceversa. Non mi sembra il caso di raccontare che c’è una pista pugliese senza nemmeno aver completato le prime indagini”.
Spiega com’è andata il procuratore della Repubblica di Bari, Giuseppe Volpe: “Nella giornata di ieri, dopo che era stata già diffusa la notizia del possibile coinvolgimento nelle indagini, in corso in Francia, di un cittadino tunisino in passato dimorante in Puglia, su indicazione di conferma della Digos della Questura, si è data comunicazione telefonica alla collega della Direzione nazionale antiterrorismo di Bari e poi, dopo il deposito avvenuto alle ore 19,10 di una breve informativa scritta di polizia, anche al procuratore Roberti, preavvertito telefonicamente”. Volpe spiega il ritardo della comunicazione a Roberti, ma naturalmente non l’anticipo della comunicazione di Alfano.
In complesso, comunque, Roberti è soddisfatto della collaborazione internazionale: “Le autorità francesi ci hanno comunicato tutto quello che era utile, tempestivamente e per le vie brevi. In questo caso non c’è stato alcun ritardo”. Più critico invece il procuratore di Torino Armando Spataro, che ancor prima della strage di Nizza ha inviato due lettere, una al procuratore Roberti e una a Eurojust, la struttura di coordinamento tra le magistrature europee con sede all’Aja, in cui lamenta invece una endemica mancanza di scambi d’informazioni utili alle indagini antiterrorismo. Le due lettere allineano preoccupazioni condivise dalle più importanti Procure italiane, quella di Roma (retta da Giuseppe Pignatone), di Napoli (Giovanni Colangelo), di Palermo (Francesco Lo Voi).
Il primo dei problemi sollevati riguarda proprio gli annunci dei politici su indagini antiterrorismo. Matteo Renzi il 4 luglio ha rivelato in tv, ospite del programma di Maria Latella su Sky, che “grazie all’intelligence, l’Italia ha sventato almeno due o tre attentati”. Due o tre? La differenza non è di poco conto, in questioni così delicate. Ma il problema è che alla magistratura italiana questa notizia proprio non risulta. I casi sono allora due: o non è vera, ed è pura propaganda politica; o è vera, e allora vuol dire che i servizi segreti italiani infrangono la legge che li ha riformati, nel 2007, imponendo loro di far arrivare le notizie di reato alla magistratura “senza ritardo”.
Un secondo problema posto dalla lettera di Spataro e condiviso dai procuratori di Roma, Napoli e Palermo riguarda dichiarazioni rese dallo stesso procuratore Roberti, secondo cui i terroristi internazionali si finanziano con il narcotraffico e con la tratta di esseri umani. Di questo non c’è evidenza nelle Procure italiane. Non risulta aperta alcuna indagine da cui appaia che il traffico di droga o di immigrati finanzi gruppi estremisti. Per questo Spataro chiede una riunione chiarificatrice con Roberti.
La mancanza di circolazione delle informazioni indebolisce le indagini, ribadisce Spataro. Nel contrasto al terrorismo interno, negli anni Settanta e Ottanta, il coordinamento funzionava con mezzi artigianali, come lo scambio di fotocopie sulle inchieste in corso. Oggi tutto sarebbe più facile e immediato, grazie all’informatica, eppure gli scambi sembrano invece più difficili. Inattingibili soprattutto le informazioni raccolte dai servizi segreti, che dovrebbero essere rapidamente passate, per legge, alla polizia giudiziaria, la quale deve subito comunicarle alla magistratura.
Questo canale funziona, si chiede Spataro? A giudicare dalle dichiarazioni recenti di Alfano e Renzi, sembra di no: arriva fino ai politici (il ministro dell’Interno, il presidente del Consiglio), ma non alle Procure della Repubblica. Risultato: oltre a infrangere la legge, fa scattare l’effetto annuncio, che segue criteri non di efficacia ma di propaganda. Proprio quello a cui Roberti reagisce ripetendo: “Le indagini prima si fanno, poi si comunicano”.
Il Fatto quotidiano, 20 luglio 2016