a cura di Alessandro Pace e di Andrea Aurelio Di Todaro
Q. Il contenuto della riforma costituzionale Boschi è coerente ed omogeneo?
1. No. La riforma Boschi ha un contenuto disomogeneo, in quanto modifica in più parti,
diverse tra loro, la Costituzione vigente. Non può pertanto essere considerata una “legge
di revisione” come previsto dall’art. 138 della Costituzione, secondo il quale il quesito
sottoposto all’elettore dovrebbe essere unico ed omogeneo. Avendo la riforma Boschi un
contenuto disomogeneo, essa coercirà la libertà di voto degli elettori che hanno a loro
disposizione solo un Sì e solo un No.
Q. Quali sono i fattori di criticità della riforma derivanti dal suo iter parlamentare?
2. La riforma Boschi è stata approvata dalla Camera e dal Senato nonostante la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014, avesse dichiarato incostituzionale la legge
elettorale c.d. Porcellum, sulla cui base la XVII legislatura era stata eletta. Per di più, la
riforma consegue da un’iniziativa governativa e non da un’iniziativa parlamentare – come
avrebbe dovuto essere – con il rischio, puntualmente avveratosi, di condizionarne
l’approvazione alle scelte di indirizzo politico del Governo.
Q. Ci sono altri profili di contrasto tra la riforma e la sentenza n. 1 del 2014 della
Corte?
3. La riforma Boschi, nell’attribuire ai consigli regionali, e non ai cittadini, il diritto di
eleggere il Senato, viola la sovranità popolare, di cui «la volontà dei cittadini espressa
attraverso il voto (…) costituisce il principale strumento di manifestazione», come
affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014.
Q. Perché l’elezione del Senato dovrebbe essere diretta?
4. Come scrisse proprio nel 1948, Carlo Esposito, uno dei massimi costituzionalisti italiani
dello scorso secolo: «Il contenuto della democrazia non è che il popolo costituisca la
fonte storica o ideale del potere, ma che abbia il potere; non già che esso abbia solo il
potere costituente, ma che a lui spettino i poteri costituiti; e che non abbia la nuda
sovranità (che praticamente non è niente) ma l’esercizio della sovranità (che praticamente
è tutto)».
Q. Ma dai sostenitori della Riforma si sostiene che si tratterebbe di una elezione
“indiretta”. Non hanno ragione?
5. No. I sostenitori di questa tesi sbagliano platealmente. Leopoldo Elia, autorevolissimo
costituzionalista spesso ricordato dallo stesso ex Presidente Napolitano, precisò, in
maniera definitiva, che si ha elezione indiretta “in senso proprio” solo quando siano
previsti a tal fine dei “grandi elettori”, come appunto accade in Francia dove il popolo
elegge 150 mila “grandi elettori” che a loro volta eleggeranno 349 senatori.
Affermare che il popolo italiano eleggerebbe indirettamente il Senato perché i
consigli regionali, eletti dal popolo, eleggerebbero a loro volta i senatori, è quindi una
vera baggianata. E’ come dire che il popolo italiano elegge il Presidente della Repubblica
perché il Presidente viene eletto da Camera e Senato, che sono eletti dal popolo.
Si tratta di una analogia superficiale e, come tale, giuridicamente improponibile.
Q. La riforma abolisce il Senato?
6. La riforma non abolisce affatto il Senato ed anzi ne ribadisce la funzione legislativa e
quella di revisione costituzionale, ancorché, non essendo stato eletto direttamente dal
popolo, il Senato sarebbe privo della legittimazione democratica.
Q. Quali perplessità suscita la riforma, a proposito del ruolo dei membri del “nuovo”
Senato?
7. La riforma prevede che i senatori esercitino contemporaneamente anche le funzioni di
consigliere regionale o di sindaco, senza considerare che l’importanza e l’onerosità delle
funzioni senatoriali (funzione legislativa ordinaria e costituzionale; raccordo tra lo Stato, le
Regioni e i comuni, con l’Unione Europea; valutazione delle politiche pubbliche e
dell’attività delle pubbliche amministrazioni; verifica dell’impatto delle politiche
dell’Unione Europea sui territori ecc. ecc.) ne renderebbero aprioristicamente impossibile
il puntuale espletamento.
Q. Perché criticare la riforma se, come sostenuto da alcuni suoi fautori, essa non fa
altro che seguire l’esempio del Senato statunitense?
8. Non lo ripropone affatto. E’ vero che negli Stati Uniti il Senato è composto da 100
senatori, esattamente come nel “futuro” Senato della Repubblica. Tuttavia, negli Stati
Uniti ciascun senatore lavora a tempo pieno e gode per giunta della collaborazione di
uno staff di circa 34 persone, tra consulenti e impiegati. Per contro i senatori italiani,
dovendo svolgere anche le funzioni di consigliere regionale o sindaco, non avrebbero a
disposizione non solo uno staff di quella importanza, il che è giustificabile, ma nemmeno
il tempo necessario per assolvere a tutte le funzioni connesse alle loro cariche.
Q. E’ vero che i futuri senatori non percepiranno alcun emolumento e non saranno
più dei “privilegiati” rispetto al resto dei cittadini?
9. I futuri 100 senatori, in quanto sindaci o consiglieri regionali, non saranno compensati
per le loro funzioni di senatore, ma avranno soltanto un “rimborso-spese”. Godranno
dell’insindacabilità giudiziaria per i fatti posti in essere nell’esercizio delle proprie funzioni
– il che è condivisibile – e, ancorché senatori solo part time, godrebbero anche
dell’immunità “personale” dagli arresti, dalle perquisizioni personali e domiciliari, e dai
sequestri della corrispondenza, col rischio – connesso all’abnorme numero dei consiglieri
regionali attualmente indagati o addirittura rinviati a giudizio – di trasformare il Senato in
un refugium peccatorum.
Q. La riforma attribuisce poteri legislativi all’Esecutivo, cioè al Governo?
10. La riforma amplia il potere d’iniziativa legislativa del Governo mediante la previsione
di disegni di legge «attuativi del programma di governo», da approvare, da parte della
Camera dei deputati, entro 70 giorni dalla deliberazione d’urgenza dell’assemblea. Il che
rischia di restringere ulteriormente gli spazi per l’iniziativa legislativa parlamentare –
attualmente ridotti al solo 20 per cento – grazie a possibili capziose interpretazioni
estensive sia del concetto di “programma di governo”, sia del concetto di “attuazione del
programma”.
Q. E’ un merito o un demerito che la riforma preveda la riduzione del numero dei
senatori da 315 a 100?
11. Nelle attuali condizioni, e tenuto conto del contenuto complessivo della riforma, è un
demerito. La riforma, infatti, sottodimensiona irrazionalmente la composizione del Senato
(100 senatori) rispetto alla composizione della Camera dei deputati (630 deputati) e rende
praticamente irrilevante il voto dei senatori nelle riunioni del Parlamento in seduta
comune.
Q. Ma la riforma snellisce il procedimento legislativo. O no?
12. Il disegno di legge Boschi si era posto l’obiettivo di semplificare il procedimento di
formazione delle leggi, ma tale dichiarazione di intenti non è stata seguita dai fatti. La
riforma prevede almeno otto distinti iter di approvazione legislativa, col rischio di non
infrequenti conflitti procedurali, che potrebbero addirittura configurare vizi di legittimità
costituzionale di natura procedimentale, di competenza della Corte costituzionale.
Q. Qual è la posizione della riforma rispetto alle opposizioni parlamentari?
13. La riforma Boschi, pur senza abolire il Senato, ne ha svuotato il ruolo di contro-potere
politico esterno alla Camera dei deputati, senza compensare tale svuotamento con il
rafforzamento del sindacato ispettivo tra cui l’introduzione del potere d’inchiesta da parte
di una quarto dei componenti delle assemblee, come previsto in Germania sin dal 1919,
e con successo.
Il “nuovo” art. 64 si limita infatti a rinviare ai regolamenti delle due Camere il
compito di garantire i «diritti delle minoranze parlamentari» e al regolamento della sola
Camera dei deputati di disciplinare «lo statuto delle opposizioni». Poiché però i
regolamenti parlamentari devono comunque essere approvati dalla maggioranza dei
componenti dell’assemblea, è di tutta evidenza che, grazie all’Italicum, sarà il partito di
maggioranza a condizionare il destino dei diritti delle minoranze e delle opposizioni.
Q. Quale impatto ha la riforma sul rapporto Stato-Regioni?
14. Micidiale. La riforma Boschi mentre attribuisce alla competenza legislativa esclusiva
dello Stato oltre 50 materie affastellate sotto 21 numeri, dalla a) alla z), attribuisce alla
potestà legislativa esclusiva delle Regioni soltanto 15 materie di contenuto
prevalentemente organizzativo.
La riforma Boschi attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato le
politiche sociali, la tutela della salute, il governo del territorio, l’ambiente e il turismo che
costituiscono il cuore dell’autonomia legislativa regionale.
A conferma della svolta centralistica, la riforma Boschi introduce una “clausola di
supremazia statale” – soprannominata “clausola-vampiro”- grazie alla quale la Camera dei
deputati, con una legge, e il Governo, con un decreto legge, potrebbero, senza alcun
limite, intervenire in qualsiasi materia di competenza legislativa esclusiva delle Regioni
«quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la
tutela dell’interesse nazionale».
Q. E nelle materie di competenza legislativa dello Stato?
15. La riforma Boschi attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato il compito di
dettare le “disposizioni generali e comuni” in tutta una serie di materie importanti quali la
tutela della salute, le politiche sociali, l’istruzione anche universitaria, l’ordinamento
scolastico, le attività culturali e sul turismo e molte altre, senza però prevedere, in favore
delle Regioni, la necessaria potestà legislativa di attuazione.
Dimentica altresì di attribuire (a chi? allo Stato o alle Regioni?) la competenza
legislativa esclusiva in materia importanti quali la circolazione stradale, i lavori pubblici,
l’industria, l’agricoltura, l’artigianato, l’attività mineraria, le cave, la caccia e la pesca.
Con la conseguenza, in entrambi i casi, di non risolvere il problema dell’eccessivo
contenzioso costituzionale lamentato dallo stesso Governo.
Q. Quale sarebbe la posizione costituzionale del Premier grazie alla riforma Boschi e
all’Italicum?
16. Il nostro ordinamento si orienterebbe di fatto verso un “premierato assoluto”, grazie
all’Italicum e alla riforma Boschi: l’Italicum trasformerebbe il voto al partito del leader in
un’investitura quasi-diretta del Premier e la legge Boschi eliminerebbe il Senato come
potenziale contro-potere esterno della Camera senza prevedere efficaci contro-poteri
interni. Col duplice rischio, connesso all’”uomo solo al comando”, di produrre eccessivi
squilibri di rappresentanza e di condizionare addirittura i poteri del Presidente della
Repubblica.
Q. Come cambia la composizione della Corte costituzionale con la riforma?
17. La riforma attribuisce al Senato, composto da 100 senatori, il potere di eleggere due
giudici costituzionali ed attribuisce alla Camera dei deputati, composta invece da 630
deputati, il potere di eleggerne tre. Il che, in primo luogo, urta contro il principio di
proporzionalità e, in secondo luogo, rischia di introdurre nella Corte costituzionale una
pericolosa logica corporativa, che potrebbe fortemente irrigidire i rapporti interni tra i
suoi membri.
Q. E sui senatori a vita, la riforma cambia qualcosa?
18. La riforma prevede la nomina a senatore, da parte del Presidente della Repubblica, di
cinque illustri personalità che abbiano «illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo
sociale, scientifico, artistico e letterario». Il che è doppiamente stravagante. In primo
luogo, essi sono nominati dal Presidente della Repubblica per sette anni, e cioè per un
tempo perfettamente coincidente con la durata in carica dello stesso Capo dello Stato.
Sicché non è affatto capzioso immaginare che i senatori a vita possano subirne l’influenza.
In secondo luogo, è comunque paradossale che cinque illustri personalità di caratura
internazionale, che abbiano le caratteristiche di eccellenza appena ricordate, vadano ad
esercitare il loro alto magistero culturale in un organo – il Senato – che, formalmente, la
riforma dice di volere dedicare interamente alla sola rappresentanza delle istituzioni
territoriali (Regioni, Comuni e Città metropolitane).
Q. Ma il Senato rappresenterebbe davvero le istituzioni territoriali?
19. No. Il Senato continuerebbe ad esercitare le funzioni di organo dello Stato, non solo
nell’esercizio della potestà legislativa ordinaria e di quella di revisione costituzionale, ma
anche nelle funzioni di raccordo tra Stato, enti costitutivi della Repubblica e Unione
Europea, nella verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione Europea, nel concorso
all’espressione di pareri sulle nomine di competenza del Governo e in tutte le altre
funzioni previste dal quarto comma del “nuovo” art. 55.
D’altra parte, non essendo configurabile una rappresentanza territoriale delle
Regioni perché le Regioni avrebbero un numero diverso di seggi a seconda della
popolazione e perché anche ai senatori è garantito il divieto del mandato imperativo, la
natura della rappresentanza del Senato continuerebbe ad essere quella squisitamente
politica-partitica, praticamente duplicando le contrapposizioni politiche della Camera dei
deputati.
Q. Un’ultima domanda. Il Presidente del Consiglio cita spesso il pensiero di Giorgio
La Pira, autorevole componente dell’Assemblea costituente, che in tale veste
affermò che la Costituzione fosse la “casa comune” degli italiani. Ritiene che la
riforma Boschi persegua lo stesso obiettivo di fare della Costituzione la “casa
comune” degli italiani?
20. Neanche per sogno. Il fatto che il risultato della sesta e ultima votazione della legge
Boschi abbia registrato, su 630 deputati, 361 voti favorevoli, 7 contrari e 2 astenuti,
conferma la natura “divisiva” e non “inclusiva” (la casa comune!) della riforma Boschi, che
costituisce la conseguenza di quanto osservato al quesito n. 2, e cioè l’aver voluto a tutti i
costi, il Presidente del Consiglio, che le modifiche costituzionali rispondessero alle scelte
di indirizzo politico del Governo.