Quel pranzo del 6 luglio – L’ad costretto a cedere al pressing della banca americana che aveva ottenuto il via libera in un incontro a Palazzo Chigi
di Giorgio Meletti
Fabrizio Viola ha lasciato ieri la guida del Monte dei Paschi di Siena. Un comunicato emesso al termine della riunione del consiglio d’amministrazione informa che la banca e l’amministratore delegato “hanno convenuto sull’opportunità di un avvicendamento al vertice”. Leggendo la nota con attenzione gli addetti ai lavori evincono che Viola è stato fatto fuori, anche se da tempo aveva dato segnali di stanchezza e manifestato anche propositi di resa, dopo estenuanti mesi di resistenza alle pressioni degli interessi esterni che sulla pelle di Mps e sulla sua crisi vogliono combinare qualche grosso affare.
Recita la nota: “Viola ha dato la propria disponibilità a definire, insieme al presidente, una ipotesi di accordo per la risoluzione del rapporto, subordinata all’approvazione degli organi competenti, nel pieno rispetto delle previsioni contrattuali e della normativa vigente, mantenendo le proprie funzioni fino alla nomina del suo successore e assicurando il proprio supporto per il tempo necessario”.
Nei primi giorni del 2012, Viola aveva lasciato la guida della Bper chiamato dalla moral suasion del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco per tentare di rimettere in sesto la banca senese messa alle corde dalla gestione dissennata del presidente Giuseppe Mussari e dalla distrazione della stessa vigilanza di Palazzo Koch. Il giudizio è dello stesso cda, che lo ha ringraziato per essere arrivato a Siena “in un momento di estrema difficoltà per l’istituto” e per lasciare “la banca solida e in utile”, e ha espresso “forte apprezzamento per la grande competenza e la totale dedizione e trasparenza”.
SORGE SPONTANEA la domanda: perché dunque privarsi di un simile campione di bravura e trasparenza? La prima risposta è nel nome del successore che ha cominciato a circolare in pochi minuti, accompagnato dall’applauso del presidente delle Fondazioni bancarie Giuseppe Guzzetti: si tratta di Marco Morelli. Dal 2006 al 2010, gli anni in cui Mussari ha sfasciato Mps soprattutto con lo scellerato acquisto della Banca Antonveneta al prezzo di 9 miliardi di euro (12 volte l’attuale valore della Borsa di tutto il gruppo Mps). Morelli era uno dei suoi bracci destri, come vicedirettore generale e direttore finanziario. Ma sopratutto Morelli proveniva da Jp Morgan, dove era capo dell’Italia, poltrona oggi occupata dall’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli.
IL 6 LUGLIO SCORSO, Grilli ha accompagnato a pranzo a Palazzo Chigi il capo mondiale di Jp Morgan, Jamie Dimon, che ha proposto al presidente del Consiglio Matteo Renzi il suo piano per “salvare” Mps impossessandosene. Si dà il caso che Jp Morgan sia, insieme a Mediobanca, il consulente di Viola per l’operazione di salvataggio annunciata il 29 luglio scorso: vendita di tutte le sofferenze (crediti inesigibili) per 9,2 miliardi e aumento di capitale da 5 miliardi per rimettere la banca in linea di galleggiamento.
Avendo chiaramente annunciato Renzi che la sua parola d’ordine è “fuori la politica da Mps”, ma ritenendo egli evidentemente che a Palazzo Chigi non c’è la politica ma forse semplicemente il potere, Dimon è andato da lui, ottenendo il sostanziale via libera. Viola – pur spalleggiato dal presidente di Mps Massimo Tononi e delle evanescenti personalità di Visco e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – ha perso la partita, dopo settimane di braccio di ferro con le banche d’affari che, pagate da Mps e non poco, hanno svolto il loro compito cercando di imporre a Viola la loro volontà.
Il bivio è questo: la vigilanza Bce impone a Mps di aumentare il capitale per consolidarsi; una banca (presunta) malata che chiede 5 miliardi agli azionisti appare ai mitici mercati più malata di quanto è; i consulenti allargano le braccia e dicono che non c’è nessuno disposto a comprare nuove azioni della banca, a meno che non sia qualcuno che mettendo una grossa cifra diventi padrone di fatto del Monte dei Paschi. Per esempio Jp Morgan.
CON IL RITORNO a Siena dell’uomo che ha aiutato Mussari a sfasciare il Monte dei Paschi il cerchio si chiude. Renzi ha detto che sulla crisi bancaria la colpa è dei giornali che hanno dormito. Su una cosa ha ragione: sulle banche il più sveglio è lui.
9 settembre 2016