di FRANCO GIANNANTONI
Notte del 9 marzo 1973, quarant’anni fa. Secondo piano della caserma dei carabinieri di via Moscova, sede del Comando Generale dell’Arma. Con il comandante generale della “Pastrengo”, il futuro piduista Giovanni Battista Palumbo, un gruppetto di ufficiali. Fra questi l’allora giovane capitano Niccolò Bozzo, poi braccio destro del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nella lotta al terrorismo e a sua volta, anni dopo, comandante generale della Divisione.
Ho conosciuto il generale Bozzo nel corso del processo per la strage di Bologna (conoscenza rinsaldata negli anni successivi) quando, con una coraggiosa testimonianza, rivelò nei dettagli alla Corte d’Assise del presidente Mario Antonacci il “clima” piduista milanese di quegli anni e il fitto reticolo di collusioni del potere politico-militare.
Lo stesso Bozzo, dopo la “notte piduista” (gli esponenti più in vista erano il generale Musumeci e il colonnello Belmonte in stretti rapporti con Gelli e Pazienza, tutti condannati a dieci anni per il depistaggio dell’inchiesta sull’eccidio bolognese del 2 agosto 1980), nel 1998 al giudice istruttore Guido Salvini di Milano nel corso dell’istruttoria-bis sulla strage di piazza Fontana dichiarò: “Quando arrivò la notizia del sequestro e dello stupro di Franca Rame per me fu un colpo. Ma fra i miei superiori ci fu chi reagì in modo opposto. Era tutto contento”. “Chi era?”. “Era il più alto in grado: il comandante della Pastrengo, il generale Giovanni Battista Palumbo”. Salvini non si scompose: “Il probabile coinvolgimento quali suggeritori di alcuni ufficiali della ‘Pastrengo’ non deve certo stupire”.
Un anno prima, il 3 maggio 1972, a Peteano (Gorizia) l’ordinovista Vincenzo Vinciguerra detto “il nano” aveva fatto esplodere un’auto. Morirono tre carabinieri attirati con una telefonata trappola a controllare la vettura in panne. Significativo fu che Vinciguerra nel corso di una sua testimonianza rivelò che, senza esserne a conoscenza, si trovò “coperto” con i proprio camerati nei mesi successivi da apparati militari che gli garantirono le fuga.
Per gli inquirenti fu elementare tirare le fila: ciò che era avvenuto in via Nirone che Franca Rame rappresentò nel sofferto monologo “Lo stupro”. Non si trattò di un semplice fatto di violenza ma anche di potere. Potere occulto, deviato. Un frutto malefico di quell’intreccio fra i militi infedeli e i suoi accoliti (per fortuna non tutti) e gli esponenti di quel mondo collaterale alla borghesia finanziatrice dei neofascisti. I “nonni” e gli “zii” dei nipotini che in queste ore hanno pensato bene di dileggiare la morte della grande attrice con la bestiale battuta: “coda all’inferno, salutaci don Gallo”.
Franca Rame viene sequestrata da cinque persone, caricata su un furgone, violentata, picchiata, sfregiata con delle lamette, ustionata con le sigarette sui seni, poi abbandonata vicino a un parco cittadino da cui a piedi, sola, passando davanti alla Questura, guadagnerà casa.
I fascisti sono i protagonisti. Hanno le spalle ben coperte. Si muovono per Milano con nelle tasche l’Unità e Lotta Continua per depistare le loro imprese. L’inchiesta si muove senza mai decollare in modo definitivo in direzione del Gruppo “la Fenice”, versione milanese di “Ordine Nuovo” di Giancarlo Rognoni e di Nico Azzi, il giovane che tentando di far saltare per aria il treno Torino-Roma si ferì gravemente.
Solo venticinque anni dopo si saprà parte consistente della verità. È il 1998 quando Biagio Pitarresi, malavitoso milanese ed ex picchiatore per conto de “La Fenice”, al giudice Guido Salvini sempre nel contesto della strage della Banca dell’Agricoltura racconta molte cose come emerge dall’ordinanza d’arresto del 3 febbraio 1998 (pagina 433 dell’atto). “Pitarresi – scrive Salvini – ha raccontato che l’azione contro Franca Rame era stata proposta a lui ma lui si era rifiutato ed era subentrato Angelo Angeli il quale aveva materialmente agito con altri camerati”.
Quando Pitarresi parla i tempi di prescrizione sono ampiamente scaduti. Angelo Angeli “il bombadiere nero” e/o “il golosone”, era personaggio molto noto nella galassia nera. Arrestato nel 1972 per gli attentati compiuti con le SAM (le Squadre d’azione Mussolini) e nel 1996 per omicidio colposo, non poteva essere più perseguito.
Resterà alla storia il solo identificato per lo stupro a Franca Rame. Pitarresi però non si era fermato agli autori materiali. Aveva scritto Salvini in sentenza istruttoria: “Pitarresi aveva aggiunto che l’azione era stata ispirata da alcuni carabinieri della “Pastrengo”, Comando dell’Arma, con il quale sia Angeli che Pitarresi erano in contatto per il supporto in attività di provocazione contro gli ambienti di sinistra”. Una versione che sarà ribadita dal massacratore del Circeo, quell’Angelo Izzo che, riferisce l’atto giudiziario, dichiarò “che l’azione era stata suggerita da ufficiali della Pastrengo nel quadro (…) di cobelligeranza tra settori di tale Divisione e gli estremisti di destra nella lotta contro il pericolo comunista”.
07/06/2013