di SALVATORE PARLAGRECO
Fra gli slogan dei “no Muos” che sono sfilati nelle strade di Niscemi uno, urlato a squarciagola, ci pare sacrosanto: “Ci chiudono le scuole e pure gli ospedali, ci lasciano soltanto le basi militari”. Ce n’è però un altro, che suona molto bene, ma non ha niente a che vedere con il primo, anzi, probabilmente, lo indebolisce: “I popoli in rivolta scrivono la storia, No Muos fino alla vittoria”.
Senza averne piena coscienza, o avendola, coloro che hanno manifestato domenica la loro contrarietà alla base satellitare Usa, rilanciano il vecchio conflitto fra i bisogni da soddisfare e le utopie da conquistare. Perciò la protesta merita rispetto, attenzione, grande considerazione.
Non c’è dubbio che a Niscemi servono scuole ed ospedali, serve una vigilanza attenta delle emissioni, una assistenza costante e indipendente, una tutela rigorosa della salute della popolazione. Non c’è dubbio, ancora, che i decisori, seduti attorno ad un tavolo come se dovessero fare i conti della spesa, verso Niscemi avrebbero dovuto concedere una deroga ai rigidi parametri con cui si stabiliscono le gerarchie del servizio sanitario e dell’istruzione.
Le deroghe che non sono infrequenti, anzi, talvolta prevalgono sulle regole, che diventano dogma indiscutibili quando a richiederli non sono le corporazioni, gli onorevoli o i personaggi che contano, ma bisogni ineludibili.
Niscemi ha diritto ad un trattamento speciale, perché gli è stato chiesto di svolgere, di fatto, un compito di enorme rilevanza, per la sicurezza del Paese, della frontiera europea e dell’Occidente. E’ vero che gli esperti non hanno evidenziato nulla che potesse preoccupare la salute della popolazione, ma è altrettanto vero che si tratta di un contesto sperimentale e che il mega impianto satellitare, a ragione o a torto, non è un regalo ben accetto, ovunque venga consegnato.
Hanno ragione, dunque, i No Muos che protestano, urlando la loro rabbia per gli ospedali e le scuole che non ci sono e le basi militari che non li fanno dormire la notte.
La sensibilità degli operatori – civili, militari – e degli uomini di governo – nazionali ed internazionali – è così modesta da suscitare domande sul loro buonsenso, sembra che vogliano tenere incazzata la gente e cerchino di consegnare a Niscemi l’icona meridionale del “no Tav”.
La responsabilità di questa sordità, in misura molto minore, ce l’hanno anche coloro che vengono a Niscemi per battersi contro la militarizzazione dell’Isola, il disarmo, la pace eccetera. Coloro, insomma, che credono, e fanno credere, che Niscemi, con le sue coraggiosissime e generose “mamme Non Muos”, possano modificare le scelte dell’Alleanza Atlantica, dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del governo italiano. Se c’è qualcuno che, consapevolmente, ritiene che questo risultato si possa ottenere, è bene che ne discuta con congiunti ed amici più cari per i provvedimenti del caso.
Una cosa è chiedere un ospedale o una scuola, un’altra è pretendere di dare un indirizzo diverso alla politica internazionale, sfilando per le strade di Niscemi. Gli interessi delle Mamme No Muos, haimè, non sono gli stessi dei pacifisti. A prescindere dalle ragioni e dai torti.
“I popoli in rivolta scrivono la storia, No Muos fino alla vittoria”? Nell’attesa della vittoria, suggeriamo che ci si batta, a Niscemi, per un ospedale, la buona scuola, un controllo “terzo” delle emissioni elettromagnetiche. Se Niscemi si mette di traverso, non solo con le manifestazioni di piazza, qualcosa l’ottiene. Magari anche gli americani capirebbero che non possono affidare “solo” al governo italiano l’accettazione del mega impianto. Devono fare la loro parte.
Ebbero più sentimento e lungimiranza gli italoamericani che sbarcarono in Sicilia, distribuendo gallette e gomma da masticare, che le teste d’uovo degli States del terzo millennio. E’ una disdetta, non riescono a vedere al di là del loro naso.
3 ottobre 2016