di Paola Di Lullo
Ammazzare a sangue freddo un bambino di 10 anni e pretendere di essere chiamati democratici?
Ieri pomeriggio, Abdullah Nasser Abu Atwa Mdeif, si trovava nei pressi della recinzione che separa la Striscia di Gaza da Israele, a Khan Younis, nel sud della Striscia. Secondo quanto dichiarato dal portavoce del Ministero della Salute palestinese, Ashraf al-Qidra, Abdullah è stato colpito alla schiena e successivamente dichiarato morto all’ospedale Nasser di Khan Younis.
Al-Qidra ha detto che il bambino è stato ucciso da un proiettile sparato dalle forze israeliane dispiegate nella zona.
La smentita del portavoce dell’esercito israeliano recita che loro “erano a conoscenza dell’incidente, ma non del coinvolgimento dell’esercito israeliano.” Il bambino, secondo un post su Facebook di Yoav Poli Mordechai, coordinatore israeliano delle attività di governo nei Territori, sarebbe morto a causa morto di colpi sparati in aria durante un matrimonio nella zona.
Versione assai poco credibile.
Che pericolo rappresentava Adbullah per la sicurezza d’Israele? Avesse anche superato quella recinzione, non sia mai detto, era pur sempre un bambino! Ah, già, forse, Hamas aveva provveduto ad imbottirlo di tritolo!
E, mentre in Palestina si continua a morire ogni giorno, i media italiani tacciono. Non importa quale sia la parte verso cui si propende. La morte di un bambino di 10 anni, ucciso da un proiettile, è un fatto, ed andrebbe raccontato. Magari appellandolo come terrorista. Magari continuando ad urlare, invano, contro la fine dell’occupazione israeliana, del suo regime di apartheid e di pulizia etnica. Il silenzio ci rende complici, sempre, dei carnefici.
13/10/2016