Foto: Scalfaro Oscar Luigi
Coinvolti i vertici dello Stato degli anni delle stragi sino al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro
di Giorgio Bongiovanni
Giunge alle ultime udienze dell’anno il processo trattativa Stato-mafia, nel silenzio quasi generale della stampa italiana che conta rare eccezioni tra cui Antimafia Duemila. Prosegue il dibattimento più contestato del secolo con clamorose rivelazioni emerse dai testimoni delle recenti udienze. Per questo possiamo dire che il 2016 si chiude con un bilancio a favore dell’accusa presentata alla Corte d’Assise di Palermo. Non è forse un caso se si registrano forti e non legittimi nervosismi da parte delle difese degli imputati, Riina, Mori, Subranni e De Donno, tanto da costringere più volte il presidente Montalto a sospendere temporaneamente le udienze così da calmare gli animi. Tutto questo a fronte di elementi probatori che giungono a sostegno della tesi dei pm Di Matteo, Del Bene, Teresi e Tartaglia. Di quali si tratta?
Cominciamo dalla testimonianza senza macchia, reticenza e ambiguità del colonnello Massimo Giraudo, che ha segnato un considerevole passo avanti grazie alle dichiarazioni rese in aula con tanto di carte alla mano, agende e precisi riscontri. Riscontri che certamente non portano acqua al mulino del generale Mario Mori, accusato insieme a De Donno e Subranni, ciascuno secondo la posizione occupata vent’anni fa, di aver preso parte ad una trattativa “sostanzialmente unitaria, omogenea e coerente, ma che lungo il suo iter ha subìto molteplici adattamenti, ha mutato interlocutori e attori da una parte e dall’altra, allungandosi fino al 1994, allorquando le ultime pressioni minacciose finalizzate ad acquisire benefici e assicurazioni hanno ottenuto le risposte attese”.
Non sono mancate nemmeno alcune importanti testimonianze di personalità dello Stato: è il caso dell’ex ministro della giustizia Claudio Martelli, che al tempo si mise sotto l’ala protettrice di Giovanni Falcone quando quest’ultimo diventò ministro degli Affari penali. Furono gli anni dei grandi risultati nella lotta alla mafia. Il politico, durante l’udienza, ha dichiarato che “non è la prima volta che si scambiano favori tra la mafia, associazioni tipo la P2, servizi deviati, massoneria deviata” e che “potrebbe esserci stato anche in questo caso”, quando, cioè, il collaboratore dell’ex presidente Bettino Craxi “mi coinvolge nel Conto Protezione” intestato allo stesso Martelli e sul quale nel 1980-1981 il Psi ricevette sette milioni di dollari dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, finanziamento ottenuto proprio grazie a Gelli. Fatto per il quale Martelli riuscirà ad evitare la condanna versando dei cospicui risarcimenti che hanno garantito all’ex ministro socialista le “attenuanti prevalenti” indispensabili per far cadere in prescrizione il reato di concorso nella bancarotta fraudolenta dell’Ambrosiano. E ancora, tornando agli anni delle stragi, Martelli ha aggiunto: “Possiamo sicuramente essere certi che si è aperta una dialettica, bombe-concessioni, bombe-concessioni”, parlando, più che di trattativa, di un “cedimento unilaterale da parte dello Stato”.
Come non nominare anche il boss Pino Lipari, sentito poco meno di un mese fa? Braccio destro d’eccellenza tanto di Riina quanto di Provenzano, Lipari non ha mai preso la patente di collaboratore di giustizia ma, quando conferma le iniziali dichiarazioni rese davanti ai magistrati – rese prima, cioè, di aver tentato di alleggerire la sua posizione processuale, tentativo che nel 2002 determinò la sua inattendibilità – poi confermate al processo trattativa Stato-mafia. Riportiamo, a questo proposito, solo uno dei passaggi del capomafia che, al pari di don Vito Ciancimino, detiene i maggiori segreti di Cosa nostra, stragi comprese: “Non poteva essere una iniziativa personale dei Carabinieri quella di intraprendere una trattativa se non ci fosse stata dietro una entità superiore. Sicuramente Mori avrebbe potuto avere un incarico da persone sopra di lui, dal ministro o dell’interno o da altri… Chi me l’ha detto questo? Provenzano”.
Degna di nota è stata anche l’udienza che ha visto sul banco dei testimoni il Presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, che ha rivelato di essere stato tenuto totalmente all’oscuro, al tempo in cui era ministro degli interni, su norme aggiunte a favore della mafia per ammorbidire il regime di carcere duro tanto odiato dai boss.
Quanto a Gaspare Spatuzza, pentito considerato attendibile da tutte le procure e da relative sentenze passate in giudicato, ben più alto valore hanno le rivelazioni che chiamano in causa i fratelli Graviano, boss di Brancaccio, insieme ai politici Dell’Utri e Berlusconi, nell’ormai famoso incontro al bar Doney a Roma con Giuseppe Graviano, alias “Madre natura”: “‘Ve l’avevo detto che le cose sarebbero andate a finire bene’”, avrebbe detto Graviano. “Poi – aveva continuato Spatuzza – mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani”. Nonostante le sue parole furono pronunciate in aula già nel 2014, assumono ulteriore peso se pensiamo a quanto valore ha rappresentato la sua versione per la ricostruzione delle stragi del ’92, confermata ancora una volta a seguito della recente sentenza del processo Capaci bis e della requisitoria dei pm del Borsellino quater (a gennaio il via alle arringhe delle difese) che fondano buona parte dell’impianto accusatorio sulle parole del collaboratore al quale sono state riconosciute all’unanimità le attenuanti previste dall’articolo 8 riferito all’attendibilità dei collaboratori di giustizia.
Non di quest’anno ma comunque uno dei capisaldi del processo resta il pentimento di Vito Galatolo, ex mafioso dell’Acquasanta che in aula aveva confermato l’esistenza di un progetto per attentare alla vita di Di Matteo, oltre a fare riferimento a “coperture” di cui godeva Cosa nostra: “Dopo la strage di Falcone mi vidi a Brancaccio con Filippo Graviano. – aveva detto Galatolo – Mi disse di dire a mio padre che se qualsiasi cosa lui veniva a sapere di stare tranquillo che eravamo coperti al mille per mille”.
Arriviamo così alle agende dell’ex Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi recentemente deceduto, che svelano la linea “morbida” adottata per il 41bis per la quale particolarmente coinvolto era l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Fino a dimostrare che Scalfaro, sentito dai magistrati il 15 dicembre 2010, non ha detto il vero quando ha assicurato di non saper nulla sull’avvicendamento ai vertici del Dap.
L’annuncio della deposizione agli atti del processo trattativa Stato-mafia viene ribattuto dall’ANSA ieri mattina. Forse, l’ennesima tensione che si aggiunge al già pesante clima del dibattimento, se pensiamo alle accesissime polemiche tra pm e difese all’udienza in cui fu sentito Lipari e a quella di ieri, teste in aula il generale dei Carabinieri in pensione Nicolò Gebbia.
Dopo un’inquietante sequela di testimonianze eccellenti o meno, contornate di “non ricordo”, “non sapevo”, “non c’ero” (il pentito Giuseppe Monticciolo, il maresciallo Giovanbattista Migliore, l’ex presidente del consiglio Nicolò Amato, l’ex direttore degli Affari Penali Liliana Ferraro, l’ex consigliere del Csm ed ex sottosegretario generale di Palazzo Chigi Fernanda Contri ed altre autorità istituzionali) di silenzi tombali (l’ex avvocato condannato in appello per mafia Rosario Pio Cattafi e il tributista Gianni Lapis) o testimonianze difficili (i considerevoli contributi del teste-imputato Massimo Ciancimino accompagnati, però, da altrettanti “scivoloni”) gli importanti indizi probatori delle ultime udienze segnano un risultato positivo per i pm del trattativa Stato-mafia. La lista dei testi da chiamare al processo non è ancora terminata, ma se i prossimi nomi seguissero la stessa linea limpida e priva di reticenze ci potrebbe essere una svolta nella ricostruzione, anche giudiziaria, della verità dei fatti. Ad ogni modo oggi il processo trattativa Stato-mafia si dimostra, perlomeno sul piano storico con prove solide ed evidenti, che in quei drammatici anni delle stragi i vertici dello Stato italiano, ministri, su su fino al Presidente della Repubblica in persona, furono coinvolti e partecipi protagonisti di un atto illegale famigerato e indegno. Dialogo, trattativa, negoziazione o addirittura un accordo tra lo Stato e la mafia.
23 Dicembre 2016