di Pierluigi Mele
“Il ‘Corriere’ è una delle pochissime istituzioni di garanzia di questo paese… La libertà d’informazione è vista con insofferenza crescente.” Ferruccio de Bortoli, 14 giugno 2003, in occasione delle sue dimissioni da direttore del “Corriere della Sera”
IL LIBRO
Una storia e una testimonianza. Di chi si è battuto per quarant’anni in difesa dell’indipendenza del giornale più famoso d’Italia, il giornale della borghesia illuminata, il giornale di Luigi Albertini e Luigi Einaudi, un giornale che veramente libero non è mai stato perché sempre al centro di appetiti economici e politici. Raffaele Fiengo, giornalista del “Corriere” dagli anni Sessanta, di formazione liberal, ci offre la sua versione dei fatti attraverso le lotte che ha condotto con tenacia sempre dalla parte dei giornalisti per affermare i principi di una stampa libera. Una lotta dura, dai tempi eroici della direzione di Piero Ottone alla strisciante occupazione della P2 sotto Franco Di Bella fino ai disegni egemonici di Craxi e poi le indebite pressioni dei governi Berlusconi. Oggi gli attori sono cambiati ma con le interferenze del marketing e della nuova pubblicità, e l’invasione dei social network, il mestiere del giornalista è ancora più contrastato, anche al “Corriere”, da sempre “istituzione di garanzia” in un’Italia esposta a continue onde emotive e a tensioni di ogni tipo. Se cade il “Corriere” cade la democrazia. E questo libro lo dimostra. Come scrive Alexander Stille nell’introduzione, “considerate le varie lotte avvenute per il controllo del ‘Corriere’, è un miracolo che da lì sia uscito tanto buon giornalismo, tanta informazione corretta, e ciò grazie agli sforzi di tanti giornalisti interessati soprattutto a fare bene il proprio lavoro”.
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Prossimamente approfondiremo meglio la vicenda “Corriere” con un’intervista all’autore.
L’AUTORE
Raffaele Fiengo è nato a Cambridge (Stati Uniti) nel 1940. Dal 1968 ha lavorato al “Corriere della Sera” trovandosi più volte in contrasto con la direzione. Per vent’anni è stato rappresentante sindacale. Nel 1973 fonda la società dei redattori del “Corriere della Sera” e nel 1974 è autore, con la direzione di Piero Ottone, dello “Statuto del giornalista”. Chiamato dai suoi antagonisti “il soviet di via Solferino”, in realtà non si è mai considerato comunista e si è sempre battuto per l’indipendenza del giornale e dei giornalisti. Nel 2004 è tra i fondatori di “Libertà di stampa, diritto di informazione” (Lsdi), centro di ricerca sulle trasformazioni del giornalismo. Nel 2012 promuove, presso la Federazione nazionale della stampa italiana, l’Iniziativa per l’adozione in Italia di un Freedom of Information Act. Dall’anno accademico 2000-2001 è docente di Linguaggio giornalistico all’Università di Padova.
Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo l’introduzione di Alexander Stille.
Il «Corriere» e la lotta politica in Italia
Il primo quotidiano nazionale, il grande giornale della cosiddetta «borghesia illuminata», il «Corriere della Sera», è stato il teatro centrale della lotta per il potere in Italia per quasi tutta la storia del paese. Il suo appoggio alla causa dell’intervento nella Prima guerra mondiale – ospitando tra l’altro le arringhe di Gabriele D’Annunzio («Viva Trento e Trieste, viva la guerra!») – è stato un fattore importante nella decisione di prendere parte al conflitto. L’opposizione del giornale e del suo leggendario direttore Luigi Albertini al fascismo rappresentò uno degli ultimi seri ostacoli al consolidamento del potere di Benito Mussolini. Così i proprietari – i membri della famiglia Crespi – nel 1925, per non rischiare rappresaglie pericolose da parte del regime, dovettero rimuovere Albertini.
È stato così anche durante i quarant’anni della carriera di Raffaele Fiengo che va dalla fine degli anni Sessanta fino a poco tempo fa, negli anni Duemila. Redattore e soprattutto capo, per molti anni, del sindacato dei giornalisti del «Corriere», Fiengo è stato un osservatore privilegiato e un protagonista di molte lotte.
I proprietari amano fare dichiarazioni circa la loro fedeltà ai principi della libera stampa, come questa del 1972: «Gli editori […], consapevoli che il giornale è un servizio pubblico, riaffermano il loro assoluto rispetto dei principi di libertà e indipendenza dei giornalisti dell’azienda». Ma la realtà è parecchio più complessa. L’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, proprietario de «Il Messaggero» di Roma e de «Il Mattino» di Napoli, ha detto: «Caro mio, se vuoi fare il grande imprenditore in Italia devi avere per forza un piede nei media, meglio due piedi». Per aiutare l’imprenditore, il giornale dev’essere usato come strumento di potere attraverso gli articoli che pubblica, quelli che non pubblica e per il modo in cui essi vengono impaginati. Al momento della bomba a piazza Fontana – l’inizio del periodo del terrorismo in Italia e della «strategia della tensione» – il «Corriere» avallò la tesi della strage degli anarchici. Ecco il mostro fu il titolo del «Corriere d’Informazione», confratello della sera del «Corriere», che riportava una foto del ballerino anarchico Pietro Valpreda, subito arrestato ma successivamente scagionato. Allo stesso tempo il «Corriere» non pubblica la notizia su un negoziante di Padova che aveva identificato le borse usate per l’attentato in cui erano morte diciassette persone, una prova che conduceva l’indagine verso la «pista nera», che si sarebbe rivelata quella giusta.
Nel luglio del 1970 il treno da Palermo a Torino uscì violentemente dal suo binario nella zona di Gioia Tauro, in Calabria, uccidendo sei persone e ferendone un centinaio. La versione ufficiale in un primo momento fu che si trattava di un incidente. Ma il cronista che seguiva la storia per il «Corriere», Mario Righetti, aveva saputo da una sua fonte che c’erano segni evidenti di un atto di sabotaggio. E lo scrisse nell’articolo che fu pubblicato nella prima edizione del giornale ma che scomparve nell’edizione definitiva, che titolava: A Reggio Calabria fonti ufficiali escludono l’ipotesi di un atto doloso.
«La mattina [dopo] – scrive Fiengo – Righetti è chiamato dal caporedattore, che allora era Franco Di Bella, e messo in ferie.» Di Bella è una delle bestie nere di Fiengo. Fu il direttore del giornale durante il periodo della P2, la loggia massonica di cui era membro, insieme ai proprietari del gruppo Rizzoli e ad alcuni giornalisti. Nel caso del treno di Gioia Tauro e di piazza Fontana, però, le censure del «Corriere» non furono conseguenza di un intervento della P2, ma di pressioni governative. Secondo Fiengo, il ministro dell’Interno intervenne personalmente per bloccare l’articolo sull’attentato di Gioia Tauro e un magistrato minacciò Righetti di denunciarlo per «diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’opinione pubblica» qualora avesse ancora scritto sull’argomento. La lotta di potere non era però sempre a senso unico. Dopo la «rivoluzione dei garofani» in Portogallo nel 1975, durante la quale i tipografi comunisti occuparono il giornale socialista «Republica», un gruppo di redattori comunisti del «Corriere» cambiò il titolo dell’articolo sull’argomento da I comunisti occupano il giornale socialista in Tensione a Lisbona tra Pc e socialisti. Fiengo fu comunque considerato il leader della sinistra all’interno del giornale per almeno vent’anni. Con autoironia Fiengo racconta come veniva visto in via Solferino durante la direzione di Giovanni Spadolini, futuro leader del Partito repubblicano e di un governo di centrodestra. «Spadolini guardava con qualche apprensione il mio berretto nero alla Lenin sul quale per scherzo un giorno il mio compagno di stanza, Guido Azzolini, aveva cucito una stella rossa di stoffa. “Vedi, Fiengo – mi diceva dolcemente Spadolini, – tu sei l’ultimo rivolo della contestazione, una miscela rara, ma assai esplosiva perché contemporaneamente sei liberal, anzi radicale, e comunista.” Certamente su suo suggerimento il condirettore Michele Mottola, che di rado pronunciava una parola, limitandosi di solito a gesti e farfugliamenti, mi consigliava di tagliarmi i capelli lunghi.» Poi nel 1972 Giulia Maria Crespi assunse un ruolo più attivo come azionista principale del giornale, licenziò Spadolini e al suo posto mise Piero Ottone che, pur non essendo comunista, era decisamente più aperto alla sinistra. La «sterzata» di Ottone portò all’uscita da via Solferino di Indro Montanelli insieme a una sessantina di giornalisti – una vera e propria secessione di una parte del «Corriere» che avrebbe fondato «il Giornale». Il «Corriere» di Ottone pubblicò, per esempio, le famose Lettere luterane e Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini, testi chiave della sinistra italiana degli anni Settanta. Ma, come rivela Fiengo, il loro non fu un rapporto facile. Anche se Ottone veniva etichettato come direttore di sinistra, Pasolini, in una lettera privata, lo coprì di insulti. E in un’altra lettera scrisse:
Caro ineffabile Ottone,
sarebbe ora ti vergognassi per quello che «fai» scrivere ai tuoi disonesti redattori sul Vietnam! È un atto vergognoso che solo i servi e quelli che come te non possiedono alcuna dignità morale hanno l’impudenza di compiere.
Il famoso scritto di Pasolini Io so sui presunti crimini impuniti del governo italiano rimase per quaranta giorni nel cassetto di Ottone, impegnato nella ricerca di un pezzo di uguale peso da contrapporgli.
Ma già durante il periodo dei Crespi e di Ottone le debolezze economiche della proprietà aprirono le porte all’influenza esterna. Per far fronte ai bisogni economici del quotidiano, i proprietari stipularono un accordo con la Montedison (vicino alla Democrazia cristiana e quindi al governo). Solo anni dopo Fiengo scoprì l’esistenza di un accordo segreto che permetteva a Montedison di approvare la scelta del caporedattore per l’economia.
La crisi più acuta
La battaglia principale sostenuta da Fiengo fu durante la crisi della P2. Nel 1974 il gruppo Rizzoli acquistò il «Corriere della Sera» e fece una serie di investimenti pesanti nel giornale e nell’editoria, aumentando pericolosamente i suoi debiti. All’insaputa dei lettori e della redazione, le difficoltà del gruppo lo spinsero sempre di più tra le braccia di Roberto Calvi e del Banco Ambrosiano, che diventò il vero proprietario del quotidiano. Anche Calvi, il cosiddetto «banchiere di Dio», vicino al Vaticano ma anche alla mafia, aveva grossi problemi finanziari e dipendeva sempre di più dall’appoggio occulto della loggia massonica Propaganda 2 e dal suo Maestro Venerabile, Licio Gelli, un ex fascista fervente. Mentre molti dei circa mille membri entrarono a far parte della loggia semplicemente per interesse di carriera, il Maestro Venerabile aveva un chiaro piano politico (il Piano di rinascita democratica) per creare in Italia un regime presidenziale orientato a destra. Riuscì a tirare dentro la sua loggia segreta centinaia di uomini tra i più potenti del paese, compresi 195 membri delle forze armate (12 generali dei carabinieri, 5 della guardia di finanza, 22 dell’esercito, 4 dell’aeronautica e 8 ammiragli della marina), 44 membri del parlamento, giudici, banchieri, e tra gli editori: Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din, direttore generale del gruppo Rizzoli, e Franco Di Bella, direttore del «Corriere della Sera». Così l’influenza della P2 sul giornale crebbe gradualmente, come dimostrano la sostituzione del corrispondente in Argentina (dove Gelli aveva forti legami con il regime militare), quella di Ottone con Franco Di Bella, l’uscita di vari giornalisti (come Giampaolo Pansa) considerati di sinistra, e la pubblicazione di diversi articoli strani, chiaramente confezionati ad arte per piacere alla P2: l’intervista allo stesso Licio Gelli, fatta da un giornalista, Maurizio Costanzo, anch’esso membro della loggia. E la collaborazione regolare con il «Corriere» di Silvio Berlusconi, altro membro della P2.Fiengo in quegli anni portò avanti una battaglia feroce per preservare l’indipendenza dei giornalisti e della testata, e, successivamente, incaricato dall’ufficio di presidenza della Commissione parlamentare sulla P2, si adoperò per far luce su quel losco periodo della storia italiana.
Considerate le varie lotte di potere avvenute per il controllo di via Solferino, è un miracolo che da lì sia uscito tanto buon giornalismo, tanta informazione corretta, e ciò grazie agli sforzi di tanti giornalisti interessati soprattutto a fare bene il proprio lavoro.
Raffaele Fiengo, Il cuore del potere. Il “Corriere della Sera” nel racconto di un suo storico giornalista (Introduzione di Alexander Stille), Ed. Chiarelettere, Milano 2016, pagg. 416 , € 19