di Gianni Barbacetto
No, la mia dichiarazione dei redditi non ve la do. L’assessore Roberta Cocco è stata chiara: non vuole rendere noti i suoi guadagni e la sua situazione patrimoniale. È stata scelta direttamente dal sindaco Giuseppe Sala che le ha assegnato la delega di assessore alla “Trasformazione digitale” del Comune di Milano. Etichetta glamour dietro cui si nasconte il vecchio assessorato allo stato civile, anagrafe, servizi elettorali, servizi funebri e cimiteriali. Sala l’ha chiamata dalla Microsoft, dove Cocco era direttore centrale marketing e, dal 2014, direttore europeo piani di sviluppo, lavorando a progetti di agenda digitale con i governi e le istituzioni di dodici Paesi europei, dal Portogallo alla Finlandia. Poi ha saltato il tavolo e lei, manager di una multinazionale privata incaricata di trattare con gli amministratori pubblici, è diventata amministratore pubblico.
In verità ci ha messo un po’ a rispondere alla chiamata: annunciata a giugno 2016, è entrata in assessorato soltanto a settembre. Tre mesi: tempi da Virginia Raggi, ma nella Milano del miracolo Expo e post-Expo nessuno ha avuto da ridire. Pochi hanno avuto da ridire anche sulla scarsa trasparenza: i Cinquestelle Patrizia Bedori e Gianluca Corrado hanno chiesto: “Perché non pubblicare il proprio reddito? Cosa c’è di tanto misterioso? Chiediamo l’intervento dell’Anac”. L’Anac risponde che non può mettere il naso nelle nomine politiche: può controllare l’assunzione di un dipendente comunale, ma non la chiamata di un assessore. È però competente sulla trasparenza: ha dunque aperto un’istruttoria sul rifiuto di Roberta Cocco di fornire la sua dichiarazione dei redditi.
Cocco spiega: “Nel 2015 occupavo un’altra posizione lavorativa, i miei piani e i miei progetti erano lontani dal Comune di Milano, motivo per cui non ho reso pubblica la mia situazione”. Se la caverà con una multa di qualche migliaia di euro. E il sindaco Sala, che ha dimostrato di non avere gran familiarità con le dichiarazioni sulla trasparenza (è sotto indagine per falso proprio per aver dimenticato di dichiarare, da manager Expo, una casa in Svizzera, una villa in Liguria e un paio di società in Italia e in Romania), ha dichiarato: “Lascio alla Cocco la libertà di agire. Noi facciamo la nostra parte: abbiamo segnalato il problema. Vedremo. Però, è un problema personale della Cocco”. Dunque la mancata trasparenza di un assessore è un suo “problema personale”?
Resta aperta la domanda: Che cosa ha da nascondere? Cocco ha spiegato così i suoi rapporti di lavoro: “Non ricopro più alcun incarico in Microsoft, azienda per la quale ho lavorato fino al 31 agosto 2016: sono attualmente in aspettativa non retribuita e le azioni del gruppo Microsoft assegnate in precedenza ma non ancora maturate sono state congelate dal 1 settembre 2016, data del mio nuovo incarico, e lo saranno sino al 1 settembre 2017, data dopo la quale saranno definitivamente perse”. Le azioni sono quelle che la multinazionale assegna ai suoi dirigenti ogni anno, in relazione ai risultati ottenuti. Un quarto è incassabile subito, il resto matura ed è disponibile negli anni successivi. In caso di sospensione del lavoro, la parte non maturata è persa.
Ma dietro le domande sul perché Cocco non voglia far sapere la sua situazione reddituale e patrimoniale ce ne sono altre ancor più di sostanza: sul conflitto d’interessi. Sì, perché Cocco è manager Microsoft in aspettativa e Microsoft è un fornitore del Comune di Milano, a cui ha venduto programmi e sistemi informatici (per esempio l’Agenda elettronica, Office, la posta e-mail Outlook). Da quest’anno potrebbe esserlo ancor di più, perché l’amministrazione prevede di spendere 2,3 milioni in sicurezza informatica e circa 30 milioni in gestione e miglioramento dei servizi informatici.
C’è un ulteriore elemento d’imbarazzo: Microsoft sta per prendere possesso della sua nuova sede a Milano, nel palazzo di Porta Volta tutto vetri e nervature disegnato da Jaques Herzog e Pierre de Meuron. Quell’edificio è il frutto di un accordo tra il Comune di Milano e la Feltrinelli, che è proprietaria dei terreni e che ha costruito l’edificio, diviso in due corpi: la parte più piccola è stata consegnata al Comune di Milano, che ne ha acquisito la proprietà ma lo ha affidato in comodato gratuito per 90 anni alla Fondazione Feltrinelli, che ne ha fatto la sua nuova sede. Il secondo corpo, più grande, è stato conferito al fondo immobiliare Feltrinelli Porta Volta (Fpv), 50 per cento Feltrinelli e 50 Coima Sgr (la società dell’immobiliarista Manfredi Catella) che lo ha affittato a Microsoft.
Il Fatto quotidiano, 3 febbraio 2017 (versione ampliata)