Interessante e inaspettato articolo sulla Gazzetta di Parma (dopo aver, nei giorni scorsi, completamente ignorato la contromanifestazione antifascista cittadina sulle foibe) del 12 febbraio. Quasi un’intera pagina dedicata a una vicenda pressochè sconosciuta a tutti: la detenzione a Parma, nell’allora carcere cittadino di S.Francesco, di oltre ottocento <<detenuti politici>> sloveni e croati dal ’42 fino all’inizio del ’44.
La vicenda, secondo l’articolo firmato da Michele Ceparano, è venuta alla luce grazie al lavoro del romano Andrea Giuseppini, ricercatore dell’associazione TpS (Topografia per la Storia). Giuseppini è stato prima in Slovenia, dove ha trovato documentazione al Museo di storia contemporanea di Lubiana, quindi a Parma dove grazie al garante per i diritti dei detenuti del Comune e alla direzione del carcere cittadino ha avuto accesso all’archivio storico del carcere, quindi in Germania nella città tedesca di Bad Arolsen.
I documenti trovati a Lubiana hanno avuto riscontro con quelli rinvenuti a Parma: 700 secondo Lubiana, 864 secondo le carte più dettagliate del carcere di Parma, sono stati gli sloveni e i croati antifascisti prigionieri dal ’42 fino a febbraio ’44 nel carcere di S.Francesco. Detenuti in condizioni di vita pessime, in quel luogo morirono almeno dodici di loro; fecero un giornale manoscritto intitolato <<Kibla>>, in italiano <<Bugliolo>> (vecchia latrina).
Un centinaio vennero poi trasferiti da Parma in altre prigioni, all’ 8 settembre ’43 erano ancora detenuti a Parma in 735; il 23 dicembre 1943 <<la prima massiccia “liberazione”>> (“liberazione” ?, ndr) che vede coinvolti 322 di loro, entro febbraio ’44 la scarcerazione di tutti gli altri. Ma per <<quattrocento di loro la “liberazione” dal carcere di Parma coincide con la deportazione in Germania>> per lavoro coatto. Non nei più noti campi di concentramento ma in alcune fabbriche della Ruhr, come la Krupp e altre del gruppo Thyssen.
Conclusioni dell’articolo, “politicamente corrette” e “bipartisan”, testualmente:<<La loro vicenda (di due, dei prigionieri, giovani diciassettenni arrestati e condannati, il primo per aver disegnato una falce e martello, il secondo per aver trasportato un pacco con ciclostile e materiale sovversivo, ndr) somiglia a quella di tanti che si trovarono a vivere in anni in cui in Europa regnò una violenza cieca che si materializzò sotto forma non solo di carcere, ma anche di lager e foibe. <<Molto probabilmente – conclude (Giuseppini, ndr) – insieme ai loro compagni di carcere di Parma, questi due furono solo alcuni degli oltre diecimila lavoratori forzati deportati da tutta Europa e sfruttati in oltre 50 campi di lavoro al servizio delle fabbriche della Ruhr>>>>.
Diecimila soltanto?
Comunque sulla base dei documenti e materiali rinvenuti nel carcere di Parma sarà allestita in città una mostra, anche grazie al contributo finanziario di Fondazione Cariparma.
Di più, anche questa vicenda – che si aggiunge al fatto di avere a Parma una piazza e un quartiere chiamati << Lubiana>> e soprattutto al fatto che a Parma “resiste” la via intitolata a Tito – induce a ripensare al gemellaggio di Parma con Lubiana. Nel senso del rilancio di tale gemellaggio intrapreso nei primi ’60 e da molto tempo finito nel dimenticatoio (anche se non annullato, com’è invece stato l’indomani dell’ ’89 per vari gemellaggi di altri Comuni dell’Emilia ex rossa con Comuni di Paesi dell’Est Europa fino ad allora alleati dell’Unione Sovietica).
Giovanni Caggiati