di Gianni Barbacetto
Le palme in piazza del Duomo a Milano? Finalmente! Sono la prova provata, visibile e piantata che la “linea della palma” è arrivata fin qua. Leonardo Sciascia quando scriveva dei “professionisti dell’antimafia” aveva torto, ma aveva ragione quando già nel 1970 prevedeva che la mafia, come la palma, si sarebbe ben acclimatata al Nord. Da oggi basta andare in piazza Duomo per vederlo con i propri occhi.
Prendiamola dunque come un utile “memento” all’illegalità criminale che risale la penisola, lasciando stare le venature razziste di quel buontempone di Matteo Salvini, che dice: “Mancano scimmie e cammelli, e poi avremo l’Africa in Italia. I clandestini, del resto, già ci sono”. Le palme staranno lì, con la loro arietta esotica, piantate proprio davanti al numero 19 di piazza Duomo, dove andavano a portare le buste con le tangenti nello studio di Bettino Craxi. Erano 25 anni fa, e già l’illegalità “sporca” dei mafiosi (che a Milano erano presenti fin dagli anni Sessanta) era nutrita dall’illegalità “pulita” dei partiti di Tangentopoli scoperta da Mani pulite.
E oggi? È finito il “negazionismo”: nessuno ha più il coraggio di dire che a Milano “la mafia non c’è”, come sostenevano i sindaci, da Paolo Pillitteri a Letizia Moratti. In compenso continua il negazionismo strisciante dell’illegalità quotidiana, il piccolo sistema dell’aggiustare le gare e gli appalti, il bricolage della corruzione e delle regole aggirate, nella Capitale Morale che avrebbe gli anticorpi, ma evidentemente così addomesticati da accettare comportamenti che la Milano non dico calvinista, ma almeno giansenista, non avrebbe mai accettato.
Piccole cose, per carità. Tipo assessori che, contro la legge, non vogliono rendere pubblica la loro dichiarazione dei redditi. Ma che mistero sarà mai nascosto nel 740 dell’assessore Roberta Cocco? Che è ricca? Ma la ricchezza non è mai stata una colpa, nella Milano dove si lavora sodo. Che cos’altro, allora? Chissà se in piazza Duomo pianteranno anche una palma da Cocco.
Potrebbe essere un’idea: far crescere un bosco delle piccole illegalità, una palmerie della memoria, “per non dimenticare”. Al sindaco Giuseppe Sala potrebbe essere dedicata una pianta svizzera del Canton dei Grigioni, una essenza arborea proveniente dalla Romania, e anche una palmetta ligure di Zoagli: così case, ville e società dimenticate nella dichiarazione giurata ai cittadini troverebbero riparazione nella piazza centrale della città. Io ci aggiungerei anche qualche pianta proveniente dall’area Expo: sì, quelle comprate a 266 euro l’una, ma poi pagate 716 euro a pianta dal gran manager dell’esposizione universale, alla fin della fiera premiato con la poltrona di sindaco.
Si sarebbe potuto trapiantare davanti al Duomo anche qualcuno degli alberi tagliati per far posto ai cantieri della M4, ma quelli ormai sono ridotti a legna per il caminetto. Chissà dove sono finite invece le piante del vivaio Ingegnoli di via Pasubio: sfrattate per far posto – poco – alla Fondazione Feltrinelli (che peraltro il suo posto ce l’aveva già nella centralissima via Andegari) e – tanto – alla nuova sede di Microsoft.
A proposito: i dirigenti dell’azienda americana sono giustamente fieri della loro nuova sede di Porta Volta, racchiusa dai grandi finestroni del palazzo di Jaques Herzog e Pierre de Meuron. Poi però, come anche il sindaco, difendono la assessora-manager Cocco che non vuol comunicare ai cittadini redditi e proprietà (proprio come Sala quand’era manager Expo). Il sindaco dichiara addirittura che non sbaglia Cocco, ma è sbagliata la legge. I manager di Microsoft ribadiscono che la loro azienda è una “una casa di vetro”. Va bene. Per aiutarli, regaliamo a Cocco e Sala qualche flacone di Vetril.
Il Fatto quotidiano, 17 febbraio 2017