Negli articoli sottostanti emerge la pretesa di qualcuno a non far emergere la verità sul disastro dell’aereo caduto ad Ustica e rimanga, quindi, un mistero.
Infatti, nell’incredibile (ed eccellente) ricostruzione del giornalista Lannes, emergono dati inquietanti su diversi “suicidi” di chi indagava o era semplicemente a conoscenza su quanto accaduto sull’aereo caduto ad Ustica.
Episodi di morti premature che non possono lasciare indifferenti…
Fatevi un’opinione andando a leggere quanto accaduto e quanto non si vuole far emergere.
MOWA
Strage Ustica, riesumato il corpo del radarista
LAURA MONTANARI
HANNO riesumato a Grosseto i resti del maresciallo dell’aeronautica Mario Alberto Dettori. «È successo il 16 febbraio nel cimitero di Serpeto» conferma la figlia Barbara, ma la notizia è trapelata soltanto in questi giorni. Dettori è il radarista della base di Poggio Ballone, in Maremma, ed era in servizio la notte della strage di Ustica, il 27 giugno 1980 quando il Dc9 Itavia fu squarciato in volo, 81 le vittime. Dettori fu colui che confidò: «Siamo stati a un passo della guerra mondiale ». Sei anni dopo sulla strada per Istia venne trovato impiccato in una piazzola vicina all’argine dell’Ombrone. «Non abbiamo mai creduto al suicidio. Mio padre non era il tipo» ricorda la figlia che aveva 16 anni all’epoca. «Non ce lo fecero nemmeno vedere, dissero che non era in condizioni di essere mostrato alla famiglia. Il riconoscimento lo fece mio zio. Strano vero?» La procura chiuse il caso come suicidio, senza disporre nemmeno l’autopsia. Cosa che a distanza di molti anni adesso ha invece fatto la procura di Grosseto dove l’avvocato Gabriele D’Antona, del foro di Catania e dell’associazione Rita Atria ha presentato un esposto per conto della figlia del maresciallo.
Alberto Dettori si confidò dopo la notte di Ustica con Mario Ciancarella, ex capitano, radiato dalle forze armate con un decreto firmato dall’allora presidente Sandro Pertini. La firma di quell’atto è stata dichiarata falsa dal tribunale di Firenze, solo pochi mesi fa.
12 marzo 2107
Strage di Ustica, un documentario svela le bugie di Stato dei francesi
Secondo l’inchiesta di Canal Plus, le autorità francesi mentirono sulla presenza di una portaerei nel Mediterraneo e sull’attività della base militare in Corsica. La tv d’Oltralpe, a 35 anni di distanza, rilancia l’ipotesi dell’abbattimento del Dc9 da parte di caccia di Parigi. Una tesi già sostenuta nel 2007 da Cossiga, presidente del Consiglio in carica all’epoca dei fatti, che accusò la Francia ribadendo poi le sue dichiarazioni davanti agli inquirenti. I familiari delle vittime: “Il governo italiano chieda conto di quelle reticenze”
22 gennaio 2016
STRAGE DI USTICA: I TESTIMONI “SUICIDATI”
Un solo movente, un filo rosso sangue e la firma inconfondibile dei servizi segreti (Sismi & Sisde). Agli 81 morti ufficiali del disastro aereo provocato dal lancio di due missili, occorre aggiungere una ventina di morti, assassinati in seguito, perché sapevano troppo ed erano in procinto di vuotare il sacco.
Un lancio dell’agenzia Adnkronos del 23 febbraio 2013 segnala: «Uno dei piloti era un testimone di Ustica: riaperta l’inchiesta su aereo caduto nel ’92. Si indaga per omicidio sulla morte di Alessandro Marcucci e del collega Silvio Lorenzini, precipitati con il loro velivolo anti-incendio sulle Alpi Apuane il 2 febbraio 1992. Marcucci era un ex pilota dell’aeronautica militare coinvolto come testimone nell’inchiesta per la strage del Dc9 Itavia. Clamorosa riapertura dell’inchiesta sull’incidente aereo di Campo Cecina del 2 febbraio 1992, quando i piloti Alessandro Marcucci e Silvio Lorenzini persero la vita cadendo con il loro velivolo anti-incendio, sulle Alpi Apuane. Il pm di Massa, Vito Bertoni indagherà per omicidio contro ignoti. A riportare l’attenzione sul caso, chiedendo la riapertura delle indagini, era stata l’associazione antimafia ‘Rita Atria’, che aveva presentato un esposto. Alessandro Marcucci era un ex pilota dell’aeronautica militare coinvolto come testimone nell’inchiesta per la strage di Ustica. Secondo l’associazione antimafia, l’incidente non fu causato da una condotta di volo azzardata, come sostennero i tecnici della commissione di inchiesta, ma probabilmente da una bomba al fosforo piazzata nel cruscotto dell’aereo».
Scrive il giudice Rosario Priore, a pagina 4.663 della suo atto istruttorio finale: «Questa inchiesta come s’è caratterizzata per la massa di inquinamenti così si distingue per il numero delle morti violente attribuite per più versi ad un qualche legame con essa, escludendo deduzioni di fantasia ed usando solo rigorosi parametri di fatto».
Il tragico elenco si apre il 3 agosto 1980 con la morte del colonnello-pilota dell’Aeronautica militare Pierangelo Tedoldi, 41 anni, a seguito di incidente stradale sull’Aurelia e suo figlio David. Annota Priore: «All’ufficiale era stato assegnato il comando dell’aeroporto di Grosseto (competente sul sito radar di Poggio Ballone, ndr) in successione al colonnello Tacchio Nicola». Non emerge alcun collegamento diretto con Ustica, «a meno di non supporre», ribadisce Priore «che in quell’aeroporto sussistessero ancora nell’agosto di quell’anno prove di una verità difforme da quella ufficiale; che quel colonnello ne fosse a venuto a conoscenza; che comunque egli non fosse persona affidabile nel senso che avrebbe potuto denunciarle all’Autorità Giudiziaria o alla pubblica opinione».
Negli atti giudiziari, appunto, alla voce «decessi per i quali permangono indizi di collegamento con il disastro del Dc 9 e la caduta del Mig» figura anche il ‘suicidio’ per impiccagione del maresciallo AM, Mario Alberto Dettori (39 anni). Il sottufficiale, infatti, fu trovato impiccato ad un albero il 31 marzo ’87 alle ore 16, sul greto del fiume Ombrone, dal collega Michele Casella, nei pressi di Grosseto. Dettori nell’80 era controllore di Difesa Aerea – assegnato al turno Delta – presso il 21° Cram di Poggio Ballone. Così argomenta il giudice istruttore Priore: «Se ha visto quello che mostravano gli schermi di quel Cram, che aveva visione privilegiata su tanta parte della rotta del Dc 9 e di quanto attorno ad esso s’è consumato, se ne ha compreso la portata, al punto tale da confessare a chi gli era più vicino che quella sera s’era sfiorata la guerra, ben si può comprendere quanto grave fosse il peso che su di lui incombeva. E quindi che, in uno stato di depressione, si sia impiccato. O anche – dal momento che egli stava diffondendo le sue cognizioni, reali o immaginarie, e non fosse più possibile frenarlo – che sia stato impiccato».
Il 26 novembre ’90, la moglie Carla Pacifici, riferiva al giudice Priore che «non riusciva a spiegarsi il suicidio, in quanto suo marito aveva una gran voglia di vivere»; così come «non riusciva a comprendere le ragioni per cui non era stata mai eseguita l’autopsia sul cadavere».
Il 12 gennaio 1993, è il turno di un personaggio parecchio scomodo. A Bruxelles viene assassinato a coltellate l’ex generale Roberto Boemio (58 anni). Il consulente dell’Alenia presso la NATO era un testimone chiave. Nel ’91, con buon anticipo aveva abbandonato l’Aeronautica. Le modalità dell’omicidio coinvolgono, secondo la magistratura belga – che non ha ancora risolto il caso – i «servizi segreti internazionali». Secondo la ricostruzione del giudice Guy Laffineur «Gli aggressori si sono allontanati a bordo di una Ford Escort bianca, poi risultata rubata e alla quale era stata sostituita la targa». E’ stata tale circostanza a far pensare a un’azione ben preparata. Il delitto di Boemio rimane ancora un mistero. L’unica certezza è che l’alto ufficiale in pensione aveva cominciato a collaborare con la magistratura inquirente proprio sulla strage di Ustica. Non a caso, il suo nome compare tra i riscontri di innumerevoli contestazioni processuali fatte ai generali Bartolucci, Tascio, Ferri, Melillo. Proprio da Boemio, all’epoca della strage comandante della III Regione Aerea, dipendevano direttamente il Terzo Roc di Martinafranca in Puglia (nome in codice ‘Imaz’: cuore del sistema Nadge, di controllo USA) con le basi radaristiche di Jacotenente (Gargano), Marsala e Licola, coinvolte nell’allarme per la presenza di caccia non identificati nel cielo di Ustica e di una portaerei in navigazione nel Tirreno al momento dell’esplosione del Dc 9. Boemio s’era anche occupato di uno dei due Mig 23 fatti ritrovare da CIA E Sismi sulla Sila proprio il 18 luglio ’80, esattamente al termine di un’esercitazione aeronavale della NATO. Conclude il giudice Priore:
«Sicuramente altra sua testimonianza inerente gli incidenti aerei in disamina, a seguito delle risultanze istruttorie emerse dopo le sue prime dichiarazioni, sarebbe risultata di grande utilità». Il generale Boemio conosceva i retroscena e poteva fornire elementi di prima mano.
Missili – Il 22 maggio 1988 il sommergibile Nautile esplora il Tirreno alla ricerca del relitto del Dc9. Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma particolare. Uno dei due operatori dell’Ifremer (controllata dai servizi segreti transalpini) scandisce in francese la parola “misil”. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di missile. Le ricerche della società di Tolone vengono sospese tre giorni dopo. L’ingegner Jean Roux, dirigente della sezione recuperi dell’Ifremer, subisce uno stop inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi, capo della commissione dei periti del Tribunale di Roma. I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda operazione di recupero affidata a una società inglese. Trascorrono tre anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di visionare i nastri dell’operazione Ifremer. Secondo un primo tentativo di identificazione di tratta di un “Matra R 530 di fabbricazione francese” e di uno “Shafir israeliano”. I dati tecnici parlano chiaro. Quel Matra è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri con ingombro alare di 110, pesa 110 chilogrammi: è munito di una testata a frammentazione e può colpire il bersaglio a 3 km di distanza con la guida a raggi infrarossi e a 15 km con la guida radar semiattiva”. L’altro missile è “lungo 2,5 metri, 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa 93 kg e ha una gittata di 5 km”. Entrambi gli ordigni sono usati dai caccia dei Paesi occidentali e mediorientali (Israele). Uno di quei missili -ancora in fondo al mare, a 3600 metri di profondità- è stato lanciato contro il Dc9. Le ultime scoperte dei periti di parte civile hanno confermato senza ombra di dubbio che il Dc 9 è stato abbattuto da un missile. La prova è costituita da 31 sferule d’acciaio (diametro 3 millimetri) trovate in un foro vicino all’attacco del flap con la fusoliera. La loro presenza può essere spiegata con l’esplosione vicino alla parte anteriore dell’aereo della testa a frammentazione di un missile.
Le 5.600 pagine di requisitoria del giudice Priore parlano di una operazione militare condotta da Paesi alleati della quale gli italiani sono stati testimoni diretti. Nei tracciati radar si vede addirittura un elicottero decollato dal mare, presumibilmente da una portaerei, giungere nella zona del disastro prima che arrivassero, con deliberato ritardo, i soccorsi.A poca distanza dal luogo di ammaraggio dell’aereo civile staziona l’unità militare italiana Vittorio veneto che però non presta alcun soccorso. L’ultima testimonianza è di un ufficiale di macchina da me scovato ed intervistato che ho prontamente segnalato – unitamente ad altri tre testomoni deglie venti (tre ex militari dell’Aeronautica militare, perseguitati dall’Arma azzurra) ai magistrati titolari presso la Procura della Repubblica di Roma, attualmente dell’inchiesta (Maria Monteleone ed Erminio Amelio).
Che cosa si è voluto insabbiare con tanto accanimento? «E’ una questione di dignità nazionale” argomenta Daria Bonfietti, “ma i governi italiani che fanno? La riforma dei servizi segreti, per dare maggiore libertà agli uomini dell’Intelligence, per consentirgli di fare quello che vogliono».
Memorie offuscate – 2 milioni di atti e numerose perizie. Tutti assolti: ben 4 generali dell’Aeronautica – all’epoca il massimo vertice dell’arma azzurra – imputati con l’accusa di «attentato contro gli organi costituzionali», Lamberto Bartolucci, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica; Zeno Tascio, all’epoca dei fatti, responsabile del servizio informazioni operative segrete (Sios); Corrado Melillo, ex capo del terzo reparto della Stato Maggiore Aeronautica e poi sottocapo di Stato Maggiore della Difesa; carica che nel 1980 ricopriva l’altro generale imputato, Franco Ferri. I quattro alti ufficiali, secondo l’accusa, «hanno omesso di riferire alle autorità politiche e giudiziarie, informazioni riguardo la possibile presenza di altri aerei di varie nazionalità (statunitensi, francesi, inglesi) e di una portaerei di nazionalità non accertabile con sicurezza» sulla rotta del Dc 9 Itavia la sera del disastro; hanno taciuto notizie riguardanti «l’ipotesi di un’esplosione coinvolgente il velivolo ed i risultati dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino-Ciampino e l’emergenza di circostanze di fatto non conciliabili con la caduta del Mig libico sulla Sila la mattina del 18 luglio 1980». Hanno inoltre fornito «informazioni errate» al fine di «impedire che potessero emergere responsabilità dell’Aeronautica Militare o di forze armate di Paesi alleati». Altri imputati erano i cosiddetti “007”: Francesco Pugliese, poi diventato generale, già capo di Civilavia; l’ex vicecapo del Sismi Nicola Fiorito De Falco; Umberto Alloro, Claudio Masci, l’ex responsabile della sezione controspionaggio del Sismi Pasquale Notarnicola e Bruno Bomprezzi. E’ intervenuta la prescrizione dei reati e la dichiarazione di non luogo a procedere per un’altra sessantina di altri ufficiali e sottufficiali italiani. “I quattro generali accusati in base all’articolo 289 del codice penale“, tuona l’ex senatrice Bonfietti, presidente dell’Associazione Familiari delle vittime di Ustica, “erano accusati di aver violato il loro dovere di fedeltà allo Stato, occultando le prove di un crimine. In nome di un’altra fedeltà ai loro occhi più grande e assoluta“. In altri termini, i militari avrebbero sistematicamente depistato le indagini e insabbiato le prove innalzando quello che è passato alla storia come Il muro di gomma reso ancora più inquietante dalla lunga catena di morti sospette tra i testimoni chiave.