di Fabio Mini
L’America ha bombardato la Siria, un paese sovrano, membro dell’Onu, senza nessuna autorizzazione o notifica del Consiglio di sicurezza, direttamente, unilateralmente, senza essere stata provocata, senza che la sua sicurezza fosse stata minacciata. L’ha fatto per un motivo umanitario. E in nome della catastrofe umanitaria, quasi tutti gli “esperti” festeggiano. Alcuni dicono “troppo poco, troppo tardi”; altri dicono “meglio tardi che mai”. Altri, come il nostro presidente del Consiglio, dichiarano che si è trattato di una “risposta motivata da un crimine internazionale”. In realtà l’impiego di armi chimiche da parte degli aerei siriani non è stato provato e dai sintomi riscontrati in alcuni feriti si dubita molto si sia trattato di gas nervini. Potrebbero essere agenti soffocanti di vecchissima generazione di cui il regime non dovrebbe averne più alcuno stock e che invece potrebbero avere i ribelli. Durante le prime operazioni dei ribelli e jihadisti alcuni vecchi depositi erano stati catturati e depredati. Inoltre sfugge la logica per la quale un dittatore come Assad, che ha tentato in tutti i modi di far desistere gli americani dal sostenere terroristi e jihadisti di casa propria, si metta a usare gas nervini non appena riceve da Trump il riconoscimento della sovranità del suo paese (“il governo della Siria sarà deciso dal popolo siriano”) e l’assicurazione della sua personale vittoria (“Bashar è una realtà politica”). O è scemo o è impazzito. Molto più ragionevole la logica del “trigger” innescato da un gruppo armato di ribelli e suoi sostenitori internazionali (americani neo-con e turchi) che ricorrono a operazioni coperte (false flag) per provocare incidenti e accelerare la destabilizzazione proprio a causa di quelle dichiarazioni. Gli strumenti e la fantasia non mancano: la Siria e i paesi vicini, come Libano, Giordania e Israele, sono pieni di agenti segreti, mercenari e “istruttori militari” stranieri. Ma questa, ovviamente, è dietrologia o complottismo antiamericano.
L’OPERAZIONE APPARE problematica nelle motivazioni e nelle intenzioni per 4 ragioni: gli Usa si sono arrogati il diritto/dovere d’intervento in barba alle disposizioni Onu e hanno invitato tutti gli alleati a fare altrettanto. Il nostro premier, l’ha giustificato, con la stessa logica avrebbe dovuto far intervenire in Siria anche il nostro paese, perfino prima degli Usa. Se non altro per il mezzo milione di morti e i 10 milioni di rifugiati.
Gli usa hanno imposto una accelerazione della crisi siriana e aperto il fronte ad altre minacce alla sicurezza globale fregandosene degli alleati e insultando gli avversari.
Sul piano militare, il bombardamento con 60 missili da crociera che per la metà non colpiscono gli obiettivi più che una dimostrazione di forza e tecnologia sembra una operazione di pulizia degli stock di munizioni inutili e obsoleti buttandoli in una qualsiasi discarica siriana.
Il fatto che la dimostrazione di forza serva da monito a tutto il mondo e in particolare alla Russia, Iran Cina e Corea del nord è da verificare. In realtà autorizza a misure “preventive”.
Rimane da capire la ragione più profonda dell’atto dimostrativo/punitivo. Anche senza ricorrere alla fantapolitica, l’attacco dimostra che Trump è stato sconfitto. La fazione vincente (per ora) è quella repubblicana interventista che ha prodotto tutte le guerre e pseudo-rivoluzioni degli ultimi vent’anni e che da 6 anni è attiva in Siria per completare la destabilizzazione mediorientale abbattendo l’ultimo regime laico ancora in vita. Trump ha dovuto smentire gli attacchi verbali alle manipolazioni della stampa, cadendo nella rete della stessa manipolazione mediatica. Ha dovuto cedere alla pratica da lui stesse definita “menzognera e faziosa” della Cia e degli apparati di sicurezza appoggiandosi unicamente alle loro informazioni. Ha dovuto smentire la vicinanza alla ragioni della Russia e ricorrere agli insulti per provocare ancor più la Cina. Da oggi in poi in America rimarrà il “Twitter in chief” non il commander in chief. . Qualcun altro sta comandando lui e per lui.
Il generale Fabio Mini è stato capo di Stato maggiore del Comando NATO per il Sud Europa e a partire dal gennaio 2001 ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani.
8 aprile 2017