Le fonti dello staff di iskrae.eu
Ma guarda un po’ che combinazione!, si dice a volte per sottolineare una coincidenza fortuita, un incontro occasionale, una concomitanza rara – come quelle che càpitano spesso a Satta.
Per Satta Vladimiro, che ha pubblicato l’ultimo suo inutile libro con una casa editrice di lunga tradizione Piduista; che era già documentarista del Senato quando divenne presidente del Consiglio un tycoon Piduista; che vide senz’altro passargli dinanzi agli occhi ministri ed ex ministri, generali e giornalisti Piduisti; che lesse e rilesse più volte del Comitato tecnico-politico-operativo messo in piedi da Cossiga per gestire meglio la prigionia di Moro, formato tutto da Piduisti; che senz’altro, scrupoloso com’è, ha letto i diari segreti e le ultime interviste di Tina Anselmi sui Piduisti (“La P2 ha vinto”); che avrà saputo, lui che è sempre informato, che ai vertici di Finanza, Polizia e Carabinieri c’erano generali Piduisti; che avrà registrato, meticoloso com’è, il Piano di Rinascita Democratica dei Piduisti per impadronirsi della stampa e della televisione; per Satta Vladimiro, dicevamo, “la presenza della P2 è stata ingigantita da chi ha imperniato su di essa teorie cospirative”. Così sostiene l’ineffabile nella sua audizione del 1° luglio 2015 alla Commissione Moro, che lo ringrazia per aver mosso l’aria.
Così come la presenza di un drappello di gladiatori in via Fani la mattina del 16 marzo è frutto di una fortuita combinazione (su cui torneremo a suo tempo), anche tutti questi Piduisti negli apparati dello Stato, gomito a gomito con il documentarista, sono, guarda caso!, solamente una combinazione. Ma di combinazioni (e di cospirazioni) è densa la vita del nostro ricercatore.
L’impermeabile Satta (non vede, non sente, non parla), pur odiando i complottisti (quelli che guardano le foto che lui non vede) fiuta cospirazioni e carbonari ovunque: gente che si annida nella nostra società per mettere in discussione la verità (così lui chiama le panzane del potere), e che sono l’eredità di quella perniciosa ideologia brigatista ed extraparlamentare che ce l’aveva con le istituzioni. Insomma, i complottisti sono un po’ come i brigatisti…
Lo sottolinea anche Mieli Paolo , che scrive una entusiastica recensione di Satta: “Gli uomini armati, che tra gli anni Sessanta e gli Ottanta hanno provato ad aggredire la democrazia italiana, sono stati sconfitti. Le istituzioni repubblicane «hanno vinto e hanno vinto abbastanza bene, nel complesso», constata Vladimiro Satta in un importante e documentatissimo libro, I nemici della Repubblica. Storia degli anni di piombo, pubblicato da Rizzoli [ndr: l’editore Piduista per cui lavora anche Mieli. Quando si dice la combinazione!] C’è un solo terreno sul quale le cose sono rimaste com’erano allora: quello della ricostruzione storica. Nel senso che le idee dietrologiche, anche le più bizzarre, diffusesi in quei momenti terribili sono sopravvissute come se i successivi dibattimenti giudiziari non ci fossero stati, le confessioni assai circostanziate su ciò che è realmente accaduto, l’assoluta assenza di riscontri alle ipotesi più fantasiose non fossero mai esistite”.
Nella sua entusiastica recensione alle 900 pagine di Satta, Mieli Paolo (Corriere della Sera del 29 febbraio 2016),
condividendo in pieno il vuoto si spinge oltre, e si avventura sull’orlo dell’abisso del pensiero debole, correndo il rischio di cadere giù: E pensare che [scrive citando Satta] «la scomparsa dalla scena di fenomeni del genere è una controprova che essi non erano frutto di complotti orditi in misteriose alte sfere del potere italiano o mondiale che tutto comandano, bensì di spinte che nascevano dall’interno della nostra società e della nostra (in)cultura politica in un dato momento. (…) Spinte che, fortunatamente, si sono esaurite». Di più: «I terrorismi, senza volerlo, hanno contribuito al consolidamento e alla depolarizzazione della democrazia italiana, che dalla dura prova è uscita migliore di prima». Non si può dire lo stesso della storia che (sia pure con qualche lodevole eccezione) ha codificato quegli anni come un’epoca in cui apparati deviati dello Stato hanno dapprima cospirato con terroristi di destra e di sinistra, per poi far naufragare i processi in modo da impedire che le loro responsabilità venissero accertate. E pensare che, a quasi cinquant’anni dai fatti, non esiste prova che anche un solo «uomo dello Stato» abbia avuto responsabilità diretta o indiretta nei misfatti di quell’epopea sanguinosa…. Il massimo che si è ottenuto, in merito alla bomba di piazza Fontana, sono state le condanne di Gianadelio Maletti e Antonio Labruna per aiuti che il Sid aveva dato a Marco Pozzan e Guido Giannettini, «due personaggi niente affatto esemplari, entrambi assolti dall’accusa di strage». «Satta [continua sempre il suo sodale Mieli] smonta un centinaio di piccoli e grandi sospetti (legittimi) e di ipotesi (alcune davvero cervellotiche) che nella pubblicistica e in molti libri di storia si sono depositate come verità accertate».
Poi Mieli e Satta si sovrappongono nella “recensione” che fa venire l’orticaria alle persone oneste, e merita molto più biasimo di questa nostra innocente stroncatura. Ma ora, dalla cloaca del prodotto del satta-mielo pensiero, propinato ai poveri lettori con lo stile ipocrita di cui il mellifluo Andreotti era venerabile maestro, estrapoliamo solo una TAG, quella della P2.
Sulla strage di piazza Fontana e su Pinelli caduto nella notte del 15 dicembre 1969 giù dalla finestra della questura (aperta di notte per pura combinazione) Satta, impegnatissimo a proclamare l’innocenza delle istituzioni (nonostante le mele marce che purtroppo, ahimè, esistono dappertutto) si appiglia alla “verità” dibattimentale: eppure conosce bene la distinzione fra verità storica e verità processuale, distinzione che usa in modo intelligente, quando gli serve. Ma su questo evento il documentarista è impreparato, e crediamo di capire perché: quando i fascisti armati e protetti dallo Stato si esibivano nella strage di piazza Fontana, lui aveva solo nove anni e giocava ancora con le figurine. Ma Mieli Paolo, che oggi sta con lui, era invece grandicello, aveva vent’anni, faceva il giornalista da due anni e scriveva per l’Espresso. Anzi, firmò insieme a tanti altri una lettera aperta sul caso Pinelli. Cosa credeva di aver firmato, la prenotazione di una pizza?
Eppure (ma sarà arrivata poi la pizza che Mieli aveva ordinato nel 1970, credendo di firmare una lettera aperta sul caso Pinelli?) Mieli, senza pudore, continua, nella sua stupefacente recensione: La P2, è la conclusione dell’autore, «fu indubbiamente nociva al Paese, ma sarebbe iniquo incolparla di ogni sventura nazionale, caso Moro e brigatismo rosso compresi».
Ah, Mieli Mieli! Ci sei caduto giù!
Su cosa scrive costui? Sul Corriere della Sera. Quello dei Piduisti? Sì, quello dei Piduisti. Oh, guarda! Un’altra bella combinazione.
Biografie
I Mieli siamo sicuri che sono solo giornalisti?
Paolo Mieli
nasce a Milano il 25 febbraio del 1949. Studia al liceo classico Torquato Tasso di Roma ; partecipa al movimento del ’68 militando in Potere Operaio con Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone.
È stato allievo e poi assistente all’università di Renzo De Felice, il revisionista storico per eccellenza, che ha operato nel secolo scorso riabilitando il ruolo del fascismo e di Mussolini nella coscienza nazionale.
Paolo Mieli ha svolto due professioni fondamentali per la veicolazione delle idee dei massocapitalisti: il giornalista e lo storico revisionista.
Paolo Mieli inizia la sua carriera di giornalista a l’Espresso, dove lavora per una quindicina d’anni. Poi Eugenio Scalfari, nel 1985, lo chiama a la Repubblica (De Benedetti-Caracciolo-Rothschild) pensando di aver trovato il suo erede, ma dopo poco cambia idea e Mieli passa a La Stampa, giornale della famiglia Agnelli (Lazard-Elkann/Rothschild). Nel 1990 ne diventa direttore, sostituendo Gaetano Scardocchia; Mieli portò a La Stampa Ezio Mauro, l’ex direttore de la Repubblica. A La Stampa eliminò tutto il vecchio staff, modificò l’impostazione del giornale mettendo in prima pagina notizie di costume, la cronaca, le curiosità e la storia da lui revisionata, continuando quel processo iniziato con il suo maestro di lenta e progressiva equiparazione tra destra e sinistra, con il sotteso intento di togliere valore alla sinistra per spostarlo sulla destra.
Operazione culturale interna al paradigma sulla fine delle ideologie, che ha lo scopo di farne rimanere una sola: quella capitalista.
Tra i nuovi collaboratori de La Stampa, Mieli chiama il filosofo Marcello Pera (la cortesia gli viene resa da Pera quando, da presidente del Senato, ne chiede la nomina al vertice della Rai).
La trasformazione operata a La Stampa fece dire a Giovanni Agnelli che Mieli aveva messo la minigonna al quotidiano e se ne congratulava; questa tendenza viene sviluppata da Mieli quando è chiamato, nel 1992, a dirigere il Corriere della Sera dove utilizza le fotografie e la titolazione in modo da rendere più superficiale la lettura del giornale facendola soffermare sul titolo, l’occhiello e il sottotitolo, bypassando così l’approfondimento contenuto nell’articolo, in perfetta linea con i dettami della TV commerciale del piduista Berlusconi.
Paolo Mieli viene preferito alla guida del Corriere al posto di Giulio Anselmi, vice del direttore uscente Ugo Stille, perché giudicato anticraxiano direttamente da Craxi che gli oppone il veto.
Mieli è stato recentemente vittima di un episodio di razzismo: una scritta in cui si ricordano le sue origini ebraiche è comparsa sui muri della Rai di Milano, in occasione della sua candidatura alla presidenza della TV di Stato; è interessante vedere che sul Corriere della Sera nel ’97, nel periodo della sua direzione, viene raggiunto il massimo uso del termine dispregiativo “vu’ cumprà” riferito alle persone provenienti dall’Africa: 28 volte nei testi, 9 volte nella titolazione e anche in una vignetta.
Il Corriere aveva iniziato questa campagna di stampo razzista il 27 agosto ’87; è chiaro che se il più importante quotidiano nazionale attacca degli esseri umani declassandoli, favorisce l’insorgere di quei fenomeni culturali che poi in politica trovano sponda nei partiti razzisti e fascisti, che fanno leva sull’ignoranza e i pregiudizi per spostare a destra il quadro politico.
I Mieli hanno una vera tradizione di famiglia nel lavorare per i massocapitalisti: il padre Renato,
fisico-matematico, giornalista è stato direttore dell’edizione milanese dell’Unità, si allontanerà dal Partito Comunista Italiano nel 1956 dopo i fatti d’Ungheria, ma anche perché il partito aveva saputo dei suoi rapporti – fin dai tempi della Resistenza – con il Psychological Warfare Branch (PWB)*, settore dei servizi segreti, guidato in Italia dall’ufficiale Michael Noble, struttura che si occupa della guerra psicologica, ovvero di manipolare l’opinione pubblica utilizzando qualsiasi mezzo di comunicazione. Il nome in codice di Renato Mieli è “Colonnello Merryl” e con quel ruolo di agente segreto britannico sarà messo ai vertici dell’Information Research Department (IRD) che avrà il compito di fondare alcuni giornali e nel 1945 la più grande agenzia di stampa italiana, l’Ansa.
Tra i giornali controllati dal PWB c’è anche il Giornale Lombardo che passerà a Edgardo Sogno diventando il Corriere Lombardo coi soldi dei massocapitalisti della Fiat, della Edison, della Snia, della Montecatini e della Rizzoli.
Renato Mieli parteciperà a Roma, nel 1965, al convegno all’Hotel Parco dei Principi e promosso dall’Istituto Alberto Pollio dal titolo La guerra rivoluzionaria, in cui gli organizzatori si proponevano lo studio critico della “guerra rivoluzionaria”, cioè dell’avanzata del comunismo a livello mondiale. L’Istituto Pollio, finanziato dal Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR), invita per quel convegno anche venti studenti universitari tra i quali i fascisti Stefano Delle Chiaie e Mauro Michele Merlino, in seguito colpiti da mandato di cattura per la strage di Piazza Fontana. Tra i relatori c’erano Guido Giannettini, i repubblichini Enrico De Boccard e Pino Rauti del Centro Studi Ordine Nuovo che interviene su La tattica della penetrazione comunista in Italia. L’insidia psicologica della guerra rivoluzionaria in Italia dice: «Dovremmo adoperarci perché i comunisti conoscano se stessi. L’esperienza del comunismo porterà il comunismo al suo dissolvimento e possiamo trovare il punto debole del comunismo proprio all’interno del comunismo stesso. Dobbiamo contrapporre una nuova strategia più efficace alla strategia comunista se vogliamo dissolvere il mondo comunista che si presenta compatto e minaccioso, ma che in verità non è così compatto come si crede anche se è molto minaccioso».
Tutto quello che in Italia puzza di reazione trova presente Renato Mieli che partecipa all’ARCES (Associazione per il Rinnovo della Cultura dell’Economia e della Società) struttura messa in piedi dalla destra intellettuale per arginare i comunisti anche dal punto di vista culturale. Questa Associazione verrà appoggiata anche dalla destra cattolica di Civiltà Cristiana; nel Consiglio dell’Associazione entreranno a fianco di Renato Mieli: Renzo De Felice (docente del figlio Paolo) Domenico Bartoli, Sergio Ricossa, Luigi Barzini, Enzo Bettiza, Cesare Zappulli, Gustavo Selva (P2), Alberto Ronchey. Segretario generale Lino Caputo, altri aderenti Giuseppe Are, Sergio Cotta e Pietro Bucalossi. Strumento della propaganda sarà il Giornale nuovo, di Indro Montanelli che il 29 marzo 1977 dirà: «Una nuova alleanza di intellettuali che non si arrendono al compromesso storico».
Guardando a così tanto “blasonata” storia di Paolo Mieli si capisce perché, sul caso Moro, sostiene la tesi di Vladimiro Satta, che a sua volta sposa la tesi del potere piduista-Nato, che è identica nella sostanza politica a quella dei brigatisti Morucci-Faranda, pensata e scritta nel “memoriale” dal democristiano di destra Remigio Cavedon con lo scopo di far credere che lo Stato è innocente e che le Brigate “rosse” hanno fatto tutto loro.
La guerra psicologica non è giornalismo, ma è sempre al lavoro e produce carriere spettacolari.
____________________________________________________
*Le testate create dal PWB-IRD:
- a Palermo: Sicilia liberata, uscito tra il 6 agosto 1943 e il giugno 1944;
- a Messina: Notiziario di Messina, uscito il 23 ottobre 1943;
- a Napoli: Il Risorgimento, uscito il 4 ottobre 1943. Nacque dalla fusione delle tre testate cittadine: Il Mattino, il Roma ed il Corriere di Napoli, sospesi dagli anglo-americani. Quotidiano indipendente dal 1945;
- a Roma: Corriere di Roma, uscito dal 6 giugno 1944 al 19 gennaio 1945. L’unico giornale ad ottenere l’autorizzazione senza essere né un quotidiano di partito né una testata creata dal PWB fu Il Tempo, uscito il 5 giugno 1944;
- a Firenze: Corriere di Firenze dal 23 agosto 1944, poi Corriere del Mattino (25 ottobre). Fu ceduto al Comune di Firenze, che subentrò il 12 febbraio 1945, modificando successivamente la testata ne Il Nuovo Corriere (20 giugno). Ebbe vita fino al 7 agosto 1956;
- a Bologna: Corriere dell’Emilia, esce il 2 maggio 1945, il 6 giugno diventa «Quotidiano indipendente della Valle Padana»; esce fino al 16 luglio 1945
- a Milano: il Giornale lombardo, dal 2 maggio 1945;
- a Torino: il Corriere del Piemonte, dal maggio al 15 luglio 1945;
- a Genova: Il Corriere Ligure, dal 3 maggio al 15 luglio 1945.