Nonostante le evidenze storiche, in vari paesi dell’America Latina, come l’Argentina, abbondano coloro che pensano che l’intervento statunitense negli affari interni sia una fantasia. L’equivoco è stato alimentato da formatori dell’opinione pubblica alleati o cooptati dalla diplomazia statunitense, come hanno rivelato i dispacci diffusi da Wikileaks, in cui sono numerosi i riferimenti ai legami tra l’Ambasciata e il sistema tradizionale dei media che in Argentina è diretto dal multimediale Clarin. Un dettaglio: fare riferimento alla sede diplomatica statunitense come “l’Ambasciata” rende esplicito fino a che punto si è arrivati a considerare gli Stati Uniti come un faro politico. Ma non sono le sedi diplomatiche le uniche che promuovono le attività interventiste degli USA nella regione. Il paese del Nord conta su una complessa rete di organismi che, con varie facciate, sono stati e sono utilizzati per compiti sporchi che vanno dallo spionaggio e la formazione di quadri dirigenti necessari fino alla destabilizzazione di governi ed economie con il suo conseguente costo politico e sociale.
Una delle organizzazioni più attive è la United States Agency International Development (USAID), l’organismo che gli USA crearono proclamando l’intenzione di promuovere iniziative umanitarie nei paesi del Terzo Mondo. La sua origine risale all’Alleanza per il Progresso, creata il 13 marzo 1961 dagli stessi funzionari che diversi anni prima avevano varato il Piano Marshall con l’intenzione di porre il loro paese alla testa della ricostruzione dell’Europa del dopoguerra. L’Alleanza naufragò poco dopo la sua nascita poiché i paesi della regione rifiutarono le condizioni della “rivoluzione pacifica e democratica” che pretendevano imporre gli Stati Uniti in cambio dei 20.000 milioni di dollari che avevano promesso di investire. Ma prima che essa venisse cancellata, nel novembre del 1961 venne fondata USAID, una delle sue agenzie che avrebbe dovuto veicolare parte degli investimenti a programmi di sviluppo umanitario, facciata che si è conservata fino ad oggi.
La fantasia filantropica le ha permesso di forgiare, attraverso generosi contributi finanziari, una rete di fondazioni e ONG destinata a far conoscere i vantaggi dell’allineamento agli Stati Uniti e all’ “american way of life” mediante la propaganda e programmi di formazione. Ma questo è solo il volto amabile dei suoi compiti. Anche se imbellettato, il vero volto dell’agenzia è più ostile: intervenire nei processi politici della regione con il pretesto di proteggere la sicurezza nazionale del proprio paese.
La militarizzazione degli obiettivi di USAID ha raggiunto il culmine nel 2010 quando il presidente Barack Obama ha inserito il generale Jeam Smith – uno stratega militare che è stato nella NATO – nel Consiglio di Sicurezza solo per occuparsi dei programmi di “assistenza sociale” portati avanti dall’agenzia. E come vice-direttore è stato nominato Mark Feierstein, il cui curriculum corrisponde alle sfide che gli Stati Uniti affrontano nella regione: esperto in guerre di quarta generazione – o campagne di disinformazione – e proprietario di Greenbarg Quinlan Rosler, una impresa che offre servizi strategici per campagne elettorali, dibattiti, programmazione e indagini.
Allergico ai governi popolari che si stanno estendendo in America Latina, Feierstein ha provato l’efficacia del suo metodo come consigliere di Gonzalo Sánchez de Lozada durante la campagna che lo portò alla presidenza della Bolivia. Goñi, come veniva chiamato in patria, rappresentò il parossismo della dipendenza coloniale che gli USA hanno imposto negli anni novata ai paesi del Sud. Creato, educato e formato su suolo statunitense Sánchez de Lozada tornò nella sua terra di nascita per essere presidente per mano di Feierstein. Rimase in carica poco più di un anno: il cosiddetto “Massacro del Gas”, nel 2003, in cui morirono più di sessanta persone, lo rimosse dal potere e lo rispedì negli Stati Uniti, dove vive come profugo della Giustizia boliviana coperto dal governo che ha nominato il suo amico Feierstein alla guida di USAID.
Le scorrerie del suo direttore non sono l’unico elemento che lega l’agenzia alla Bolivia. Lo scorso 1 maggio, il presidente Evo Morales non sapeva ancora che lo scandalo Snowden lo avrebbe reso protagonista di una vergognosa detenzione in Europa. Però conosceva bene ciò di cui USAID è capace. Per questo, nella giornata simbolica in cui i lavoratori celebrano la loro ricorrenza, il presidente annunciò che avrebbe espulso l’agenzia dal suolo boliviano per “ingerenza politica” e “cospirazione”. Alcuni giorni dopo, il ministro della Presidenza, Juan Ramón Quintana, precisò: “non si tratta di un’agenzia innocente di cooperazione filantropica degli Stati Uniti con la Bolivia e con il mondo. L’agenzia statunitense è servita per legittimare le dittature tra il 1964 e il 1982, per promuovere il neoliberalismo tra il 1985 e il 2005, oltre a rappresentare un fattore esterno che alimenta l’instabilità nel paese dal 2006”.
Uno dei fatti che ha richiamato l’attenzione del governo boliviano è stato la concretizzazione, nel 2007, di un incontro tra il prefetto di Pando, Leopoldo Fernández, e USAID per portare avanti “programmi sociali” a Bolpedra, Cobija e El Porvenir. L’appoggio logistico era a carico del Comando Sud e la copertura istituzionale di Iniciativa de Conservación de la Cuenca Amazónica. Un altro episodio che ha motivato l’espulsione è stato l’attiva partecipazione dell’agenzia statunitense attraverso Wildlife Conservation Society nel conflitto violento tra gli abitanti di Caranavi e Palos Blancos sul luogo dell’installazione di un impianto per la lavorazione della frutta nel gennaio 2010, a pochi giorni dall’insediamento di Evo Morale nel suo primo mandato presidenziale nello Stato Plurinazionale.
L’utilizzo di organizzazioni e ONG per esternalizzare operazioni è pratica abituale di USAID. In Argentina, per citare un caso, ci sono una decina di fondazioni che operano per nome e per conto dell’agenzia statunitense. Che i movimenti siano più nascosti non implica che siano meno potenti. Un esempio: tra l’8 e il 12 aprile di quest’anno USAID ha finanziato un vertice della destra internazionale. Organizzata da Fundación Libertad – il tentacolo prediletto dell’agenzia in Argentina -, all’evento hanno partecipato il Nobel Mario Vargas Llosa e suo figlio Álvaro – ostili ai governi popolari della regione -; José María Aznar – ex presidente spagnolo che premette per l’invasione dell’Iraq -; il “pinochettista” Joaquín Lavín; Marcel Granier, presidente dell’emittente venezuelana RCTV che ha appoggiato e promosso il golpe contro Hugo Chávez nel 2002 e la cubana anticastrista Yoani Sánchez, che all’ultimo momento ha dato disdetta.
Il seminario ha abbondato nelle critiche contro i processi di emancipazione della regione. E i relatori, senza sottigliezze, hanno chiesto di farla finita con i governi popolari attuali per rimpiazzarlo con altri più “moderni”, in sintonia con i concetti di “democrazia” che gli USA hanno imposto come dottrina globale. Non è stata certo un’impostazione originale. Cinque anni prima nel medesimo scenario, si era realizzato un seminario simile, con lo stesso Vargas Llosa come animatore principale.
Quel seminario poteva contare sulla presenza di “esperti” allineati alle politiche del Consenso di Washington come il giornalista di La Nación Carlos Pagni, l’ex candidato presidenziale Ricardo López Murphy, e Mauricio Macri, reggente della Fundación Pensar, co-organizzatrice dell’evento.
Queste fondazioni, come altre similari che operano nella regione, contano sull’avallo finanziario del National Endowment for Democracy (NED), finanziata ufficialmente dal Congresso nordamericano. Ma il legame non si limita ai contributi. Negli anni ottanta, molto prima di essere direttore di USAID, l’ineffabile Ferenstein aveva lavorato per la NED in Nicaragua. Suo obiettivo: evitare la vittoria del sandinista Daniel Ortega. Lo raggiunse patrocinando la candidatura di Violeta Chamorro.
Le operazioni dell’accoppiata USAID-NED in America Latina vennero rivelate da Wikileaks, il sito che ha diffuso milioni di telegrammi confidenziali del Dipartimento di Stato. In uno di questi, l’ex ambasciatore statunitense in Venezuela, William Brownfield, rivelava come il suo paese aveva alimentato l’opposizione a Hugo Chávez con idee e milioni. Il telegramma, inviato dall’ambasciata degli USA a Caracas nel novembre 2006, dettagliava come decine di organizzazioni non governative avevano ricevuto finanziamento dal governo nordamericano attraverso USAID e l’Ufficio di Iniziativa di Transizione (OTI). Questa operazione includeva “più di 300 organizzazioni della società civile venezuelana”, che andavano dalla difesa dei disabili fino ai programmi educativi.
Apparentemente, questi programmi avevano obiettivi umanitari, ma è stato lo stesso ambasciatore Brownfield a precisare gli obiettivi reali di tali investimenti: “l’infiltrazione tra la base politica di Chávez…la divisione del chavismo…la protezione degli interessi vitali degli USA…e l’isolamento internazionale di Chávez”.
Brownfield scriveva che “l’obiettivo strategico” di far crescere “organizzazioni della società civile allineate con l’opposizione rappresenta la maggior parte del lavoro di USAID/OTI in Venezuela”.
Con una eccezione al suo modo di operare, in Paraguay l’agenzia ha fatto il lavoro sporco senza intermediari. Ha investito 65 milioni di dollari nel progetto “Umbral”, un programma che comprendeva la redazione di un Manuale della Polizia, il che ha permesso di avere accesso a una istituzione che sarebbe risultata essenziale negli sviluppi politici del paese. E’ stata la polizia, con una brutale ingiustificata repressione dei contadini, a servire su un piatto d’argento la scusa per rovesciare il presidente Fernando Lugo. Già lo aveva previsto il presidente della Corte argentina Raúl Zaffaroni: sepolto il partito militare, sono le forze di sicurezza ad esercitare il ruolo di forza d’urto dei poteri forti della regione interessati a interrompere processi politici che contrastano i loro interessi.
Le operazioni dell’agenzia rivelano che la vera minaccia al consolidamento del processo politico della regione non è lo spionaggio, ma le decisioni che gli Stati Uniti prendono a partire dalle informazioni ricevute. Come si è dimostrato in Iraq – dove il Pentagono ha utilizzato informazioni false per giustificare l’invasione – è assolutamente ininfluente che i dati siano poco consistenti. Basta che la CIA o qualche altro organismo simile valutino che qualche paese dell’America Latina rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale statunitense perché si proceda con attacchi preventivi verso questa nazione. L’avanzata può essere brutale, come in Iraq, o più sofisticata , per eseguire compiti che destabilizzino un governo popolare. Una cospirazione che non conosce mai sosta.
Tutti sotto controllo
A partire dalle rivelazioni di Edward Snowden, l’ex impiegato della CIA e della NSA degli Stati Uniti, si è sollevato il coperchio della rete di spionaggio di Barack Obama. Tutto è iniziato quando venne offerta a The Guardian e a The Washington Post la pubblicazione di documenti e informazioni confidenziali. Si è continuato con l’episodio del sequestro del presidente Evo Morales dopo la sua visita in Russia, dove si supponeva si trovasse Snowden, quando non gli hanno premesso di usare lo spazio aereo di Spagna, Italia, Portogallo e Francia poiché si sospettava che Snowden fosse nascosto sull’aereo. Il fatto ha meritato la condanna da parte di tutti i presidenti di Unasur che si sono immediatamente riuniti in Bolivia, per esprimere il loro appoggio a Evo. Mentre Snowden cercava asilo politico e gli Stati Uniti tentavano di dargli la caccia in tutto il pianeta, sono stati rivelati altri documenti, pubblicati questa volta dal quotidiano brasiliano O Globo. Si è saputo che la rete di spionaggio degli Stati Uniti si è estesa a tutta l’America Latina, operando fortemente in Brasile, Messico e Colombia, ma mettendo anche sotto rigida osservazione paesi come Argentina, Venezuela, Ecuador, Cile, Perù e Panama. I dati confermano lo spionaggio attraverso satelliti di comunicazione telefonica, posta elettronica e conversazioni online, fino almeno al marzo di quest’anno. Il monitoraggio si realizzava attraverso programmi di software: il Prism che permette l’accesso a e-mails, conversazioni online e chiamate di utenti di Google, Microsoft e Facebook e di Boundless Informant, che permettevano di violare ogni tipo di comunicazione internazionale, fax, e-mails, tra l’altro. Gli argomenti più controllati dalle spie sono stati petrolio e azioni militari in Venezuela, energia e droghe in Messico, una mappatura dei movimenti delle FARC in Colombia, oltre all’agonia e alla morte di Hugo Chávez.
La presidente Cristina Fernandez Kirchner ha espresso la propria preoccupazione nella manifestazione del 9 luglio a Tucumán e ha dichiarato: “Vengono i brividi alla schiena quando veniamo a conoscere che ci stanno spiando tutti attraverso i loro servizi di informazione. Più che rivelazioni, sono conferme che abbiamo di ciò che stava avvenendo”. E ha colto l’occasione per lanciare un monito: “I governi dei popoli dell’America del Sud, che hanno dato battaglia in questo decennio insieme a milioni di compatrioti, hanno il dovere di guardare con attenzione a ciò che sta succedendo e di unire le loro forze”.
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Traduzione di Marx21.it 22 Luglio 2013