by DameVerte
ago 3, 2013
Stamattina mi sono trovata, di nuovo, a guardare il bellissimo cortometraggio “Giulia ha picchiato Filippo” girato da Francesca Archibugi per l’associazione Differenza Donna ONLUS (lo trovate in fondo a questo post). Questa visione ha fatto sì che, dentro di me, balenassero numerose domande sulla vita di noi donne, su come affrontiamo determinate situazioni di violenza e sopraffazione e, soprattutto, su come ci viene chiesto di affrontarle.
Mi spiego meglio: quante, guardando la scena della bambina che è riuscita, finalmente, a difendersi dalle numerose angherie del coetaneo violento, si è ricordata di episodi della propria vita, vissuti non necessariamente nell’infanzia?
A quante di noi è capitato di sentirsi esattamente come Giulia: costretta ad abbassare la testa e a chiedere scusa per aver risposto ad un compagno aggressivo o, in alcuni casi, violento? Colpevolizzata per aver reagito, per non aver porto “l’altra guancia”?
Non penso solamente ai casi di violenza fisica, ma anche a quelli di violenza psicologica, economica, sessuale.
Quante donne vengono, spesso, isolate dagli altri e additate come “cattive compagne”, “cattive madri”, “cattive mogli” perchè incapaci di accettare le angherie, le prepotenze e quanto, molti uomini, danno per scontato siano sempre le donne a chiedere scusa per qualsiasi cosa, anche quando sarebbe più coerente lo facessero loro?
Ad un certo punto del video, la situazione viene descritta con queste parole che trovo estremamente pertinenti: “L’appartenenza culturale ad un mondo che, comunque, giustifica la violenza maschile è un’appartenenza di tutte le donne. Se tu cresci in un contesto in cui sei abituata ad una minimizzazione dei comportamenti violenti, tu cresci con l’idea che alcune cose possono accadere.”
Perchè è esattamente questo il mondo in cui viviamo: ci troviamo ostaggio di una società che crede sia normale per una donna rinunciare a se stessa, al proprio carattere, alle proprie opinioni personali per poter valorizzare e giustificare sempre l’uomo che è al suo fianco.
Se un uomo alza la voce e offende la sua compagna, le dice parolacce e/o la insulta mancandole di rispetto viene vissuto come un comportamento giustificabile da chi è loro intorno. Facilmente, la donna si sentirà rispondere che lui è stato “provocato”, che lei “se l’è cercata”, che “si sa, gli uomini reagiscano in modo più aggressivo delle donne”; ma, se la donna risponderà a tono, o, finalmente, dopo mesi o anni di soprusi, arriverà ad alzare la voce, a sfogare tutta quella rabbia e quella frustrazione che si è sentita crescere dentro per tutto quel tempo, sarà vista dagli altri come “eccessiva”, come “impulsiva”, alle volte addirittura come “instabile” e “violenta”.
Non contano i motivi, non contano i mesi o gli anni in cui ha dovuto subire senza poter reagire e affermare se stessa, conta solo il gesto che, per una donna, è ancora considerato “indicibile”.
Mi è capitato di sentire numerosi racconti, da parte di donne che hanno cercato conforto e comprensione in conoscenti e amiche, sulle reazioni che alcune di queste ultime hanno avuto nei loro confronti: alcune sono state giudicate molto negativamente, si sono sentite definire “di strette vedute”, si sono sentite accusare di essere loro stesse la causa del loro male. Pochissime di loro sono riuscite a trovare una spalla, un abbraccio, una parola amica.
Questo perchè, ormai, la società è permeata da questa accettazione e anche molte donne la giudicano come “normale”.
Non è violenza anche quella del mondo esterno, allora, che continua a volerci mute e sorridenti, costrette a chiedere scusa anche quando non vogliamo, proprio come fanno gli adulti di questa storia con la piccola Giulia? Non è violenza anche farci crescere con questo senso di colpa che, se reagiamo, se ce ne andiamo, se alziamo la voce, siamo noi quelle che sbagliano?
Anche Giulia cerca disperatamente di farsi capire da quei “grandi” che dovrebbero proteggerla e stare dalla sua parte, cerca di spiegare che “Filippo mi picchia sempre”, ma l’unica risposta che riceve dalla maestra è: “Ma tu sei una bambina, gli hai anche fatto uscire il sangue.”