Per la prima volta il cardinal Pell svela ufficialmente la cifra versata dalla Santa Sede: 406 milioni di dollari. E in un documento inedito ammette il nesso tra Marcinkus, la Banca Vaticana, Calvi e soprattutto Sindona.
Francesco Peloso
opo gli scandali del 1982 nella banca Vaticana con l’arcivescovo Marcinkus e i banchieri laici Michele Sindona e Roberto Calvi (l’ultimo trovato impiccato sotto il ponte dei Blackfriars sul Tamigi, ndr) quando il Vaticano fu costretto a pagare 406 milioni di dollari Usa in risarcimenti, era tornata una relativa serenità, finché non vennero applicate all’interno del Vaticano le leggi internazionali contro il riciclaggio di denaro». Poche frasi, ma estremamente chiare quelle messe nero su bianco dal cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia del Vaticano un paio di anni fa, nel 2015.
IL NESSO TRA IOR E SINDONA. Il testo, in apparenza semplice nel suo riferirsi allo scandalo del banco ambrosiano e al coinvolgimento della Santa Sede nella vicenda, ha un valore storico poiché si tratta di una delle rarissime ammissioni pubbliche di un porporato della Curia romana (per altro membro pure del C9, il gruppo ristretto di cardinali-consiglieri del Papa) in merito alla cifra versata dalla Santa Sede come forma di risarcimento in seguito al crac del Banco Ambrosiano. Cifra precedentemente quantificata ufficiosamente in 250 milioni di dollari. Inoltre, nella rapida descrizione del porporato, altrettanto evidente e netto, e non scontato, è il nesso fra Marcinkus, lo Ior, Calvi e soprattutto Sindona, il banchiere legato alla mafia. Insomma, in poche righe il cardinal Pell ha detto molte cose.
LE RESPONSABILITÀ DELLO IOR. Che la Santa Sede avesse raggiunto un accordo per versare un risarcimento in seguito alla bancarotta dell’Ambrosiano «come contributo volontario» ai creditori era noto: a cominciare dal negoziato condotto dal cardinale Agostino Casaroli, all’epoca dei fatti Segretario di Stato, per chiudere la drammatica vicenda, passando per le responsabilità dello Ior nell’esposizione finanziaria della banca guidata da Roberto Calvi, sempre negate dal Vaticano ma individuate dal governo italiano e in particolare dal ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, senza dimenticare il complesso intreccio affaristico e societario fra banca vaticana e Ambrosiano che portò alla bancarotta dell’istituto. Si tratta di uno dei più gravi scandali politico-finanziari del Dopoguerra con infinite implicazioni (mafia, P2 e via dicendo) di cui la morte mai chiarita del banchiere Roberto Calvi ricordata dal cardinale è simbolo drammatico. Mentre l’accordo fra Santa Sede e Stato italiano (e banche creditrici) venne in ogni caso sottoscritto a Ginevra nel maggio nel 1984.
Tuttavia l’ammissione da parte di un cardinale con incarichi di governo, per di più l’attuale responsabile delle finanze d’Oltretevere, dei milioni di dollari versati è un fatto inedito. La cifra circolata a lungo e fatta propria da molte inchieste giornalistiche, era quella di un versamento di 250 milioni di dollari (circa 400 miliardi di lire dell’epoca). In realtà qualche ulteriore indagine, fra cui spicca il celebre Finanza bianca di Giancarlo Galli pubblicato nel 2004, aveva già fatto riferimento ai 406 milioni di dollari. Ma ora il dato è certificato dalla Santa Sede in modo non informale, e in qualche modo il fatto, pure noto, costituisce un punto d’arrivo di una vicenda terribilmente intricata quanto decisiva nel definire la storia della Chiesa in epoca moderna.
LA RELAZIONE NELLO IUS MISSIONALE. La relazione di Pell infatti è contenuta in un numero della rivista-annuario della Pontificia università urbaniana (Ius Missionale) nella quale si faceva il punto sulle riforme in ambito finanziario portate avanti da papa Francesco. E forse è proprio la distanza dai fatti in questione, e la necessità di dare ulteriore motivazione alla spinta verso un sistema nuovo, efficiente e fondato sugli standard internazionali dell’antiriciclaggio ad aver indotto il cardinale a precisare gli eventi. Il paragrafo in questione non a caso s’intitola Pressioni per cambiare. Del resto, poco oltre, Pell partendo dall’introduzione farraginosa delle leggi antiriciclaggio in Vaticano (iniziata alla fine del 2010 e proseguita negli anni successivi) afferma: «Le autorità di controllo sullo Ior non si mossero abbastanza velocemente, e alcune decine di milioni di euro dello Ior furono congelate dalla Banca d’Italia (settembre 2010, ndr) e molte banche europee si rifiutarono di trattare con il Vaticano». «Una grave situazione», aggiunge il porporato di origine australiana, «dove il peggio fu evitato per un pelo». Pell poi elogia l’Aif, l’Autorità d’informazione finanziaria del Vaticano, simile ad altri istituiti analoghi presenti «in ogni nazione occidentale con lo scopo di sradicare e prevenire il riciclaggio di denaro». Il cardinale sottolinea infine come l’Aif sia guidata da esperti laici di provenienza internazionale.
L’ALLARME DELLE BANCHE. Interessante, in questo caso, il riferimento al ritardo nell’applicazione degli standard antiriciclaggio che in effetti aveva avuto conseguenze pesanti per il Vaticano, fino a sfiorare la quasi impossibilità a compiere operazioni e transazioni finanziarie anche minime fra la fine del 2012 e l’inizio del 2013. Lo Ior infatti non ha sportelli al di fuori della Città del Vaticano e quindi per operare si deve appoggiare ad altri istituti di credito. In un’accurata inchiesta pubblicata dal Financial Times nel dicembre del 2013 (costruita nell’arco di 11 mesi e dopo aver ascoltato almeno una ventina fra banchieri e operatori finanziari) si rilevava come molte banche che operavano con lo Ior erano entrate in allarme per il timore di vedere macchiata la propria reputazione e di essere messe nel mirino delle autorità di vigilanza in materia di antiriciclaggio. Per questo fecero pressione sul Vaticano affinché si mettesse in regola con la normativa sulla trasparenza finanziaria.
Cruciale in questo caso il periodo immediatamente precedente alle dimissioni di Benedetto XVI (febbraio 2013) il quale, forse non casualmente, a rinuncia già annunciata, nominava in autonomia quale presidente dell’istituto per le opere di religione (la carica era vacante dal maggio del 2012 quando il presidente Ettore Gotti tedeschi fu indotto dal board dell’istituto a rassegnare le dimissioni), Ernst Von Freyberg, finanziere tedesco che avviò, non senza difficoltà, un’azione di trasparenza effettiva. E del resto, spiega ancora Pell «negli incontri pre-conclave che precedettero l’elezione di papa Francesco ci fu un quasi unanime consenso tra i cardinali sulla necessità di riformare e regolarizzare i mondi bancari della Curia e del Vaticano».
IL NODO DEL FONDO PENSIONI. Situazione che per molti versi non sarà comunque facile regolarizzare se è vero che ancora non sono stati pubblicati i nuovi bilanci della Santa Sede che dovevano segnare uno dei passaggi chiave nella riforma della Curia. Anche in questo caso tuttavia è un particolare a mostrare le difficoltà reali della Santa Sede. «Il Vaticano non è in bancarotta», osservava il cardinal Pell nello stesso documento, «però il Fondo pensioni necessità di investimenti sostanziali per poter affrontare i suoi obblighi tra 10 o forse 20 anni e stiamo affrontando e riscontrando un deficit annuale di circa 30 milioni». Questo considerando che i dipendenti fra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano sono circa 4800.
UNA RIFORMA IN SALITA. Mentre la riforma finanziaria vaticana, fra passi avanti e improvvisi stop, prosegue il suo percorso non facile, lo stesso cardinale Pell, per altro coinvolto nello scandalo degli insabbiamenti degli abusi sessuali sui minori da parte del clero australiano, concludendo la sua relazione osserva: «Stiamo andando nella direzione giusta. Una principessa tedesca mi ha detto che molti vedono il Vaticano come una vecchia famiglia nobile in lento declino economico verso la bancarotta. Era previsto che fossero incompetenti, stravaganti e facili vittime dei ladri. Speriamo che questa opinione vada dissolvendosi».
04 giugno 2017