di Alessandro Robecchi
Colpo di scena, tutti stupiti che ci sia ancora la destra. Grandi oh! di sorpresa, analisi messe su in fretta e furia per spiegare il contrario di quello che si era spiegato fino al giorno prima. Questo ci ricorda due cosette da nulla: la prima, il blocco sociale della destra c’è, esiste, non se n’è mai andato. La seconda, i voti di destra che Matteo Renzi aveva programmaticamente detto di voler attrarre (testuale: “Se con i nostri voti abbiamo non vinto, per vincere davvero i voti li andiamo a cercare di là”) non sono arrivati, non arrivano mai, preferiscono l’originale, seppur sbiadito, alla copia, com’era prevedibile (e come si è ripetuto fino alla nausea, avendone sempre in cambio sberleffi e contumelie, vabbé).
La mucca in corridoio di Bersani ora è una mandria, difficile non vederla. E in più, per restare alla metafora, c’è qualche maiale in cucina.
Tipo gli eletti di Casa Pound, per dire, o la lista Fasci Italiani del Lavoro che prende il 10 per cento in un paesino vicino a Mantova con tale Fiamma Nerini, 20 anni, ragioniera. Consiglio un viaggetto tra le pagine Facebook sue (ma ora le ha chiuse), del padre Claudio Negrini, fondatore del movimento, e del movimento stesso, posti dove si festeggia la presa di Addis Abeba, per dire dell’aderenza al presente e dell’odore di olio di ricino.
Come sia possibile che l’immagine di un fascio littorio compaia su un simbolo elettorale, venga stampato su una scheda e addirittura votato da 334 persone che nel caldo afoso della bassa hanno scelto una granita alla merda, è una cosa che dovrebbe spiegarci il ministero degli Interni. Si vede che la battaglia per il decoro non è ancora arrivata alle schede elettorali e si limita ai diseredati.
Naturalmente si può minimizzare, archiviare tutto come marginalità folkloristica, cavarsela con l’irrisione della macchietta, sorridere davanti alle cartoline del Ventennio, cose che in effetti qualche risata la strappano. E però i segnali si moltiplicano, le barzellette in orbace si affacciano alle cronache sempre più spesso, al punto che passa la voglia di sghignazzare. La torta con la svastica con cui Casapound di Lodi ha festeggiato il compleanno di un suo dirigente è piuttosto indicativa. Risultano le allarmate proteste delle comunità ebraiche italiane e poco altro, come se ci si trovasse al cospetto di un cretino che si veste da Uomo Ragno o una goliardia da gente che ha studiato poco. Insomma, si lascia correre (non risulta sia arrivata la polizia, ecco). A Roma, i cartelli contro i negozi stranieri affissi dai bellimbusti di Azione Frontale (urca!) sono passati via come una bravata. Anche lì non risultano retate. A Milano, città Medaglia d’oro della Resistenza, un manipolo di
Lealtà Azione ha pensato bene di andare al Cimitero Maggiore a fare il saluto romano ai camerati defunti. Gli stessi che qualche giorno dopo hanno partecipato a un’iniziativa (contro la pedofilia, andiamo, chi non è contro?) che ha ottenuto il patrocinio del municipio 7 della città. Dunque, ci è toccato pure vedere il logo dei filonazi accanto a quello del Comune, che si è poi fortunatamente – e dopo molte proteste – dissociato. E questo senza contare i periodici spettacolini con labari e gagliardetti, o i concerti dove si canta di difesa della razza.
Si sa che i paragoni storici valgono quello che valgono, l’Italia non è Weimar, una ragioniera della pianura mantovana non è un pittore austriaco coi baffetti da pirla, quelli che tagliano la torta con scritto Sieg Heil! non invaderanno la Polonia, d’accordo. Però si sappia che il virus è in circolo, che quotidianamente si infrange la legge inneggiando alle peggiori pagine della nostra storia, e che chiudere un occhio, anche due in certe occasioni, non ha frenato il fenomeno. Che il maiale in cucina, insomma, puzza un bel po’.