Ci inchiniamo all’autore di questo bellissimo saggio di lungimirante poetica visione.
MOWA
Vedi Renzi da Gruber
Lo vedi e lo senti, soprattutto: con la sua mitraglia di parole, slogan, battute, allitterazioni, sarcasmi, attacchi, variazioni, smorfie, controsmorfie, sorrisi, aggrottamenti, smarcamenti, fughe laterali, riapparizioni al centro, finte di corpo e tackle di caviglia, scatti improvvisi, frenate, bilocazioni, pacche sulle spalle, gesti dell’ombrello, allusioni, metonimie, sineddochi, paso doble, sombreri, controfinte, poi la palla buttata da una parte, poi dall’altra, poi nascosta dietro la schiena, poi fatta riapparire con uno sberleffo, poi ancora una battuta, un sorriso, un grugno, poi la palla di nuovo lanciata lontano e subito dopo tra le sue braccia o nascosta sotto la maglietta con un marameo.
Vedi Renzi da Gruber, con tutti i suoi effetti speciali, e capisci perché divide l’Italia in due, gli Ammaliati e gli Stanchi, gli Entusiasti e i Non Ne Posso Più – e capisci anche che più passa il tempo più i primi tenderanno a diminuire, a ridursi in una curva sud di dopati, mentre i secondi inevitabilmente cresceranno, di numero e di stanchezza – ogni circo troppo chiassoso e luccicante dopo un paio d’ore satura e nessuna sospensione d’incredulità può durare all’infinito, se non per i dopati appunto.
Vedi Renzi da Gruber, con i suoi fuochi d’artificio sparati ad altezza d’uomo, con i suoi motteggi irridenti e le sue piccole furberie di provincia gabellate per intelligenza, vedi questo tizio un po’ acrobata, un po’ derviscio e un po’ ribaldo, vedi il compagno di classe che alle gite scolastiche iniziava il suo urlante spettacolo sull’autobus già alle otto del mattino, e fino alle dieci tutti ridevano, poi qualcuno iniziava a stancarsi, a mezzogiorno non se ne poteva più e al ritorno se riprovava ad aprire bocca veniva menato.
Vedi insomma quest’uomo colmo di se stesso e incapace di cambiarsi, lo vedi andare incontro festante al suo inevitabile destino portandosi nella voragine il partito che fu della speranza e dell’uguaglianza, ed è inevitabile starci un po’ male, scuotere la testa, e sperare nel cuore che ce la facciano i calmi e pacati che tra mille ostacoli e centomila contraddizioni stanno provando a costruire altro, altrove, in altro modo. Perché a loro resterà la palla – la palla dell’uguaglianza e della civiltà, della coesione sociale e dello stay human – quando il funambolo rimarrà solo coi suoi ultimi incauti seguaci, e tutti gli altri gli avranno detto basta, è finita, non c’è più pubblico, è davvero ora di spegnere le luci.
15 giu