Ubbidire a degli ordini per un militare è un obbligo verso quel paese dove haigiurato fedeltà ma è, anche, obbligatorio (e non facoltativo) per un ufficiale dire la verità ai propri commilitoni sui rischi che si corrono facendo quel tipo d’azione. Se viene meno questo reciproco patto si rompe il sodalizio su cui si basa l’istituzione democratica. Anzi, si possono ipotizzare gli estremi per un reato d’omissione. Sappiamo, anche, però, che alcune figure istituzionali sono ben reticenti di dimostrare un sincero approccio alla democrazia. Si sa, inoltre, che in ambito militare a furia di comandare si perde l’orizzonte di cosa sia l’equilibrio per l’espansione del consenso democratico.
Troppo spesso vengono usati soldati, agenti… per assecondare scelte politiche sbagliate senza tener conto che costoro sono, prima di tutto e innanzitutto, esseri umani e non cose. Infatti, la visione del mondo che considera gli esseri umani alla stregua delle merci sono familiari solo nelle case dei ricchi o dei loro ruffiani.
Pasolini (come noi), giustamente, chiamava figli del popolo gli agenti della Polizia, che vorrebbero una società in cui la giustizia sociale sia scritta con la G maiuscola e le regole siano tali partendo dall’assunto di essere degli eguali. Purtroppo (e ne siamo dispiaciuti), molti ingenui soldati, agenti… credono che le scelte dei loro “superiori” siano sempre in buona fede quando, invece, abbiamo dimostrazione di infedeltà alla Costituzione come negli episodi della Uno bianca, dei generali – colonnelli – iscritti alla loggia massonica P2, dei servizi segreti che hanno contribuito alla strategia della tensione degli anni ’70-’80, dei militari reticenti sul caso di Ustica…
Questo 344esimo spiacevole episodio (vedi sotto) è l’ulteriore caso in cui si dimostra l’errore delle guerre e che l’onestà verso la Repubblica e le sue leggi non è, spesso, patrimonio di tutti… anche se con la divisa.
MOWA
Non ce l’ha fatta, Antonio Attianese, il militare ammalato di tumore dopo essere stato in missione in Afghanistan. E’ morto sabato nella sua casa di Sant’Egidio del Monte Albino, in provincia di Salerno. A darne notizia sono state le associazioni Assoranger e Assomilitari, entrambe fondate da commilitoni che avevano abbracciato la sua causa, tentando di convincere le istituzioni a far ottenere, quantomeno, un adeguato indennizzo per le vittime dell‘uranio impoverito. Arruolatosi negli Alpini paracadutisti, Attianese aveva partecipato a due missioni in Afghanistan: a Kabul per Isaf dal maggio al settembre 2002; a Khost per Enduring Freedom dal febbraio al maggio 2003. Al suo rientro, poi, la scoperta: carcinoma alla vescica. 35 interventi chirurgici, asportazione della vescica e un trattamento di chemioterapia sperimentale. Tutto inutile. “Non ho mai saputo – aveva detto Attianese alla Commissione parlamentare – della pericolosità dell’uranio impoverito, mai saputo che in quelle zone c’era da difendersi anche da questo nemico invisibile. Quando chiedevamo informazioni ai nostri superiori sui rischi, ci dicevano che erano sciocchezze inventate per andare contro il Governo ed i militari”. Dopo i primi interventi “senza né una telefonata né alcuna assistenza dalla mia caserma”, nel 2005 tentò di richiedere un rimborso delle spese sostenute. A quel punto, raccontò – “sono stato convocato a rapporto da un capitano e da altri ufficiali ed ho subito minacce ed intimidazioni che ho registrato col telefonino. Quelle parole mi hanno provocato un malessere forse anche peggiore della malattia: mi hanno fatto sentire in colpa per essermi ammalato”.