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di Pietro Orsatti
A Roma la mafia non c’è. Non scherziamo. Ci sono banditi, gangster, estorsori, trafficanti, assassini, corrotti e corruttori, ladri, rapiinatori, politici complici e imprenditori che contano e riciclano denaro illecito, ma la mafia no. Qualche mafioso c’è, viene dal quell’altra Italia che inizia dopo Cassino e quando vengono nella Capitale ovviamente è solo per turismo.
La presidente Rossana Ianniello inizia a leggere la sentenza in aula e toglie ogni dubbio immediatamente. Per tutti gli imputati non viene riconosciuta l’associazione mafiosa e neppure l’aggravante del “metodo mafioso”. Le sentenze sono pesanti, 20 anni a Massimo Carminati e 19 a Salvatore Buzzi e 11 a Luca Gramazio, il più in vista degli imputati politici. Ma è una sentenza che esclude categoricamente la presenza di un’associazione criminale con modalità e natura mafiosa. Comprensibile che i due avvocati di Carminati, padre e figlia, mostrino soddisfazione. Ippolita Naso è categorica: “hanno certificato che Mafia Capitale non esiste”. Il padre Giosuè Naso, storico difensore in innumerevolo processi al “nero” Carminati, non si smentisce per le sue cadute di stile. Per lui questa sentenza infatti sarebbe “un modo serio consapevole e responsabile per ricordare il sacrificio di Borsellino”.
Colleghi e commentatori si stanno affannando per trovare una definizione diversa da “Mafia Capitale” per descrivere l’organizzazione criminale di Massimo Carminati & co. Per quanto mi riguarda continuerò a chiamarla “Mafia Capitale”, come titolai uno dei primi articoli che scrissi sull’argomento, come titolai insieme a Floriana Bulfon il primo capitolo del libro Grande Raccordo Criminale del febbraio 2014 e come continuai a definire l’organizzazione (l’osceno sistema di potere politico, finanziario e mafioso) nel successivo Roma Brucia tutti e due pubblicati da Imprimatur editore.
Il pm Paolo Ielo, come c’era da aspettarsi, ha dichiarato che la Procura farà appello. Intanto il processo di revisione della realtà è già partito. E anche quella sentenza degli anni ‘90 che riconosceva a una serie di imputati l’aggravante dell’associazione mafiosa è stata silenziata. Nonostante le condanne di primo grado anche pesanti agli imputati, lo spauracchio di tutti gli appartenenti al Foro di Roma era quello che venisse riconosciuta la presenza di un’associazione mafiosa romana e non di mafiosi in trasferta. Perché una sentenza che riconoscesse Mafia Capitale come mafia romana avrebbe ricadute inevitabili su molti processi in corso nella capitale.
Andiamo a vedere quali altre condanne sono state emesse dalla corte. Per l’ex capo dell’assemblea Capitolina Mirko Coratti (Pd) la corte ha deciso una pena di 6 anni di reclusione. Luca Odevaine, ex responsabile del tavolo per i migranti, è stato condannato a 6 anni e 6 mesi. Undici anni per il presunto braccio destro di Carminati, Ricardo Brugia, 10 per l’ex Ad di Ama Franco Panzironi. L’ex minisindaco del municipio di Ostia, commissariato per infiltrazione mafiose, Andrea Tassone è stato condannato a 5 anni Rispetto alle richieste della Procura che aveva proposto per tutti gli imputati 5 secoli di carcere, i giudici della decima Corte presieduta da Rosanna Ianniello hanno inflitto complessivamente oltre 250 anni di carcere.
Presente in aula per la lettura della sentenza Virginia Raggi, Sindaca di Roma che di fatto non ha commentato il risultato del primo grado del processo: “Ringraziamo la Procura, i giudici, le forze dell’ordine, tutti quelli che hanno collaborato a questa inchiesta, a questo processo. Questa è una ferita molto profonda nel tessuto della città di Roma, i romani lo sanno bene. Adesso quello che dobbiamo fare noi è ricucire i lembi di una ferita attraverso un percorso di legalità che non è facile. Dobbiamo mantenere la guardia sempre alta”. Ed è uscita dal Tribunale. E non si è riusciti a capire se si riferisse alla macchia per Roma di quell’accusa infamante di essere “mafiosa” o se parlasse del mancato riconoscimento del 41bis per gli imputati.
La parola mafia è scomparsa, scomparsa l’eredità fascio mafiosa della Banda della Magliana. E Roma si è tolta una rogna. E Carminati ha già chiesto la revoca dell’applicazione del 41bis per il regime della sua carcerazione.
Il mancato riconoscimento sia dell’associazione mafiosa che del “metodo mafioso” nella sentenza emessa dal Tribunale di Roma contro il sistema “Mafia Capitale” è prima di tutto una sconfitta secca del Procuratore Capo Giuseppe Pignatone e della sua squadra. Una squadra arrivata a Roma rodata e blindata e su cui tutti avevano da subito riversato fin troppe aspettative.
Molte scelte di Pignatone e dei suoi sono abbastanza incomprensibili. Come quella di non chiamare a testimoniare uno degli uomini di spicco della Banda della Magliana, Maurizio Abbatino, che da sempre collegava Carminati a ambienti mafiosi, e anzi firmando per sospendergli la protezione e l’identità coperta che aveva ottenuto collaborando con la giustizia negli anni Novanta. Scelta, quella della mancata protezione ai collaboratori e testimoni, che si è ripetuta in maniera ancora più clamorosa nel corso del dibattimento, quando è stata negata a Roberto Grilli, lo skipper romano che ha contribuito a scoperchiare i retroscena di Mafia Capitale, arrestato sulla sua barca con 500 chili di cocaina a bordo, parla delle azioni criminali del Cecato che insieme al suo braccio destro, Riccardo Brugia. Arrivato senza nessuna copertura e protezione in aula ha ritrattato, poi è uscito quel verbale di un precedente incontro con gli investigatori in cui Grilli continuava a insistere sulla protezione per arrivare in aula. Quando gli uomini del Ros gli ripetono la necessità di andare a testimoniare Grilli risponde così: “Lo so di chi stiamo parlando. Il mio profilo basso fino adesso mi ha garantito di stare in vita a Roma. Adesso, dopo questa cosa, non so’ più garantito con nulla. Se dovessi testimoniare durerò due settimane… Stiamo a parlà de Carminati, e questo rischio lo sento da un anno e mezzo. Non prendetemi in giro”. E continua: “Sono stato trattato in maniera vergognosa, dopo Mafia capitale ho perso il lavoro, la salute. Avevo chiesto protezione per non correre rischi… Adesso devo confermare le mie dichiarazioni pe’ famme sparà, se non confermo le mie dichiarazioni posso avere falsa testimonianza, mi faccio quattro anni…. Dopo questa botta data da me che magari è l’ultimo chiodo pe’ attaccà Carminati perché fino adesso… robetta, io che faccio, poi torno sulle strade di Roma e gironzolo, in questo modo “duro ‘na settimana…”.
Tutto questo è difficilmente comprensibile. Un teste storico sul pregresso di Carminati e dei suoi rapporti con la Banda della Magliana e con la mafia negli anni ‘70 e 80, Abbatino, e un altro, Grillo, che lo collegava direttamente a associazioni mafiose come la ‘ndrangheta e al traffico di droga, a cui viene negata la protezione o non vengono chiamati a testimoniare. Eccesso di sicurezza? A volte la presunzione non paga.
20 Luglio 2017