Il commento del legale dei familiari dell’agente di polizia ucciso assieme a sua moglie
di Lorenzo Baldo
Cosa comporta a livello investigativo la morte improvvisa di Giovanni Aiello, a partire dall’inchiesta sull’omicidio Agostino-Castelluccio? Lo chiediamo all’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Agostino e di altri familiari di vittime di mafia come Graziella Campagna, Beppe Alfano, Bruno Caccia, Paolo Borsellino e Attilio Manca.
In primo luogo significa la morte di uno dei tre attuali indagati – risponde di getto –. Ho letto dichiarazioni, giuridicamente assurde, secondo cui Aiello sarebbe “morto da innocente”. Sono affermazioni frutto di confusione fra il piano giuridico e quello della realtà dei fatti. Al più, si può dire che Aiello è morto da incensurato. Ma negli ultimi anni si sono andati addensando sulla sua figura indizi di reità sempre più significativi, in particolare sull’uccisione del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio (avvenuto il 5 agosto 1989, ndr). Il procedimento per quel duplice omicidio, evidentemente, ora proseguirà solo a carico dei boss mafiosi Nino Madonia e Gaetano Scotto. Sì, in effetti, quel delitto vedeva indagati, con elementi indiziari concreti, in concorso un ex poliziotto e due mafiosi, un caso unico, allo stato. Per quanto, a dire il vero, qualificare Nino Madonia e Gaetano Scotto “solo” come boss mafiosi rischi di essere riduttivo. Si tratta, alla luce di quanto finora emerso, di mafiosi organici ad apparati deviati delle istituzioni, sorta di criminali anfibi.
La recente inchiesta di Reggio Calabria “’Ndrangheta stragista” ha confermato la complicità nella strategia terroristico-mafiosa di Cosa nostra e ‘Ndrangheta, il nome di Aiello era risultato tra gli indagati e questo lasciava presagire ulteriori sviluppi investigativi. Che ora sono compromessi? Oppure vale la tesi che da un personaggio come Aiello difficilmente si sarebbe potuto aprire uno squarcio di verità?
Da tempo pensavo che Giovanni Aiello fosse un uomo a rischio. Ancor più l’ho pensato dopo l’ordinanza di custodia cautelare del Gip di Reggio Calabria nei confronti di Giuseppe Graviano e Rocco Filippone, nella quale i riferimenti ad Aiello come possibile killer di Stato in cooperazione con le organizzazioni criminali mafiose sono più che espliciti. Ormai, con i sempre più dirompenti elementi che si stavano addensando sul suo ruolo, Aiello era diventato una figura parecchio ingombrante per i componenti di quegli stessi apparati deviati nell’interesse dei quali aveva militato. Seppure si legge che le Procure di Catania e di Caltanissetta avrebbero sbrigativamente (e prevedibilmente, aggiungerei, purtroppo) archiviato alcune delle accuse a carico di “faccia da mostro”, è altrettanto vero che sia a Palermo sia a Reggio Calabria si stava andando molto avanti ed era facile pensare che a breve potesse arrivare qualche processo a carico di Aiello. Ecco, in quel caso, alcuni criminali di Stato avrebbero avuto parecchio da temere. Forse, quegli stessi alla notizia della morte di Aiello hanno tirato un gran sospiro di sollievo. Si fosse sentito perso chissà che Aiello non avrebbe detto qualcosa. Il dubbio viene, se si pensa a certi suoi comportamenti, compiuti quando sapeva di essere nel mirino degli investigatori, che a me parvero degli evidenti messaggi, come se volesse lasciare tracce a futura memoria.
Effettivamente dopo la notizia della scomparsa di Aiello si è pensato ad una morte a dir poco “provvidenziale” per quegli apparati che continuano ad ostacolare la ricerca della verità sui misteri d’Italia. Ora l’autopsia potrà chiarire “tecnicamente” il decesso, ma come è possibile fugare i timori che lo stesso esame autoptico non possa essere eseguito a dovere come nel caso di Attilio Manca?
Io in vita mia ho visto una sola volta Giovanni Aiello, il 26 febbraio 2016, in udienza davanti al Gip di Palermo, all’Ucciardone, allorché Vincenzo Agostino lo riconobbe di persona come uno dei due uomini che qualche settimana prima dell’assassinio del figlio Nino erano andati a cercarlo a casa sua. Mostrava condizioni fisiche invidiabili. Aveva l’incedere di un atleta. Chiunque gli avrebbe dato trent’anni in meno della sua età. Quel giorno nessuno avrebbe mai immaginato che un uomo come lui, uno che a leggere i giornali faceva quotidianamente la vita del pescatore, potesse essere stroncato all’improvviso da un attacco cardiaco. Per questo, il sospetto che si sia trattato di un “infarto di Stato”, alla luce di quello che ho detto prima, è stato ovvio, prima ancora che legittimo. Tanto più che viviamo in un paese in cui certe apparenti morti naturali o accidentali sono state in realtà, con certezza, degli omicidi. Tuttavia, alle volte le coincidenze capitano davvero. Per questo sono state impeccabili la scelta della Procura di Catanzaro di disporre l’autopsia e quella della Procura di Reggio Calabria di sequestrare immobili e beni nella disponibilità di Aiello a fini probatori. Quanto alla puntualità nell’esecuzione dell’autopsia sono certo che le aberrazioni che emersero dall’autopsia svolta a Viterbo sul cadavere di Attilio Manca non si verificheranno. Certo, non si può essere del tutto sicuri che l’accertamento autoptico possa dirimere con assoluta certezza ogni questione. Ma per valutare occorre prima aspettare che esso venga completato.
Il pentito Carmelo D’Amico – pur senza mai citare chiaramente Aiello – aveva raccontato agli investigatori di un esponente dei Servizi segreti di origine calabrese dalla “faccia brutta” che si sarebbe “occupato” dell’omicidio di Attilio Manca.. Quanto influirà la scomparsa di Aiello nelle indagini sulla morte del giovane urologo siciliano?
Non penso che la morte di Aiello avrà grossa incidenza nella ricerca della verità sull’omicidio di Attilio Manca. Su quel delitto sappiamo che sono plurimi i collaboratori di giustizia che hanno smentito le conclusioni dadaiste raggiunte al riguardo dalla giustizia viterbese. Sappiamo che alcune delle fonti sull’omicidio Manca sono particolarmente attendibili. La Procura di Roma è davanti a un’alternativa. O sosterrà che le dichiarazioni dei pentiti sono false, costruite a tavolino, in questo caso indicando chi possano essere stati gli ideatori e gli operatori (anche della magistratura e della polizia giudiziaria?) di quelle che dovesse ritenere vere e proprie menzogne. Oppure, viceversa, preso atto che quelle fonti sono attendibili, che ci sono elementi obiettivi insuperabili – a partire dall’eroina iniettata nel braccio sbagliato, dalle condizioni in cui fu rinvenuto il corpo martoriato di Attilio Manca e dalle dichiarazioni di tutti i medici di Viterbo colleghi di Attilio – e che la convergenza fra questi dati eterogenei impedisce di acquietarsi davanti alla presunta impossibilità di fare passi avanti nelle indagini. L’esperienza – basti pensare all’omicidio di Peppino Impastato, all’omicidio di Graziella Campagna, all’omicidio di Mauro Rostagno e da ultimo al duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, oggetto proprio dell’indagine “’Ndrangheta stragista” – ci dice che quando c’è la volontà di arrivare alla verità, la si raggiunge. Mi auguro che sia questo l’atteggiamento della Procura di Roma sull’omicidio di Attilio Manca. Se così non fosse, per l’ennesima volta dovranno essere i familiari di una vittima a farsi privatamente carico degli sforzi per ottenere verità e giustizia, in sostituzione dello Stato. Purtroppo è un canone consueto di questo paese sbandato.
La scomparsa di Aiello lascia ugualmente un ulteriore vuoto investigativo in merito all’omicidio del piccolo Claudio Domino.
Dell’omicidio di Claudio Domino aveva parlato tra l’altro Luigi Ilardo (ex mafioso, cugino del boss di Caltanissetta Piddu Madonia, ucciso nel 1996, ndr) nelle sue informazioni confidenziali al colonnello dei Carabinieri Michele Riccio. E anche per questo Ilardo venne ucciso, grazie a fughe di notizie istituzionali, prima che gli venisse consentito ufficialmente di collaborare con la giustizia. Quando penso all’omicidio Domino e a vicende similari, avverto sempre di più l’enormità della perdita di un magistrato ammirevole come Gabriele Chelazzi (morto di infarto nel 2003, ndr), che negli accertamenti sugli intrecci fra apparati criminali e apparati deviati dello Stato aveva mostrato una sapienza e uno spirito di sacrificio ammirevoli. Tornando a Domino, io penso che ormai sia lampante come negli anni Ottanta a Palermo sia all’interno degli apparati statali sia all’interno di Cosa Nostra si siano mossi, in sinergia tra loro, due corpi occulti all’interno dei due schieramenti, istituzionale e mafioso. Quei due spezzoni occulti che operavano come gruppi militarmente addestrati erano connotati da venature fasciste ed eversive. Come vede, questo rimanda fisiologicamente allo scenario della più volte citata indagine reggina “’Ndrangheta stragista”.
E in effetti il primo a parlare di “faccia da mostro” è stato proprio Luigi Ilardo che al colonnello Riccio aveva espressamente parlato di “un esponente dei servizi segreti che operava in Cosa Nostra” che “aveva avuto un ruolo operativo negli omicidi Agostino e Piazza e nel fallito attentato all’Addaura”, con tanto di descrizione di questo personaggio “con il viso deturpato come se fosse un mostro”. Al di là della sentenza Mori, si può ripartire dalle indicazioni di Ilardo per arrivare alla verità su certi misteri di Stato?
In questo paese sbandato purtroppo l’informazione, per fortuna con apprezzabili eccezioni, è uno dei settori che imbarazzano di più. In questi giorni ho letto i professionisti del negazionismo brandire le archiviazioni fatte o in fieri per Aiello a Catania e Caltanissetta come una santificazione preventiva dell’ex poliziotto. Pochi sanno, però, che in realtà già un giudice a Caltanissetta anni fa, bacchettando la Procura, sostenne che al di là di ogni dubbio si potesse “identificare in Aiello Giovanni il soggetto indicato da Lo Forte Vito e Marullo Francesco“, cioé proprio il “faccia da mostro” di cui per primo parlò Ilardo. Su Ilardo, si dovrebbe ripartire proprio dal grandioso lavoro che stava svolgendo Gabriele Chelazzi al momento della sua improvvisa morte. E quanto alla sentenza di assoluzione di Mori e Obinu, checché ne dicano i professionisti del negazionismo, mi lasci ricordare che perfino per i giudici che li hanno assolti i due ex ufficiali del Ros commisero il favoreggiamento dell’allora latitante Bernardo Provenzano, ma lo commisero senza dolo. In sostanza, aiutarono Provenzano a propria insaputa. Contenti loro! Ennio Flaiano avrebbe detto che “la situazione è grave, ma non seria”.
Quanto pesa la carenza di “pentiti di Stato” per trovare i riscontri necessari alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia di Cosa Nostra e di ‘Ndrangheta su questo Stato-mafia?
Pesa tanto. A ben vedere, dall’interno delle organizzazioni criminali sono venuti molti spezzoni di verità, anche importanti. Se pensiamo al terribile depistaggio ordito su via d’Amelio fin dalle ore successive alla strage e completato con le torture che portarono Scarantino ad accettare di sottoscrivere verbali con falsità di Stato, dobbiamo anche notare che quel depistaggio fu spazzato via grazie, per prima cosa, alle parole del mafioso Gaspare Spatuzza. E per questo degli apporti mafiosi alle stragi si sa molto. Sono invece i silenzi di Stato quelli che pesano sui pezzi mancanti del puzzle. Forse nessun pentito di mafia potrà mai dirci che fine ha fatto l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Forse nessun pentito di mafia potrà mai dirci chi fosse quell’uomo d’apparato che il 18 luglio 1992 sovrintendeva alla preparazione dell’esplosione che uccise Paolo Borsellino e la sua scorta. Dovrebbero pentirsi criminali di Stato, per darci quelle informazioni. Accadrà mai? Potrebbe capitare solo se gli organi inquirenti, anziché arrendersi (o far finta di arrendersi) alle difficoltà delle indagini, si decidano ad andare avanti senza temere di dover incappare in criminali dal colletto bianco e applicando a costoro le stesse regole che il nostro ordinamento applica ai delinquenti comuni, senza trattamenti di comodo.
Come è possibile restituire la speranza di arrivare finalmente alla verità a due genitori come Vincenzo e Augusta Agostino?
Il mio auspicio è che la morte di Aiello, quanto al duplice omicidio Agostino-Castelluccio, abbia il paradossale effetto di accelerare i tempi perché si giunga al processo a carico di Gaetano Scotto e Antonino Madonia. Le prove a loro carico sono più che sufficienti. Per questo mi auguro che in autunno la Procura generale di Palermo si decida a chiedere il rinvio a giudizio nei confronti dei due residui indagati, in modo che Vincenzo e Augusta Agostino possano ottenere quanto prima giustizia per il loro figlio e la loro nuora.
23 Agosto 2017