![]() Enrico Berlinguer, addio a Menichelli l’autista del segretario del Pci. Aveva detto: “Il Pci è morto con lui”
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Addio a Menichelli l’autista di Berlinguer “Quel sorso di whisky prima dei comizi”Concetto Vecchio Se n’è andato Alberto Menichelli, lo storico autista di Enrico Berlinguer. Aveva 88 anni. In realtà rappresentò molto di più: caposcorta, amico personale, consigliere. Fu la sua ombra per 15 anni, dal 1969 al 1984. Era a Padova, quando il segretario del Pci si sentì male sul palco. «Quel giorno morì il mio partito», disse. Insieme avevano macinato migliaia e migliaia di chilometri, nella stagione esaltante delle giunte rosse, quando a metà degli anni Settanta il Pci fu sul punto di sorpassare la Dc, ma anche nel decennio terribile del terrorismo: le Brigate Rosse pedinarono a lungo il capo dei comunisti italiani. Berlinguer ebbe due scorte, una della polizia, l’altra del partito; Menichelli era così a capo di quattro uomini che vigilavano sul segretario giorno e notte. Guidava la prima macchina blindata d’Italia: «Gli operai di Pisa – raccontò Menichelli nella sua biografia In auto con Berlinguer – ci avevano dato il vetro, i compagni di Roma avevano messo le lastre d’acciaio alle portiere. E c’era sempre una seconda vettura, ogni volta diversa, che ci precedeva e ci affiancava». «Dopo i funerali di papà — racconta l’ex direttrice del Tg3 Bianca Berlinguer, la primogenita di Enrico — Alberto ci accompagnò a casa: “Ricordatevi che per voi Alberto Menichelli ci sarà sempre”. E così è stato davvero: io l’ho sentito ancora una settimana fa. Era così legato a noi figli che per due anni, dopo la scomparsa di papà, volle accompagnare a scuola con la sua Uno Bianca mia sorella Laura, che aveva 14 anni ed entrava al liceo: era una sua iniziativa personale, il partito non c’entrava più nulla. È stato così parte della nostra vita. Le nostre famiglie, la moglie, le due figlie, Alessandra e Laura, trascorrevano anche il Natale insieme». Ogni mattina Menichelli si presentava a casa Berlinguer, prima in viale Tiziano, e poi, dal ‘74, in via Ronciglione, a Ponte Milvio, con la mazzetta dei giornali: una dozzina di quotidiani italiani, più due francesi, Le Monde e l’Humanitè, che il segretario sfogliava ancora in pigiama. Le giornate finivano regolarmente a tarda sera. Berlinguer, prima di rientrare, si fermava in latteria per comprare un litro di latte, perché «a quest’ora della sera il frigo è sempre vuoto». Al pari di altri uomini della Vigilanza del Pci sacrificò larga parte della sua esistenza per il partito, che allora contava milioni di iscritti. Definì quell’avventura umana e politica «il periodo più bello della mia vita». Berlinguer, timidissimo, di fronte alle folle oceaniche si emozionava, allora Menichelli prima di ogni comizio gli allungava una fiaschetta per i liquori con dentro del whisky, Berlinguer ne beveva appena un sorso e vinceva così la stretta allo stomaco; Menichelli conservò poi quella fiaschetta come una reliquia. Fino all’ultimo ha onorato la memoria del leader, che anche ora parla ai giovani, presiedendo l’associazione culturale di Cinecittà dedicata a Berlinguer. «Alberto aveva capito papà nel profondo», dice ora Bianca, con la voce rotta dalla commozione.
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