autore: Andrea Cinquegrani
“Questo è un Paese senza identità, lo si è detto e scritto in tutte le salse. E non possedere un’identità dipende dal non avere memoria di sè”. E’ l’incipit di un memorabile articolo scritto da Oliviero Beha il 15 aprile 2015 su Il Fatto.
E sono le parole che, adesso, animano l’iniziativa in fase di decollo della Voce delle Voci con Meridonare, la piattaforma di crowdfunding, per dar vita al progetto “Giustizia e Memoria”. Per dar voce a tutte quelle storie di giustizia negata, per contribuire a far luce su quei buchi neri, singoli e collettivi, che hanno massacrato la storia del nostro Paese.
E dare una mano a mettere in rete le tante associazioni che negli anni sono germogliate per trovare uno spiraglio di giustizia. Per fare più giornalismo d’inchiesta. Per cercare nuove fonti di verità.
DA ILARIA ALPI ALLA STRAGE DEL SANGUE INFETTO
Un caso per tutti, quello di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi 23 anni fa perchè erano andati in Somalia a far luce su traffici e connection miliardarie, a base di armi, rifiuti super tossici e affari in nome della solidarietà e della cooperazione. Dopo una caterva di inchieste a vuoto e finte indagini, finalmente si squarcia il velo qualche mese fa, quando il tribunale di Perugia assolve il povero somalo che s’è fatto 15 anni di galera da innocente. La sentenza parla esplicitamente di depistaggio istituzionale, si fanno nomi e cognomi. A questo punto ci aspettiamo che la procura di Roma vada avanti spedita. E invece che fa? Il pm del caso, Elisabetta Ceniccola, chiede l’archiviazione, su cui a fine anno dovrà decidere un gip ancora da nominare. Ai confini della realtà.
Stesso copione per la strage di via D’Amelio. Per una palese azione di depistaggio, in primo grado sono state condannate – e hanno scontato anni di galera – persone che non c’entravano niente con il massacro. Ora siamo punto e daccapo, con il Borsellino quattro. Ma hanno pagato il conto quei magistrati che hanno depistato? Non se ne ha notizia.
Due casi, emblematici, su tanti.
Come la freschissima archiviazione via Cassazione del giallo Pantani, il campione ucciso il 14 febbraio 2004: secondo i giudici di Rimini prima e poi la suprema corte, non ci sono gli elementi per provare niente, quando sono palesi le decine e decine di anomalie dell’inchiesta e le tracce della camorra sul luogo del delitto. Che solo chi non vuol vedere non vede.
E così capita per il tragico volo di David Rossi dal palazzo di piazza Salimbeni a Siena, storica sede del Monte dei Paschi. E un altrettanto tragico percorso giudiziario, tra una richiesta di archiviazione e l’altra. Quando è chiaro come il sole che dietro quel volo c’è una manina…
E poi tante tragedie collettive sulle quali non arriva mai luce. Dalla strage di Ustica a quella di Bologna, dal Moby Prince fino al Costa Concordia. Dove fanno capolino di volta in volta servizi deviati e mafie d’ogni sorta, faccendieri e colletti bianchi. Assicurati alle patrie galere, a volte, gli esecutori delle stragi, come nel caso di Capaci: ma i mandanti mai, sempre a volto coperto dopo anni di indagini.
Senza dimenticare, anzi, stragi silenti ma ancora oggi assordanti, come quella per il sangue infetto, che ha mietuto migliaia – almeno 4 mila – vittime. Con un processo partito quasi vent’anni fa a Trento, da dieci anni approdato a Napoli e solo ora in fase di celebrazione. Avranno mai giustizia le vittime? Pagheranno mai qualcosa i padroni di Big Pharma per aver commercializzato sangue e emoderivati killer?
QUELLA MEMORIA CONDIVISA DI OLIVIERO BEHA
Il progetto “Giustizia e Memoria” vuol dare una mano quanto più concreta possibile alla ricerca di queste verità. A creare un banca dati, a mettere in rete le associazioni, a fare corpo comune per andare verso le verità, non solo storiche – ormai acclarate – ma giudiziarie e processuali.
Per far in modo che quei tanti, troppo buchi neri della nostra storia comincino man mano a colmarsi di luce e, soprattutto, di giustizia. Quella vera. Non fatti di depistaggi, prescrizioni & indagini taroccate.
E per garantire una memoria collettiva. Troppo spesso i media dimenticano, glissano o pensano bene di mettere tutto nel cassetto. Perchè ai padroni del vapore, editori e direttori, va bene così: non disturbare mai i manovratori, non accendere mai un faro sui Palazzi, quelli del potere, spesso e volentieri deviato. Quando le mafie, cioè, diventano istituzionali.
A questo punto ritornano le parole di Oliviero Beha, a proposito della “memoria condivisa” e della necessità di “un processo che rimetta al centro la memoria”. Beha, nel suo pezzo, faceva cenno all’esperienza della Voce, “un magazine importante, nato nell’aprile 1984 e chiuso l’anno scorso dopo una sentenza da brivido del tribunale di Sulmona con richiesta danni e pignoramento incredibile per una mini notizia circa il figlio di Di Pietro, chiusura su cui è immediatamente sceso un silenzio tombale”.
Continuava Beha sulla Voce: “E’ riuscita miracolosamente e sopravvivere in edicola per tutti questi anni pubblicando inchieste scomodissime, riprese anche da quotidiani, periodici e tv (segnatamente da Report) che fanno esse sì la storia, e la memoria, di questo Paese”.
A TUTTO MERIDONARE
Il progetto “Giustizia e Memoria” comincia ora a viaggiare con il crowdfunding, sulla giovane (è nata due anni fa) ma già rigogliosa piattaforma di MERIDONARE, che si distingue nel panorama nazionale per sostenere progetti sociali, culturali e civici che nascono al Sud. E’ vocata, in particolare, per “dar voce e forza – come sostengono i suoi promotori – a tutti gli attori del terzo settore che agiscono nel mezzogiono d’Italia”.
Nell’arco di due anni sono state messe in rete già 130 iniziative, con altrettanti progetti collocati sulla piattaforma; per un totale, fino ad oggi, di circa 1 milione e mezzo di euro raccolti. A breve verrà tagliato il traguardo dei 10 mila donatori.
—-Volantino Giustizia e memoria
10 ottobre 2017