di Antonio Gramsci *
La vita dei galantuomini è tutta un tessuto di buone abitudini. Levarsi la mattina, lavorare quel
certo periodo della giornata, divertirsi, mangiare, digerire, andare a spasso secondo un programma
prestabilito, tutto ciò serve egregiamente a dare alla patria cittadini poco turbolenti, ordinati,
disciplinati, che pur di non mancare al caffè o alla partita di tarocchi di una certa ora, son capaci di
perdonare alla moglie che li tradisce, o alla serva che, se ruba sui conti, prepara cosí bene quel certo
manicaretto domenicale… Cosí avviene che le abitudini, che dovrebbero servire solo a rendere
meccaniche certe necessità e quindi a tagliarle fuori dalla nostra vita attiva, diventano delle tiranne,
e quali orribili tiranne. Vedete ciò che succede alle società produttrici del gas. Il «Momento», questo disinteressato difensore di tutti gli strozzinaggi, che pubblica una insignificante protesta
contro gli zuccherieri solo perché gli sia possibile, per dovere di imparzialità, pubblicare tre colonne
schifosamente gesuitiche di difesa, pubblica ora un’intervista con uno che è assai addentro alle
segrete cose delle società produttrici del gas, il quale, dopo aver ripetuto ragionamenti da noi
confutati ad esuberanza, nega che la società dia dei dividendi. È una fiaba il dividendo. La società
dà solo l’interesse fisso di dieci lire stabilito dal suo statuto sessanta anni fa. Ora si capisce che
un’abitudine che dura da sessanta anni non può essere smessa cosí da un momento all’altro.
Imponete ad un vecchio di settantacinque anni che ha incominciato a fumare a quindici, che smetta
perché in famiglia c’è chi non può soffrire il puzzo del tabacco; si scioglierà in lacrime, si
immalinconirà, e la sua fine non tarderà a venire. Da sessanta anni capite, un interesse del 10 per
cento (non dividendo, per carità, perché il decreto luogotenenziale vuole che sia solo dell’8!) Come
si fa a rinunciarvi?
E non hanno torto questi buoni azionisti!
È inutile ricordar loro che lo stato di guerra ha fatto smettere a tutti molte buone abitudini; che
ha domandato a milioni di soldati di prepararsi persino a smettere la buona abitudine di vivere! Non
è col sentimento che si ammollisce il cuore di un azionista indurito nel vizio. L’intervistato del
«Momento» ha detto che finora solo sette o otto consumatori si sono rifiutati di pagare, e che hanno
pagato anche i consiglieri socialisti! Non ci scoraggiamo perciò!
Se i consumatori vogliono che la buona abitudine del 10 per cento continui per gli azionisti,
perseverino anche loro nella non meno buona abitudine di lasciar fare e lasciar passare. Ma se
vogliono che il comune si muova, facciano ciò che abbiamo consigliato: non paghino!
Contro la impassibilità di chi si infischia del malessere generale, solo la violenza vale qualche
cosa.
* Sotto la Mole (27 febbraio 1916)