di MOWA
La televisione pubblica manifesta tutte le sue peculiari contraddizioni attraverso programmi sia di alta qualità di giornalismo contemporaneo come, ad es., Report, TV7… e quelli specifici, che raccontano di importanti avvenimenti storici, come Il tempo e la storia, La storia siamo noi… sia di un rimestaggio culturale tale da denigrare i buoni propositi del Sapere.
Vogliamo parlare, in quest’ultimo caso, di programmi come Passato e Presente condotti dallo “storico”(sic) e giornalista Paolo Mieli che nell’ultima puntata, andata in onda il 15 novembre u.s., superava sé stesso in fatto di revisionismo. Aiutato nell’occasione, in trasmissione, da un altro “storico” come il professor Ernesto Galli della Loggia ed altri tre (neo) laureati (Lucchetti, Pajero e Santi) che si sono addentrati nei meandri della storia dell’Unione Sovietica, parlando nello specifico di Nikita Krusciov. Un Nikita Krusciov che veniva, in detta occasione, quasi “santificato”, “glorificato” perché avrebbe parlato, nel XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, del 25 febbraio 1956, dei crimini perpetrati da Iosif V. Stalin.
La cosa che ha disturbato per tutta la puntata non sono tanto le fandonie sostenute, come refrain, sull’Unione Sovietica agli albori della Rivoluzione bolscevica ma, in particolar modo, la pessima stereotipata retorica che dipinge, ancora una volta, uno Stalin “tiranno”, “dittatore”, “sanguinario”… Ma,… ci saremmo aspettati, vista cotanta intellighenzia a disposizione come storici, che costoro avessero avuto l’accortezza (o, almeno, la decenza) di informarsi meglio prima di andare in onda, a fronte delle nuove documentazioni portate alla luce, dal loro collega Nordamericano, Grover Carr Furr (Doctor of Philosophy della Princeton University di Montreal e dal 1970, della Montclair State University nel New Jersey), che ha dedicato 10 anni di studi specifici negli archivi dell’odierna Russia riportando i documenti (solo in parte) nel libro dal titolo eloquente “Krusciov mentì – [sottotitolo: La prova che tutte le “rivelazioni” sui “crimini” di Stalin (e di Beria) nel famigerato “Rapporto segreto” di Nikita Krusciov al XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, del 25 febbraio 1956, sono dimostrabilmente false, ed. La città del sole, febbraio 2016, pag. 428]”.
Sostiene Furr, citando un altro storico, Iuri Zhukov, e parlando di cosa spinse Krusciov ad attaccare Stalin:
“era di chiudere decisamente la porta alle riforme democratiche volute da Stalin nel Presidium (fino all’ottobre 1952 chiamato Politburo), in particolare Malenkov, [che] cercavano ancora di promuovere. Tali riforme erano volte a togliere al Partito il controllo sulla politica, l’economia e la cultura, affidandolo nelle mani di Soviet eletti. Questa sarebbe stata una ‘perestroika’ (ovvero ‘ristrutturazione’) virtuale, ma entro i limiti del socialismo, in contrasto con la restaurazione in piena regola del capitalismo a cui portò la successiva perestroika’ di Gorbaciov.” [pag. 225]
Uno Stalin dipinto caricaturalmente da molti pseudo-studiosi come assetato di potere, attaccato alla poltrona quando, invece, (e lo facciamo per brevità di inserire solo le date) scrisse ben quattro volte per rassegnare le dimissioni sia da Primo Segretario che, poi, da Segretario del Partito: 19 agosto 1924 (inviata al Plenum del CC RPC), 27 dicembre 1926, 19 dicembre 1927 e (fate attenzione a quest’ultima data che dimostra l’esatto contrario di come venne descritto) 16 ottobre 1952 dove suggeriva eventuali sostituti come N.I. Bulganin.
Non possiamo riportare la mole di documentazione dello storico Nordamericano sulle menzogne dei veri responsabili delle atrocità, Krusciov e del sodale Nikolai Ezhov, ma possiamo farvi ascoltare una recente intervista allo studioso, Grover Carr Furr, in occasione del convegno tenutosi a Pisa sul Centenario della Rivoluzione bolscevica, per dimostrare che, quanto affermato nel programma Passato e Presente, condotto da Paolo Mieli, sia stato molto grave, un’operazione culturale che vuole far passare una pericolosa distorsione storica (aggravata, poi, dal sostegno di altri laureati che hanno suggellato e fatto passare, quanto affermato, come normale) una menzogna che insulta e calpesta la funzione deontologica dell’insegnamento.
Si conferma, quindi, che siffatto comportamento televisivo porti ad una evidente perniciosa stupidità che potrebbe (può), ricadere su tutte quelle persone che assumeranno tali informazioni come veritiere e che, da ciò, possano scaturire fenomeni di intolleranza (in moltissimi casi violenta) verso altre culture… Ripercussioni insopportabili di ignoranza che si manifestano già in moltissime occasioni, anche, cinematografico-letterarie con accostamenti paradossali tra Hitler e Stalin storpiando palesemente quanto successo, anche, in occasione della Seconda Guerra Mondiale dove i primi invasero il territorio del secondo causando oltre 25 milioni di morti tra i cittadini sovietici.
Dopo tanta (voluta!) confusione su quanto accaduto ai nostri nonni ci si continua a lamentare del crescente fenomeno reazionario da parte, in particolare, delle nuove generazioni e non si parla a sufficienza del danno e/o delle responsabilità che avrebbero tutte quelle persone che provocano revisionistiche prese di posizione storiche trasmesse dalla televisione pubblica (o privata che sia).
Sosteneva Hannah Arendt sulla crescita ipertrofica della menzogna assoluta:
La possibilità della menzogna completa e definitiva, che era sconosciuta nelle epoche precedenti, è il pericolo che deriva dalla moderna manipolazione dei fatti. Anche nel mondo libero, dove il governo non ha monopolizzato il potere di decidere e dire che cosa effettivamente è o non è, gigantesche organizzazioni di interesse hanno generalizzato una sorta di mentalità da “raison d’état”, che prima era circoscritta al trattamento degli affari esteri e, nei suoi peggiori eccessi, a situazioni di pericolo chiaro e presente. E la propaganda nazionale a livello governativo ha imparato non pochi trucchi dal mondo degli affari…
Già Kant rigettava qualsiasi eccezione a giustificazione delle menzogne:
La veracità nelle dichiarazioni […] è il dovere formale dell’uomo nei confronti di tutti, per quanto grave sia il danno che ne possa risultare per lui.
Probabilmente per qualche “storico” televisivo non sono valide le considerazioni fatte da Kant o dalla Arendt ma sentirsi, a tutto tondo, come quell’individuo paradigmatico descritto da Mark Twain… un po’, sfacciatamente, opportunista
Mentire è cosa universale – tutti mentiamo, tutti dobbiamo mentire. Allora, è saggio allenarsi diligentemente a mentire con intelligenza, con giudizio; a mentire per una buona ragione, e non per una cattiva; a mentire per il bene degli altri e non per il nostro, a mentire per altruismo, carità, umanità, non per crudeltà, aggressività, malizia; a mentire con decisione, franchezza, disinvoltura, a testa alta, non con esitazione, tortuosità, pusillanimità, come se ci vergognassimo della nostra alta missione.
Come si suol dire, per ogni cosa come, anche, nella menzogna, ci vuole una certa vocazione per sostenere la posizione. Bisogna esserci portati o, spesso, farsi accompagnare da un linguaggio mellifluo e decisamente recalcitrante della verità, inoltre, a volte, subentra la complicità d’avere un certo portato personale ad addolcirla… o, a conferma del detto: omen nomen!