Sandro Ruotolo (da http://image.excite.it/politica/news/ 227897_1057032670491_9123_n-default.jpg)
Intervista al giornalista Sandro Ruotolo, iscritto all’Anpi e “orgogliosamente antifascista”. Il rapporto fra criminalità e politica. Il caso Ostia. Operatori dell’informazione nel mirino. Vivere sotto scorta
Natalia Marino
Sandro Ruotolo, firma illustre del giornalismo d’inchiesta in tv, sulla carta stampata e sul web, vive da più di due anni e mezzo sotto scorta dopo aver ricevuto minacce dal clan dei casalesi per aver documentato un traffico di rifiuti tossici in Campania. Lo scorso 17 novembre era a Ostia alla manifestazione promossa dalla Federazione nazionale della stampa e da Libera per rispondere all’aggressione della troupe Rai. In piazza c’era anche l’Anpi con la Presidente nazionale Carla Nespolo. E Ruotolo è un iscritto all’Associazione; nel 2010 quando vinse il Premio Nazionale Anpi “Renato Benedetto Fabrizi” commentò «il riconoscimento partigiano è il regalo più bello che ho mai ricevuto».
Cosa ha significato per Sandro Ruotolo la mobilitazione di Ostia?
Alla manifestazione c’erano tantissimi cittadini, moltissimi i giovani. È stato straordinario e importante stare insieme. Quando si minaccia, malmena o uccide un giornalista mentre fa il suo mestiere, si feriscono la Costituzione, la democrazia e l’intera comunità. Non a caso l’articolo sulla libertà di stampa, l’art 21, venne inserito nella prima parte, strutturale, del testo fondamentale del nostro Paese. È la libertà d’informazione a misurare la qualità democratica di un Paese. Il cronista della trasmissione Rai “Nemo”, Daniele Piervincenzi, stava semplicemente facendo il suo lavoro, quando a Ostia è stato colpito dalla testata di un esponente della malavita locale mentre lo stava intervistando. Poneva domande a un personaggio pubblico che si era espresso sui social a favore di CasaPound nelle elezioni per il Municipio, era dunque doveroso indagare ed esplorare quel mondo.
La reazione della società civile è stata una sorpresa?
Anche grazie alle riprese del bravo operatore, Edoardo Anselmi, quella violenza ha suscitato l’indignazione e la determinazione a reagire. Quelle immagini sono divenute un simbolo, quasi come la fotografia di Aylan, il bambino siriano con la t-shirt rossa e i calzoncini blu ritratto senza vita sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, annegato dopo il naufragio del barcone carico di profughi. Quello scatto, icona della crisi umanitaria, scosse l’opinione pubblica di tutto il mondo e si rispose ai muri alzati dai Paesi dell’est Europa, sbloccando la rotta balcanica e aprendo le frontiere. Così fece la cancelliera tedesca Angela Merkel, accogliendo migliaia di persone.
Il caso Ostia non è isolato.
Finora si è sottovalutato un problema che riguarda sia la criminalità sia la politica, ampiamente dimostrato invece dalle inchieste giudiziarie e giornalistiche su “Mafia capitale”, per esempio. A Ostia il clan degli Spada aveva già minacciato la giornalista Federica Angeli, ormai da tempo sotto scorta. Ma in tutta Italia la libertà di informazione è a rischio: sono decine e decine i giornalisti che vivono protetti da polizia e carabinieri. Oltre a Roberto Saviano, Rosaria Capacchione, Lirio Abbate, Paolo Borrometi, più famosi, ci sono tanti colleghi di piccoli giornali e tv locali intimiditi con l’incendio delle loro auto, da proiettili ricevuti per posta, lettere minatorie, telefonate anonime.
Anche Sandro Ruotolo vive sotto scorta per aver indagato sulla Terra dei fuochi.
In passato avevo già avuto numerosi avvertimenti che hanno imposto misure di tutela. Dal 4 maggio 2015 sono “accompagnato” dai carabinieri e ho una macchina blindata. Certo non posso più gestire da solo la mia vita privata e professionale, ma sono un uomo libero, continuo a pensare e a scrivere, mentre chi mi ha minacciato è in prigione.
Il giornalismo d’inchiesta non è compromesso dalla presenza di una scorta?
La scorsa estate sono andato a Castelvetrano, paese del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, sono riuscito a raccontare il territorio natale di uno dei latitanti più ricercati al mondo, ho svelato i rapporti con alcuni politici. Devo ovviamente pianificare tutto nei minimi dettagli ma ne vale la pena: i cittadini hanno diritto a essere informati.
La sua famiglia ha conosciuto il dolore per colpa della mafia.
Nel 1997 a Napoli mia cugina Silvia Ruotolo fu uccisa mentre rientrava a casa con il figlioletto di cinque anni. Un commando camorrista sparò in strada all’impazzata per uccidere l’affiliato di un clan avversario. Silvia fu raggiunta da un proiettile nel cortile della sua abitazione a Salita Arenella. Una vittima innocente.
Si sostiene spesso che dove non c’è lo Stato c’è la mafia, è un luogo comune?
La mafia è una forma di criminalità organizzata tipicamente italiana, e non riguarda solo le periferie o le classi cosiddette marginali. La mafia si relaziona sempre con il potere. Il Consiglio dei ministri, in una delle ultime riunioni, ha sciolto cinque Consigli comunali calabresi per infiltrazioni mafiose. È la misura della gravità di un fenomeno ancora minimizzato e sminuito. Si è ritenuto che, morto Totò Riina, arrestati i Corleonesi, cioè l’ala stragista, assassina di magistrati, poliziotti e giornalisti, il problema fosse risolto. Invece c’è un allarme determinato dalle collusioni tra politica e mafie che non viene recepito. Sul caso di Ostia, per esempio, si sono sprecate le dichiarazioni di solidarietà al giornalista Rai mentre si approvava il decreto intercettazioni: chi pubblicherà notizie rilevanti ma segrete rischierà fino a tre anni di prigione.
Ma la mafia riesce a fare comunità in assenza dello Stato?
La mafia è solo sudditanza, dittatura. La cultura può molto aiutare nel contrasto perché serve a sviluppare il pensiero critico, all’opposto nei clan c’è un capo e ci sono i gregari che devono solo obbedire. La criminalità organizzata occupa spazi e ruoli che in un Paese democratico spetterebbero allo Stato: offrire opportunità di lavoro, garantire sostegno durante le difficoltà.
CasaPound ha quadruplicato i voti a Ostia, rispetto alle Comunali.
Sono molto preoccupato per la crescita di consensi, anche a livello nazionale, di CasaPound e Forza Nuova. Oltre alla tessera dell’ordine professionale ho solo quella dell’Anpi. Nel 2010 vinsi il Premio Nazionale Anpi “Renato Benedetto Fabrizi”, istituito originariamente dalla sezione di Osimo, nelle Marche, dove ancora si tiene la cerimonia di consegna. Da allora sono un iscritto osimano “orgogliosamente antifascista”. Quando nel 2013 partecipai alle politiche e alle regionali del Lazio per la lista Rivoluzione Civile, durante una tribuna elettorale Rai con tutti i candidati mi rifiutai di stringere la mano a un esponente di CasaPound. Durante la campagna elettorale ho subito tre incursioni delle tartarughe nere. A Frosinone, irruppero non appena ebbe finito di parlare Adelmo Cervi, il figlio di Aldo, ucciso con i suoi fratelli dai fascisti nel ’43.
Cosa in particolare oggi è ragione di apprensione?
Soprattutto le dilaganti pulsioni xenofobe e razziste che, purtroppo, abbiamo bene conosciuto nel passato. E in tempi di crisi economica, quando viene meno la coesione sociale, il rischio di tentazioni autoritarie è concreto. A Ostia, CasaPound ha colmato il vuoto lasciato dai presidi democratici: partiti, sindacati, associazioni. Ciò che più mi ha fatto riflettere, osservando quella realtà locale, sono i pacchi di pasta regalati da CasaPound agli “italiani indigenti”. Ricordano la Napoli di Achille Lauro, fascista del ventennio, nel dopoguerra migrato nell’Uomo Qualunque e in seguito nel Partito monarchico, armatore ed editore, dirigente sportivo, sindaco partenopeo per un breve e discusso periodo, quello del sacco edilizio, e più volte deputato campione di preferenze. In occasione del voto si regalava alla popolazione, un paio di scarpe. Attenzione però: una veniva donata prima e l’altra solo dopo la conferma dell’elezione.
21 dicembre 2017