La prima grande inchiesta valdostana sulla ‘Ndrangheta fu l’operazione Lenzuolo nel 2000 e finì in una bolla di sapone.
Gli inquirenti aprirono il fascicolo a seguito di esplosioni avvenute nei cantieri dopo il 1977, cantieri di proprietà del costruttore Giuseppe Tropiano. Emerse un’organizzazione ‘ndranghetista in Valle, confermata dalle dichiarazioni di tre pentiti, Francesco Fonti, Salvatore Caruso e Annunziato Raso.
Francesco Fonti disse: “Sono arrivato a Torino nell’anno 1971 e da subito, ho saputo che in Valle d’Aosta vi era un Locale attivo”. .
Il “Locale” è la struttura di base della ‘ndrangheta che sorge in un determinato paese, quando si supera il numero minimo di 49 affiliati a qualunque “copiata” cui appartengono Per “copiata” si intende il nome di uno dei responsabili del Locale a cui gli affiliati fanno riferimento. Ovviamente tutto deve avvenire dopo il consenso della mamma di San Luca.
Continuava Foti: “Responsabile del Locale di Aosta era tale Pansera Santo ( deceduto ad Aosta il 2 Aprile 2003 per cause naturali. Alla sua morte, imponenti funerali con la partecipazione di Guido Grimod, sindaco dell’Union valdotaine di Aosta, dal 2000 al 2010, ndr) , proprietario di un autolavaggio in Aosta e da noi ‘ndranghetisti veniva identificato come “Compare Santo”.
Attività principali del Locale di Aosta erano, e rimangono, estorsioni e gestione del traffico di droga.
I rapporti degli inquirenti hanno consentito di ipotizzare con una certa sicurezza che la famiglia della ‘ndrangheta egemone in Valle d’Aosta era quella dei Facchineri , cosca che contava sulla presenza di “parenti e sicuri fiancheggiatori residenti in Valle d’Aosta da molti anni e quindi ben inseriti nella comunità valdostana.
Ma per anni si è negata l’esistenza del crimine organizzato in Valle d’Aosta, si è preferito guardare dalla parte opposta. Una certa politica ha sempre cercato di minimizzare e dare del visionario a chi sollevava il problema.
Eppure in pochi anni circa 40 milioni di denaro pubblico si sono riversati su imprese edili sottoposte ad interdittiva antimafia, evidenziando la permeabilità del tessuto economico valdostano alle infiltrazioni delle organizzazioni criminali.
Eppure, non visionari, ma magistrati della Direzione Nazionale Antimafia scrivono a chiare lettere che “ forte attenzione vi è stata anche con riguardo alla presenza della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta, piccola regione ove, da tempo, agiscono famiglie facenti riferimento soprattutto al mandamento tirrenico di Reggio Calabria”.
Indagini patrimoniali, sequestri di beni per svariati milioni di euro, patrimoni illeciti accertati, provenienti da attività criminali riconducibili alla ‘ndrina Grande Aracri di Cutro,
Ma la presenza della ‘Ndrangheta viene negata, secondo un copione consolidato.
Le regole sono le stesse imposte dalle cosche di Reggio Calabria, minacce di morte o di gravissimi incidenti per gli impresari edili, identiche le percentuali praticate per la Salerno-Reggio Calabria, il 3%. Medesimo modus operandi per ammorbidire i più riottosi: incendi agli escavatori con tanto di scritte inneggiati alla mafia sui muri di cinta delle imprese.
Significativo che gli impresari presi di mira dalle cosche, primo fra tutti Tropiano, non abbiano sporto denuncia alle forze dell’ordine, bensì cercato protezione presso altri mammasantissima calabresi. Sostegno che in molti casi non si è rivelato sufficiente.
Ma torniamo ai primi anni 90.
Il pregiudicato Gaetano Neri, originario di Taurianova e vicino alla cosca degli Asciutto, viene ucciso proprio a Pont Saint Martin, dove è stato inviato in soggiorno obbligato.
Tra le montagne della regione, all’inizio degli anni Novanta, i cugini Nirta di San Luca hanno addirittura messo in piedi un movimento politico.Si chiama Miv, Movimento immigrati valdostani, e ha l’obiettivo di rappresentare la comunità calabrese della Vallée.
Il movimento è riuscito a far eleggere anche i suoi consiglieri comunali.
Finiscono in manette con l’accusa di associazione mafiosa. Come Salvatore Martino, titolare di una pescheria ad Aosta e importante esponente del Miv, ritenuto negli anni Novanta il referente valdostano della cosca dei Iamonte di Melito Porto Salvo. E non sono pochi i politici locali trovati a banchettare fianco a fianco con gli esponenti delle cosche nelle feste organizzate dal Miv.
Anche questo un copione scritto e riscritto.
Un magistrato della procura di Agrigento, Salvatore Vella, afferma “giù si fanno i soldi, qui in Val D’Aosta si investono”. E i settori dove investire non mancano di sicuro, a partire dal Casinò di Saint Vincent, ricettacolo di voti di scambio da parte di dipendenti compiacenti e meta ambita dalle cosche per ripulire il denaro sporco proveniente dai traffici illeciti.
La normativa antiriciclaggio non permetterebbe movimenti di questo tipo, eppure i tentativi per ripulire i soldi sporchi della ‘Ndrangheta all’interno del Casinò, con la compiacenza di politici e dipendenti, si susseguono.
La mafia alza il tiro e sul finire degli anni novanta due presta-soldi sono assassinati a Saint Vincent, chiara l’intenzione delle cosche di voler mantenere il Casinò zona franca da utilizzare come meglio credessero.
Nell’aprile del 2009, nell’ambito di una inchiesta coordinata dalla Dda di Milano, altri due arresti: sulla porta del Casinò fermati due esponenti della cosca Marini di Cirò Marina (Crotone).
Senza dimenticare che a Saint Vincent, e nella casa da gioco, sarebbero transitati i denari dei corleonesi vicini al boss Nicola Mandalà, accusato di aver gestito gli ultimi anni di latitanza di Bernardo Provenzano. Tanto che dopo le indagini della Dda di Palermo pare che la dirigenza del casinò avesse istituito una commissione interna per accertare eventuali responsabilità dei dipendenti.
Responsabilità di cui però non si seppe nulla.
Ma il Casinò non è certo l’unico settore preso di mira dalle cosche. La Valle è meta turistica privilegiata dagli gli amanti dello sci e della montagna. Con tutto quello che consegue: investire nel cemento destinato ad alberghi, strutture ricettive e case vacanze. Edilizia e turismo sono i settori nel mirino della ‘Ndrangheta, attività lecite delle quali è difficile individuare la matrice mafiosa.
E la crisi dà una grossa mano agli uomini vicini od organici alla consorteria criminale, la cui grande disponibilità di denaro liquido consente di acquistare strutture ricettive in difficoltà. Si verificano frenetici passaggi di proprietà di alberghi, pensioni e ristoranti, rilevati da prestanome delle cosche.
La ‘Ndrangheta esporta in Valle anche le sue tradizioni, le feste religiose che tanto piacciono ai boss. Un esempio di questo radicamento è la festa di San Giorgio e di San Giacomo. Ogni estate dal 15 al 26 luglio, processioni, musica, salsicce, peperoncino e nduia. Un pezzo di Calabria tra i ghiacciai eterni, e si registrano fino a 70mila presenze, il che sta a significare che il 50% dei valdostani mostra di apprezzare le tradizioni calabresi, così come il Consiglio Regionale che finanzia l’evento con migliaia di euro.
Eppure la presenza mafiosa c’è chi continua a negarla, benché venga evidenziata dai rapporti del ministero dell’Interno, nei quali si fa chiaro riferimento al riciclaggio e al traffico internazionale di stupefacenti, di attività immobiliari apparentemente lecite, gestite da prestanome.
Ed alla luce di tutto questo viene costituita una commissione antimafia regionale, iniziativa certamente apprezzabile. Sta di fatto che dopo sei mesi di lavori, i componenti la commissione, tutti politici valdostani, sono a tranquillizzare gli animi “quadro rassicurante, e assenza di aspetti di particolare preoccupazione”.
Valle d’Aosta isola felice e negazionismo della peggior specie da parte di una commissione formata solo da politici quantomeno miopi e da nessun esperto. Nessuna minaccia incombente da parte della ‘Ndrangheta tanto che quando viene inaugurata la sede regionale di Libera, ci fu chi ebbe ad affermare “Non ce n’è bisogno”.
2 gennaio 2018