Oggi in Senato, le conclusioni di due anni di lavori per fare luce sulla più grande sciagura del mare dal dopoguerra avvenuta a Livorno nel 1991. L’Agip Abruzzo non doveva essere in quel posto. E sui passeggeri: “Qualcuno poteva essere salvato”
di LAURA MONTANARI
Non è stata la nebbia la causa della collisione fra il Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo. E quest’ultima era in un posto dove non poteva stare. C’era un radar alla stazione piloti, perché la capitaneria non l’ha usato per sapere chi era coinvolto nell’incidente, non una “bettolina” del mare, ma un traghetto pieno di passeggeri diretto in Sardegna? Azzera molte delle “verità” rimaste nelle carte precedenti, cancella certezze e consegna nuovi scenari e qualche interrogativo senza risposta, la commissione parlamentare d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince. 140 morti nelle fiamme che si sono scatenate sul traghetto il 10 aprile 1991 salpato alle 22,03 e schiantatosi contro la petroliera alle 22,25 quando viene lanciato il Mayday che nessuno ascolta: “Moby Prince, Moby Prince siamo entrati in collissione…” . Quasi due ore senza soccorsi, come in preda a un’amnesia collettiva, e sul traghetto si legge ora, “qualcuno poteva essere salvato”. Perché non è vero, dicono i periti, che sono morti tutti nel giro di trenta minuti. E questo punto aggiunge tragedia alla tragedia.
Moby Prince, i famigliari delle vittime: “Fu una strage, ora riaprire i processi”
Gli errori. Oggi al Senato la commissione presieduta da Silvio Lai (Pd) consegnerà la relazione finale ai familiari delle vittime, a quelli che in tutto questo tempo si sono battuti per una verità diversa da quelle processuali che puntavano l’indice sulla nebbia o su un errore umano. «Due anni di lavoro sono serviti alla commissione per fissare alcuni punti fermi che in tanti anni erano rimasti in secondo piano». Per esempio il fatto che il comando dell’Agip Abruzzo (348 metri, 82mila tonnellate di petrolio greggio) «non ha posto in essere condotte pienamente doverose», la sagoma del traghetto «era inconfondibile dal ponte della petroliera e fu percepita con precisione». E allora perché non venne dato subito l’allarme? Perché i soccorsi si sono concentrati tutti e soltanto sulla petroliera e sul suo equipaggio? Dalle 161 pagine redatte dai parlamentari dopo 73 sedute, emergono forti le responsabilità della capitaneria di porto di Livorno: «ci fu impreparazione e inadeguatezza nei soccorsi». Il personale aveva un addestramento adeguato? ci si interroga nel rappporto.
I misteri. La relazione della commissione parlamentare, nella premessa, ammette che a distanza di tanto tempo non sono stati risolti tutti i dubbi, ad esempio resta un mistero il tragitto compiuto dall’Agip Abruzzo: «ci sono punti non congruenti sulle attività della petroliera e sul tragitto compiuto prima di arrivare a Livorno. Veniva da un porto egiziano come sostenuto ufficialmente, aveva fatto scalo in Sicilia come appreso dalla commissione o proveniva da un altro porto ancora come risulta dalla documentazione acquisita dai Lloyd?».
La capitaneria. Una parte importante dell’inchiesta riguarda la vicenda assicurativa e uno strano accordo firmato in fretta e furia, due mesi dopo la tragedia, fra Navarma e Snam- Agip e custodito alle Bermuda ( è stato recuperato dalla guardia di finanza) rimasto finora sconosciuto: le parti si accordano per non attribuirsi reciproche responsabilità. Altra anomalia: “appare anche il fatto che a fronte di una valorizzazione a bilancio Navarma 1991 del traghetto Moby Prince per circa 7 miliardi di lire, il traghetto stesso è stato assicurato per 20 miliardi di lire, come sul fatto che l’assicurazione ha liquidato i 20 miliardi per la perdita totale del traghetto nel febbraio del 1992, quando erano ancora in corso le indagini preliminari, con Achille Onorato, in quanto armatore Navarma, indagato. Il fatto è stato certamente favorito dall’accordo armatoriale del giugno 1991 Snam/Agip/Padana/Skuld”.
Nel mare. C’è poi il capitolo delle ricerche infondo al mare dove giacciono ancora i resti degli scafi, piccole parti di entrambi. Recuperarli, dice la commissione, può servire a stabilire l’esatto luogo dell’impatto e a questo lavora la Marina. “Possono aiutare a stabilire l’esatto punto della collisione”. Un elemento importante ai fini dell’esatta ricostruzione della dinamica. La Marina militare ha già effettuato un sopralluogo e si pensa di ispezionare il fondale con nuovi strumenti tecnologici, come per esempio i robot sottomarini.
Legata ai soccorsi c’è la questione di quanto potevano essere sopravvissute le persone a bordo del traghetto in fiamme. Si diceva al massimo 30 minuti, ma diversi fra testimoni e periti tendono ad allungare i tempi, in certe aree della nave e questo elemento non è un dettaglio: significa che soccorsi migliori avrebbero potuto salvare delle vite.
L’impatto. L’impatto del traghetto con la petroliera è delle 22,25. La commissione in base alle testimonianze raccolte esclude la nebbia come causa e anche la velocità. Di certo la Moby ad un certo momento vira di 30 gradi: perché? Una delle ipotesi è che vi fosse stata una esplosione a bordo. Secondo alcune perizie la Moby trasportava esplosivo ad uso civile. “Il Ministro degli Interni Vincenzo Scotti, in un appunto del Capo del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Prefetto Parisi inviato alla sua attenzione il 28 gennaio 1992, conferma la presenza di tracce di esplosivo «a uso civile» rinvenute in un locale a prua del traghetto. In un altro appunto lo stesso Prefetto Parisi aveva riferito al Ministro Scotti di tracce di tritolo e di nitrato di ammonio rinvenute nei locali di alloggiamento dei motori elettrici delle eliche di prua del traghetto”. Esclusa la pista terroristica, escluse nuove ispezioni dal momento che il Moby è stato smembrato appena tre anni dopo l’incidente: l’ipotesi più probabile resta quella di un’avaria al timone. Di certo dopo la collisione il Moby resta incastrato all’interno della petroliera e per disincagliarsi fa una retromarcia.
Le reazioni. “Siamo arrivati a conclusioni unanimi. Lo abbiamo fatto senza lasciarci trascinare dalle suggestioni. Sulle concretezze appurabili abbiamo ricostruito i fatti e le dinamiche dell’incidente. Le prime evidenze alle quali siamo approdati sono totalmente diverse da come, allora, furono appurate. Non c’era la nebbia e le vittime non morirono tutte entro 30 minuti. Due certezze che in sede giudiziaria furono i pilastri delle sentenze di assoluzione”. Lo dice il senatore Silvio Lai (Pd), presidente della Commissione d’inchiesta sul disastro del Moby Prince, che oggi ha presentato la relazione finale. “Al tempo stesso riteniamo di poter affermare – spiega il senatore Pd – che sia intervenuta un disturbo della navigazione per il Moby Prince unitamente alla posizione di divieto di ancoraggio per l’Agip Abruzzo. Il coordinamento delle operazioni di soccorso è risultato inadeguato ed è avvenuto con colpevole ritardo così come il comando della petroliera non pose in essere condotte pienamente doverose rispetto all’altra nave. Sono state inoltre trovate palesi incongruenze sulle attività dell’Agip Abruzzo e sul tragitto compiuto prima di arrivare a Livorno”. “La Commissione – prosegue Lai – ritiene altresì che l’attività di indagine della Procura di Livorno, sottesa al processo di primo grado, sia stata carente e condizionata da diversi fattori esterni. In particolare appare aver avuto un indubbio effetto condizionante il fatto che le indagini siano state svolte utilizzando memorie provenienti da chi aveva gestito soccorsi od anche limitandosi a riscontrare perizie medico legali legate esclusivamente alla riconoscibilità dei corpi. Cosi come colpisce l’accordo assicurativo dopo soli due mesi dall’evento tra gli armatori delle due navi”. “Consegneremo – conclude Lai – alla Procura della Repubblica gli atti e la relazione finale cosi come trasparentemente ogni documento dell’inchiesta sul Moby Prince, anche secretato, sarà disponibile a tutti. Il lavoro della Commissione ha gettato le basi per dissolvere la nebbia attorno alla tragedia”.
24 gennaio 2018