L’ex capo dell’ufficio legale dell’Eni, Massimo Mantovani, è accusato di aver organizzato un depistaggio per condizionare l’inchiesta sulla più grande mazzetta della storia italiana. Quella da 1,1 miliardi che Eni, secondo la procura di Milano, avrebbe pagato per ottenere il giacimento nigeriano Opl 245. E per questo motivo, su mandato del procuratore aggiunto di Milano Laura Pedio, ieri la Guardia di Finanza ha perquisito la sua abitazione e il suo studio. Per l’Eni, però, si tratta di un vero accerchiamento giudiziario. Nella stessa giornata, infatti, i militari della Finanza hanno arrestato il pm di Siracusa Giancarlo Longo, accusato con un altro avvocato legato a Eni, Piero Amara, di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione.
Il pm avrebbe incassato 88mila euro per istruire un fascicolo nel quale l’ad di Eni, Claudio Descalzi, imputato a Milano per la maxi-tangente, figurava come vittima di un complotto ordito da due consiglieri del colosso petrolifero, Luigi Zingales e Katrina Litvak, che Longo provvedeva a iscrivere ingiustamente nel registro degli indagati. Una storia che i nostri lettori conoscono sin dall’inizio, nell’estate 2016, quando – in modo solitario – il Fatto raccontò questa inchiesta, spiegando che Siracusa si spingeva a ipotizzare pure un secondo complotto che avrebbe visto come vittima l’ex premier Matteo Renzi. I nostri articoli spinsero il Copasir, il comitato parlamentare che vigila sull’intelligence, a intervenire. Il faro acceso dal Fatto sull’inchiesta ha prodotto un risultato che lo stesso Longo, intercettato mentre parla con due suoi colleghi, spiega così: “… a luglio … comincia… gli articoli del Fatto … sparano un po’ di cazzate… così chiama il Copasir… il Copasir richiama … e lui è cominciato ad andare un pò in panico su questa cosa…”.
“Lui” è Francesco Paolo Giordano, il procuratore capo di Siracusa che, dopo aver letto gli articoli, vuole vederci chiaro e, come spiega Longo, “assegna il fascicolo a Scavone”. Fabio Scavone è il procuratore aggiunto di Siracusa. Il suo arrivo, per Longo, è l’inizio della fine. E la reazione a catena arriva fino alla perquisizione di Mantovani. “Scavone”, continua Longo, “va là (dal procuratore capo) gli fa casini, dice… guarda io ho visto questo fascicolo… se l’è passato … se l’è assegnato…”. Il risultato per Longo e l’intero depistaggio è devastante. Il procuratore capo Giordano trasferisce gli atti alla procura di Milano, segnala Longo alla Procura generale della Cassazione e trasmette a Messina, competente a indagare sui magistrati di Siracusa, notizie che riguardano il fascicolo sul falso complotto contro De Scalzi. La procura di Messina, ieri, ha arrestato Longo accusandolo di una “precisa regia e consapevolezza di utilizzare l’azione giudiziaria per fini illeciti”. Quello sul falso complotto non è l’unico finito nel mirino della procura di Messina.
Il metodo Longo, secondo l’accusa, era di tre tipi. Creava fascicoli “specchio”, che si auto-assegnava per monitorare i fascicoli, assegnati ad altri colleghi che potevano interessare agli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore per avere copia di atti altrui o riunire i procedimenti. C’erano poi i fascicoli “minaccia” nei quali iscriveva soggetti ostili agli interessi di alcuni clienti di Calafiore. Infine, fascicoli “sponda” per poter conferire consulenze utili agli interessi dei clienti di Calafiore e Amara”.
Ma torniamo al finto complotto. Il pm Longo, scrive il gip di Messina Maria Ventriglio, si auto-assegnava un procedimento a carico di ignoti per il surreale sequestro denunciato da Alessandro Ferraro. Poi faceva confluire nel fascicolo un verbale di sommarie informazioni rese dal tecnico petrolifero Massimo Gaboardi che, però, era secondo l’accusa un inquietante falso, visto che era stato redatto direttamente, in forma di domande e risposte, dal solito avvocato Calafiore. Quindi iscriveva tra gli indagati Gaboardi, il dirigente Eni Umberto Vergine, i consiglieri Karina Litvak e Luigi Zingales. “Il tutto – scrive il gip – al fine di precostituire e introdurre elementi indiziari idonei a sviare le indagini svolte dalla Procura di Milano” sulla tangente nigeriana. Nel fascicolo Ferraro sosteneva di essere stato sequestrato da tre uomini armati, due di colore e un italiano, e “riconduceva l’attentato” a “quanto appreso a Milano in occasione di una cena” nel corso della quale un nigeriano gli aveva “riferito dell’esistenza di un’organizzazione criminale, la cui mente era tale Volpi, finalizzata a destabilizzare il management di alcuni gruppi imprenditoriali tra i quali l’Eni”. L’obiettivo di Volpi, sosteneva sempre Ferraro, “era di acquistare le quote dell’Eni, avvalendosi di Vergine e Zingales, e ordire un complotto ai danni di De Scalzi”. Dichiarazioni rilasciate al pm senza che fosse presente la polizia giudiziaria. Inusuale, secondo l’accusa, le modalità in cui sentiva come persona informata sui fatti Vincenzo Armanna (non indagato, ndr). Lo stesso Armanna imputato a Milano per maxi tangente nigeriana che, in quei giorni, riscontrava le rivelazioni formulate da Gaboardi”.
In cambio dell’istruzione di questo fascicolo, mirato a sviare l’inchiesta milanese, oltre gli 88mila euro, secondo l’accusa Longo incassava anche un viaggio a Dubai con la famiglia. Certo, chiudere un fascicolo che vedeva De Scalzi vittima di un complotto, peraltro ordito da un alto dirigente Eni e due consiglieri del cda, avrebbe potuto sortire qualche effetto anche sul futuro processo contro De Scalzi. E un ipotetico collegamento investigativo con Milano, avrebbe consentito di conoscere l’intero fascicolo contro De Scalzi, dal pm milanese Fabio De Pasquale. L’intervento tempestivo del procuratore Giordano, dopo la pressione mediatica del Fatto, riesce a bloccare questi effetti. Dal fascicolo trasmesso a Milano partono le archiviazioni per Litvak e Zingales – iscritti in modo “irregolare” – e le indagini che hanno portato alla perquisizione di Mantovani.
È “inquietante”, scrive il gip, “il dato che gli accertamenti” effettuati da Longo “si muovano su iniziativa di soggetti non deputati istituzionalmente alle indagini”. È “allarmante la disinibita gestione dei fascicoli” del pm che “ha proceduto all’audizione di informatori, senza l’ausilio di segretari o polizia giudiziaria, ma ha addirittura formato falsi verbali”.
7 febbraio 2018