Dopo il caso P2, le obbedienze avevano promesso trasparenza. Invece regna l’opacità assoluta come dimostrano gli elenchi visionati dalla Commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane
di Gianfrancesco Turano
Secondo Agatha Christie, un indizio è un indizio. Due indizi sono una coincidenza. Tre indizi sono una prova. Nell’inchiesta della Commissione parlamentare antimafia sui rapporti fra massoneria e crimine organizzato gli indizi sono 2.993. Tanti sono gli affiliati alle logge calabresi e siciliane che non è stato possibile identificare. Per un caso da manuale di eterogenesi dei fini, il lavoro della Commissione ha trovato il suo risultato più clamoroso in un contesto giuridico diverso da quello di partenza che era la caccia ai mafiosi fra le colonne mistiche di Jachin e Boaz.
I pregiudicati per 416 bis sono sei su 17.067 nominativi, una percentuale da beatificazione degli ordini massonici rispetto a qualunque categoria professionale calabro-sicula. E le cose non cambiano di molto se si considerano i 193 soggetti «aventi evidenze giudiziarie per fatti di mafia… concluse in grande parte con decreti di archiviazione» o le «25 posizioni per cui vi sono ancora processi pendenti».
A tornare in ballo nella relazione finale della Commissione è lo spettro della legge Anselmi sulle associazioni segrete nata all’indomani dello scandalo P2, la loggia coperta guidata dal Venerabile Licio Gelli con 962 affiliati, un terzo degli ignoti trovati nelle liste sequestrate per ordine di Rosy Bindi, presidente dell’Antimafia, il primo marzo del 2017.
Per trentasei anni i dirigenti delle varie obbedienze hanno giurato di avere stroncato il fenomeno delle affiliazioni cosiddette all’orecchio o sulla spada cioè la pratica di occultare agli stessi fratelli, con l’eccezione del gran maestro, l’identità di iscritti che dovevano rimanere sotto il cappuccio.
Lo hanno ribadito anche durante le audizioni davanti alla Commissione e Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia (Goi) lo ha anche detto sotto la forma dell’interrogatorio (18 gennaio 2017) ossia in una delle fasi in cui l’Antimafia è investita dei suoi poteri giudiziari in base all’articolo della legge che la istituisce. Gli scontri polemici di Bisi con la presidente Bindi, senese come il gran maestro del Goi, sono stati i più accesi di tutte le audizioni. Esiste anche la possibilità che il suo caso venga segnalato alla procura e che Bisi (appena assolto a Siena nel processo Timeout, legato a Montepaschi) sia l’unico leader massonico a finire indagato per falsa testimonianza in relazione alla segretezza degli iscritti e alle vicende della loggia Rocco Verduci nella Locride, sospesa nel 2013 dopo l’inchiesta “Saggezza” per disposizione del predecessore di Bisi, Gustavo Raffi, e poi cancellata.
Quel che si può dire fin da adesso è che nelle due regioni a maggior rischio di infiltrazione della criminalità organizzata la trasparenza è un sogno. I consulenti della Commissione, lo Scico della Guardia di finanza e i magistrati Marzia Sabella e Kate Tassone, hanno suggerito che non si può «escludere in maniera aprioristica fenomeni di mera superficialità nella tenuta degli elenchi». Ma la trascuratezza qui è sistema. Ottanta nomi sono inseriti con semplici iniziali, in parte riferibili a soggetti cancellati. Altri 1.883 presentano generalità incomplete e 1.030 sono «anagraficamente inesistenti» perché non possono essere associati a un codice fiscale che riveli la certezza dell’identità.
“Irriconoscibili” ovunque
In grandissima parte, quindi, si tratta di fratelli attivi che, presumibilmente, partecipano alle attività sociali e che pagano la quota annuale e i contributi in mancanza dei quali si è passibili di sospensione e poi di espulsione.
Esoterica quanto si vuole, con i soldi la massoneria non scherza e intere logge sono state abbattute perché non versavano il dovuto. Eppure proprio la più mistica delle obbedienze, la Gran loggia regolare d’Italia (Glri) del gran maestro Fabio Venzi, successore di Giuliano Di Bernardo, presenta il numero più alto di iscritti non identificabili. Sono 1.515 nelle 25 logge calabresi e nelle 44 logge siciliane su un totale di 1959 affiliati. La proporzione di fratelli non riconoscibili è del 77,3 per cento.
La più grande obbedienza italiana, il Grande Oriente d’Italia (Goi) ha 1185 nomi non identificabili, la Gran loggia degli Alam ne ha 258 e 35 la piccola Serenissima guidata da Massimo Criscuoli Tortora (appena 197 affiliati in tutta Italia di cui 60 nella sola Calabria).
Il confronto con la precedente inchiesta sulla massoneria italiana, di stampo giudiziario perché condotta dalla Procura della Repubblica di Palmi e dal suo capo di allora Agostino Cordova nel 1993-1994, lascia scarso spazio all’ottimismo sulla voglia di trasparenza delle logge. Sui 5.743 nominativi di massoni calabresi e siciliani analizzati da Cordova un quarto non era identificabile. Oggi è il 17,5 per cento. Oltre vent’anni dopo il miglioramento è trascurabile.
Non solo, ma l’Antimafia segnala un passaggio inquietante. «Premesso che gli elenchi agli atti della Procura di Palmi nel 1993-1994 riguardavano un novero di obbedienze in parte diverso e più ampio rispetto a quelli oggetto di esame da parte di questa Commissione, va rilevato che vi è una parziale discordanza tra di essi nella misura in cui non sono stati rinvenuti negli elenchi acquisiti nel 2017, come noto riferiti a un arco di tempo che va dal 1990 a oggi, taluni nominativi di soggetti all’epoca censiti e poi coinvolti in fatti di mafia». È il caso dell’Asl di Locri commissariata per infiltrazioni della “masso-’ndrangheta” e già al centro dell’omicidio mafioso di Francesco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale, nell’ottobre del 2005.
«Alcune delle modalità di tenuta dei registri sequestrati alle quattro obbedienza massoniche», dice il membro dell’antimafia Davide Mattiello (Pd), «fanno pensare a pratiche di segretezza che nulla hanno a che fare con la riservatezza. Una sostanziale pratica di segretezza e di irriducibilità all’ordinamento repubblicano delle obbedienza massoniche desumibile anche da altre caratteristiche raccontate dai gran maestri auditi in Commissione. Non poter parlare di quel che si fa, non poter conoscere quel che si farà nei livelli successivi del percorso iniziatico, né chi ci sia, non poter denunciare alla giustizia profana un fratello colpevole, riservarsi un autonomo giudizio massonico non riconoscendo validità alle sentenze della giustizia profana».
Tra esoterismo e fascismo
Fatte le proporzioni, il dato più clamoroso riguarda l’obbedienza di Venzi (Glri) che raccoglie il 63 per cento dei suoi 2400 affiliati nelle due regioni a massimo rischio. Non è soltanto una questione numerica. La Glri è l’unica loggia italiana a potersi fregiare del riconoscimento internazionale più ambito, quello della Gran Loggia Unita d’Inghilterra (Ugle), vera casa madre della libera muratoria per filiazione diretta dalle Costituzioni di Anderson del 1717.
A cavallo dello scandalo P2, che lo storico della massoneria Aldo Alessandro Mola ha definito una loggia “speciale” del Goi, era proprio il Grande Oriente d’Italia a godere del riconoscimento. Con l’uscita polemica e la scissione dell’ex gran maestro Di Bernardo nel 1993, in piena tempesta Cordova, la Ugle ha concesso il riconoscimento alla Regolare di Di Bernardo. Il suo erede Venzi, sociologo esperto di esoterismo, di Julius Evola e di rapporti tra massoneria e regime fascista che regna incontrastato sull’obbedienza dal 2001.
Romano di origini calabresi, Venzi è il più restio ai rapporti con la stampa. In audizione ha messo in evidenza una volontà di massima di consegnare gli elenchi sua sponte senza poi metterla in pratica, in modo simile ad Antonio Binni, gran maestro degli Alam, e a differenza di Bisi che si è opposto fin dall’inizio. Per rafforzare la sua posizione di trasparenza, Venzi ha dichiarato di presentare due volte all’anno gli elenchi al ministero dell’Interno e in particolare alla Digos per controlli.
A prendere per vere queste parole, si dovrebbe concludere che i controlli sono stati negligenti: oltre tre quarti degli iscritti alla Regolare non sono identificabili. Venzi in audizione ha spostato il problema sulle associazioni paramassoniche. «Bisogna verificare», ha detto il gran maestro, «gli ambienti di Rotary, Lions e Kiwanis, dove massoni regolari e irregolari si incontrano. La ’ndrangheta sceglie le obbedienze spurie piuttosto che sopportare le nostre riunioni a carattere filosofico-culturale».
In nome di San Giovanni
La tempesta che investe la massoneria sta portando alla luce un fenomeno che l’Antimafia non ha avuto il tempo e la possibilità di verificare. La disgregazione di alcune obbedienze come la Gran Loggia degli Alam, che avrebbe perso tremila affiliati sugli oltre ottomila che Binni aveva dichiarato solo un anno fa alla presidente Bindi, sta facendo proliferare nuove obbedienze e le cosiddette “logge di San Giovanni”. Due fuoriusciti dagli Alam, l’ex gran maestro Luigi Pruneti e il numero tre dell’obbedienza Sergio Ciannella, si sono messi in proprio ognuno con una loro organizzazione all’inizio e alla fine del 2017.
«Noi aspettiamo che si risolva il contenzioso legale con Binni», dice Ciannella. «Se vinceremo ci riprenderemo palazzo Vitelleschi, se no, resteremo dove siamo e cercheremo di lanciare un discorso giuridico sull’articolo 18 della costituzione per stabilire i requisiti fondamentali su che cosa è la libera muratoria in collaborazione con la Serenissima, il Sovrano ordine massonico italiano e la Federazione del Diritto Umano. Oggi chiunque può dirsi massoneria e certamente esiste una proliferazione incontrollata di logge di San Giovanni. In parte, si spiega con la tendenza a sfuggire alla tirannia del gran maestro, che è un dato tipicamente italiano, mentre la massoneria nasce come loggia, non come obbedienza. In Svizzera il gran maestro è un semplice coordinatore, non un monarca. In parte, però, c’è la tendenza a coprire certe deviazioni malavitose che vogliamo e dobbiamo combattere insieme a quelle che un tempo si chiamavano logge coperte».
Bastano sette fratelli, magari espulsi da un’altra obbedienza, a organizzare un nuovo tempio. È a questo fenomeno che ha fatto riferimento il numero uno degli Alam Binni quando in Commissione ha dichiarato che soltanto ad Arezzo esistevano 92 raggruppamenti massonici autonomi.
Obiettivo lobby
In Italia il fenomeno delle logge di San Giovanni è così diffuso che è nata anche una federazione di queste monadi massoniche, con tanto di sito web e pagina Facebook. Da anni il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, sta affrontando il fenomeno. Una delle sue fonti principali è il collaboratore di giustizia Cosimo “Mino” Virgiglio che si è dilungato sull’attività della sua Loggia dei garibaldini, fra comitati d’affari, riti iniziatici da reality-show e ’ndrine di Gioia Tauro.
«Noi non riconosciamo», si difende Stefano Bisi, «associazioni come quella dei garibaldini ed è motivo di provvedimento disciplinare frequentarsi in riti misti, anche se fra obbedienze regolari. La massoneria irregolare noi l’abbiamo sempre combattuta».
Ma il fenomeno non è mai stato debellato. Come ha dichiarato Virgiglio, l’obbligo di assistenza fra massoni va oltre l’appartenenza alle obbedienze e, secondo quanto racconta all’Espresso un fratello di provenienza Alam, sta tornando di attualità una riedizione perversa delle vecchie camere tecnico-professionali della massoneria pre-gelliana, quando i fratelli si riunivano per categorie di appartenenza (medici, giornalisti, avvocati) allo scopo di presentare proposte agli iniziati che sedevano in parlamento.
Questo lobbying discreto in Calabria e in Sicilia ha visto partecipare migliaia di iscritti dei quali non si conosce l’identità. Se si pensa che mafia e ’ndrangheta hanno da tempo esteso la loro attività imprenditoriale ben più a nord del Pollino e che la Commissione non ha potuto approfondire le sue ricerche nelle altre diciotto regioni, c’è da sperare che la prossima legislatura continui il lavoro iniziato, anche se Bindi non si ricandiderà.
08 febbraio 2018