di Gianni Barbacetto
“Quos Deus perdere vult, dementat prius”. È la versione della massima di Euripide, secondo cui “Zeus, a quelli che vuole rovinare, toglie prima la ragione”. Mi rendo conto che tirare in ballo Zeus per la candidatura di Mattia Mor nel Pd è davvero troppo, ma certo è che averlo imposto a Milano ha attirato su Matteo Renzi tanti malumori (mi era venuta un’altra parola: incazzature) da risultare una operazione controproducente, fallimentare, demenziale. Intanto: chi è Mattia Mor? Lui si presenta come “imprenditore”. E manager del gruppo Alibaba. La sua avventura imprenditoriale si chiama Blomor, un’azienda che ha tentato di vendere magliette all’estero. Ma che è fallita miseramente, lasciando un buco da 2,2 milioni di euro di cui si sta ora occupando il Tribunale di Genova.
Le sue imprese più riuscite sono invece le apparizioni in tv: è stato tra i “boys” di Simona Ventura a Quelli che il calcio, poi “tronista” di Maria De Filippi a Uomini e donne, infine ha partecipato al Grande Fratello 10, con breve relazione con Diletta, con lui ospite della “casa”. “Le partecipazioni televisive erano un modo per poter fare marketing del mio brand”, ha spiegato. Il “brand” sarebbe il suo marchio, che poi si identifica con la sua persona. Oggi quello che conta è, appunto, il “brand”, e lo “storytelling” con cui lo racconti. I fatti, i risultati (tipo il fallimento) contano zero.
Tant’è vero che Mattia Mor ha affermato così bene il suo “brand” da convincere un altro, come lui allupato di “storytelling”, ovvero Matteo Renzi, a candidarlo a Milano nelle liste del Pd, anche a costo di buttare fuori tanti altri che da anni lavorano per il Pd e per Matteo Renzi. Per fare “marketing del suo brand” ha fatto due cose: negli anni scorsi è andato alla Leopolda, a vendersi come imprenditore e manager emergente; e nei mesi scorsi ha messo in piedi una campagna (con spazi regalati dal Comune) chiamata #HoSceltoMilano, in cui 130 personaggi hanno messo la loro faccia sui manifesti e in brevi video per raccontare la città in tre aggettivi.
Ha convinto tanti, contenti e convinti di promuovere Milano: dal sindaco Giuseppe Sala a Carlo Cracco, da Linus a Francesco Facchinetti, da Santo Versace a Mara Maionchi, da Manfredi Catella a Gino e Michele, da don Virginio Colmegna a Peter Gomez, da Javier Zanetti a Francesco Micheli, da Davide Oldani a Selvaggia Lucarelli, da Stefano Boeri a Moni Ovadia. Appena finita la campagna, ha annunciato la sua candidatura nel Pd. Cioè ha reso evidente che #HoSceltoMilano gli era servita per conquistarsi la candidatura.
Apriti cielo. Ad essere infastiditi sono stati quelli che, non avendo simpatie per il Pd, si sono sentiti usati per una manovra politica: “Ma come, credevamo di promuovere l’immagine di Milano, invece siamo serviti per la carriera politica di Mor”. Ma ad essere proprio incazzati sono stati quelli del Pd: si sono sentiti turlupinati dall’ultimo arrivato, che con la sua idea furba (per altro copiata da una campagna precedente: “I milanesi siamo noi, storie e facce di una città”) ha scavalcato la fila e si è messo davanti a tutti.
Nelle liste Pd non c’era stato spazio per Fabio Pizzul e per Ada Lucia De Cesaris, Maurizio Martina e Franco Mirabelli hanno dovuto ritirarsi dai loro collegi e perfino Lia Quartapelle, renzianissma giovane promessa della politica milanese, è stata recuperata solo in extremis a furor di popolo. Per Mor, il tronista di bell’aspetto, il polemista televisivo brillante, il manager fallito, invece, Renzi il posto lo ha trovato. Risultato: ha scontentato tutto il Pd milanese, da Sala in giù. Qualcuno protesta, molti mugugnano, la maggior parte sta zitta: in attesa di fare i conti, dopo il 4 marzo.
Il Fatto quotidiano, 9 febbraio 2018