I BASSI SERVIZI DI VIA FANI:
47 MORTO CHE PARLA, PARLA, PARLA…
Ma er cecato e li cecati nun ce sentono. Effetti collaterali der cechismo: sordità, mutismo, perdita della memoria e avanzamento di carriera
I morti parlano, e danno i numeri a chi li ascolta.
Ma la banda de li cecati, ahimè, è sorda. Il povero Iozzino ha un bel da fare per farsi sentire: «L’Alfasud della Digos targata Roma S88162 – dice – prima è parcheggiata sul marciapiede, e dopo viene fatta retrocedere, fino a coprire dei reperti. Guardate le mie foto. Quando l’auto arriva, il mio corpo è ancora coperto da un giornale. Quando vengo ricoperto da un lenzuolo, l’Alfasud è ancora sul marciapiede, e solo dopo arretra».
Ma la dottoressa Laura Tintisona, primo dirigente della Polizia di Stato e ufficiale di collegamento fra questa e la Commissione Moro, non ci sente da quest’orecchio e non ci vede da quest’occhio. Sostiene che l’auto della Digos – come le hanno riferito – si spostò sul marciapiede per agevolare le operazioni della Scientifica, e non guarda le foto che provano il contrario. Lo fa perché non vuole ammettere che i suoi colleghi di quarant’anni fa hanno avuto un ruolo nel blitz che ha ammazzato altri colleghi. La macchina è partita dalla Questura alle 8,30, per non arrivare tardi sul teatro delle operazioni [Relazione CM 2015: 120-121], e questo fatto scotta molto. Ma cecati sono anche i membri della Commissione Moro: nella loro relazione conclusiva (13/12/ 2017) , sintetizzando le principali scoperte effettuate in tre anni di audizioni, OMETTONO COMPLETAMENTE L’ARRIVO PRECOCE DELLA DIGOS, sbianchettando la Polizia dal network dei complici degli assassini.
Essere cecati danneggia la memoria e l’intelligenza. I nostri membri non ricordano più nel 2017 quello che hanno sottolineato nel 2015. E non devono essere delle aquile se hanno assegnato alla Polizia il compito di fare indagini sulla Polizia: indagini domestiche, fra il bagno e la cucina, da bassi Servizi.
I morti parlano, e danno i numeri a chi li ascolta.
Ma la banda de li cecati, ahimè, depista. L’autista dell’auto di Moro, l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci, è colpito mortalmente in fronte da un cecchino professionista: il foro sul parabrezza della 130 si vede bene in tutte le foto. Dopo il suo corpo viene crivellato di colpi per nascondere il primo colpo, mortale.
Intanto il caposcorta, il maresciallo Oreste Leonardi, viene ammazzato da destra, colpito da qualcuno che si nasconde dietro la Austin Morris della “Poggio delle Rose” (una società di copertura dei Servizi) messa al posto del furgone del fioraio, al quale le BR la sera prima hanno squarciato tutte e quattro le gomme. Le foto mostrano quell’auto, targata Roma T50354, con l’ultimo vetro di sinistra rotto e tutti i vetri di destra in frantumi.
Ma il commissario Carlo De Stefano, mentendo, scrive che l’auto è parcheggiata davanti al numero 109, e non è vero, che ha tutti i vetri di sinistra rotti, e non è vero, che ha solo l’ultimo finestrino di destra in frantumi, e non è vero, e che nell’intercapedine della portiera anteriore sinistra è stato trovato un proiettile schiacciato, che viene fatto sparire. Verbale da cecato, il suo, da cecato dei Servizi, che gli fa far carriera, fino a diventare sottosegretario agli Interni del governo Monti. Meriti ufficiali: è il “maggior esperto italiano di antiterrorismo”. Esse cecato rende più che vederci bbene.
I morti parlano, e danno i numeri a chi li ascolta.
A Zappolino, sulle colline bolognesi, il 2 aprile 1978 le anime di La Pira e don Sturzo sono loquaci anche se mute. Durante una seduta spiritica, spingendo il piattino, gli ectoplasmi suggeriscono a Romano Prodi, Beniamino Andreatta e Alberto Clò: G-R-A-D-O-L-I 96 I-N-T-E-R-N-O 11. In pratica, nome cognome e indirizzo dei Servizi che curano la regia del caso Moro. Il 4 aprile Prodi vola a Roma, va con i suoi santi numeri nella sede della DC e manda il biglietto con quei numeri alla banda del Viminale – formata da un gruppo di cecati guidati da Gelli e da Cossiga – e lì per lì non succede niente. Ma l’ambo (96 e 11), sebbene sia irregolare, porta fortuna ai miracolati: in cambio del silenzio sulla loro fonte, tutti e tre diventeranno ministri. Miracolo della fede! Esse cecato rende! E beato chi è cecato, se ci vede!
I morti parlano, e danno i numeri a chi li ascolta.
«Via Massimi 47», sussurra la voce di questa suora, amica di santi e di peccatori, di ministri e di piduisti, di assassini e di malfattori.
Etichetta sulla copertina del memoriale di Morucci, dattiloscritto e confezionato in un opuscolo rilegato, consegnato nel 1990 a Cossiga da suor Teresilla Barillà. Vi si legge: Solo per lei signor Presidente, è tutto negli atti processuali, solo che qui ci sono i nomi [firma illeggibile] Riservato (1986)
Domenica 23 ottobre 2005 a Roma sulla via Ardeatina, alle 3 e mezzo di mattina, un’auto investe suor Teresilla Barillà, che è in testa alla processione notturna verso il santuario della Madonna del Divino Amore. La cosa strana è che suor Teresilla viene stirata nonostante porti una grande croce illuminata. O, forse, la croce ha fatto da bersaglio? È lecito chiederselo, perché la religiosa ha fatto da tramite fra le BR e Cossiga, ha aiutato Cavedon a stendere il Memoriale poi controfirmato da Morucci, ha frequentato via Massimi 47, dove Piccoli lavorava con Gelli, ha portato a Paliano terroristi di ogni colore, ha frequentato Toni Negri, Frate Mitra, la Mambro e Fioravanti, ha avuto in mano gli originali delle lettere di Moro, è andata con Pazienza e i Servizi a trattare con Cutolo per la liberazione di Ciro Cirillo, e ne sa di cose. Se la Madonna l’ha chiamata a sé, miracolo!, forse un motivo c’è. Beato chi è cecato, perché più facilmente va in paradiso…Ma i cecati della Commissione Moro si sono ben guardati dall’indagare sulla morte di questa suora dei Servizi. Non si sa mai, da morta anche Teresilla potrebbe parlare… e se parlasse, direbbe…
(il seguito alla prossima puntata: Dicitinciello vuie)
Lo staff di iskrae.eu