Se nessuno vuol dare retta ad uno stimatissimo ed onesto magistrato, allora ascolterete le parole di un pregiudicato, come me. Mi scuso preventivamente -umilmente e sinceramente- con il sostituto procuratore generale di Genova, Enrico Zucca per quanto sto per dire: non dovrebbe essere un pregiudicato come me a riconoscere le sacrosante verità delle sue affermazioni. Forse dovrebbero farlo le massime cariche dello Stato, quello Stato ove regni una Giustizia sociale che i cittadini con il loro ultimo voto si ostinano ancora a ricercare.
Quello che ho detto è una verità inconfutabile: sono un maresciallo dei carabinieri pregiudicato. Sono stato infatti condannato in via definitiva dalla Cassazione nel 2015 a sei mesi di reclusione per falso materiale relativamente alla vicenda di una firma apposta ad un documento che attestava un fatto vero, cioè che mi trovavo in servizio quando avevo preso una multa alla guida del mio mezzo privato. Purtroppo si trattava di una prassi, all’epoca delle indagini di mafia, dovuta al fatto che vi fosse la necessità di utilizzare mezzi non facilmente individuabili.
Inoltre, in seguito ad una querela da me sporta per denunciare gli ostacoli che ritenevo e ritengo di aver trovato mentre ero impegnato nelle indagini per la cattura di importanti latitanti, quali Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, sono stato anche rinviato a giudizio per calunnia e dovrò affrontare per questo, com’è giusto, un processo a Palermo, al quale non cercherò assolutamente di sottrarmi. Anzi, sarà la sede giusta per far luce su ciò che da troppo tempo un sistema sempre meno oscuro di potere continua a celare.
È perciò corretto e doveroso che, in presenza di una condanna definitiva, da molti anni io non svolga più il lavoro di investigatore, specializzato nella ricerca di latitanti, per condurre il quale avevo perfezionato il mio addestramento e che da allora io non abbia avuto alcuna promozione o gratificazione dall’Istituzione cui appartengo. Sono fermo allo stesso grado che avevo quando emersero per la prima volta queste vicende nel 2009.
Se l’Arma decidesse di esonerarmi dal servizio che sto espletando o di penalizzarmi ulteriormente non potrei che essere d’accordo con una decisione intrinsecamente giusta: i condannati e coloro su cui gravano pesanti sospetti non devono godere di alcun trattamento di riguardo, meno che mai devono progredire in carriera o ricevere qualsiasi forma di benevolenza.
Ecco perché non posso che concordare con le recenti dichiarazioni esternate dal sostituto procuratore generale presso la corte d’Appello di Genova, dottor Egidio Zucca, che ha dichiarato: “Il Governo deve spiegare perché ha tenuto ai vertici operativi dei condannati…”. Egli ha ricordato che in occasione del G8 svoltosi a Genova nel luglio del 2001, ci furono episodi di tortura perpetrati da esponenti delle forze dell’ordine, come riconosciuto anche da più sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Per quello che ho detto prima, anche riguardo alla mia posizione processuale, non posso che essere d’accordo con le parole del Dott. Zucca e sulla critica espressa rispetto a quei funzionari di Polizia che sono stati condannati con sentenze definitive dalla giustizia italiana e, a dispetto di ciò, sono incredibilmente rimasti in servizio, addirittura promossi e oggi ricoprono posizioni apicali.
E, prima delle condanne, durante i processi, del pari, la loro carriera non ha subito alcuno stop, anzi, incredibilmente, è progredita quanto meno come se esse non fossero mai state pronunziate. Un quadro reso ancor più grave da quanto accertato definitivamente nel caso della incredibile vicenda della prescrizione riconosciuta al generale Giampaolo Ganzer, già comandante del Ros dei carabinieri, dopo la condanna della corte di Appello di Milano a 4 anni e 11 mesi di reclusione “per aver costituito un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, al peculato, al falso e ad altri reati, al fine di fare una carriera rapida”. Reati poi prescritti che non portarono ad alcun ostacolo per la sua carriera, che progredì normalmente.
Le stesse regole che, secondo una sentenza e un rinvio a giudizio, io non avrei rispettato. E per questi comportamenti, se non riuscirò a dimostrare la mia totale innocenza e correttezza e la verità dei fatti da me denunciati, com’è giusto che sia, sono disposto ad assumermi tutte le responsabilità e a pagarne personalmente le conseguenze. Purchè mi seguiate tutti, cari colleghi pregiudicati! Ipotesi fantascientifica, considerato che tra le fila di chi vi nomina, in parlamento, si celano altri pregiudicati. Ecco perché non riesco a sentirmi come Voi, Italiano.
Mi riferisco a Franco Gabrielli, che il 19 luglio 2017 in un’intervista a La Repubblica circa la responsabilità politica di Gianni De Gennaro quale capo della polizia ai tempi dei fatti di Genova dichiarò: “Se io fossi stato Gianni De Gennaro mi sarei assunto le mie responsabilità senza se e senza ma. Mi sarei dimesso. Per il bene della Polizia”. Eh già, “per il bene della Polizia!”; invece, per il bene della Giustizia sociale e la coerenza istituzionale, una prece. Anzi due: una anche per umana memoria, almeno quella, di Attilio Manca, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e chissà quanti altri.
Con queste parole che rappresentano solo il pensiero di un semplice pregiudicato che ritiene di poter esercitare ancora la sua libertà di espressione, lascio tutti ad una riflessione. Oltre al reato di tortura, sarebbe opportuno consigliare ai nuovi parlamentari di studiare e introdurre anche il reato di incoerenza? Quella istituzionale, “per il bene della Polizia” e perché no, anche per i sacrosanti diritti civili.