di Gianni Barbacetto e Giorgio Meletti
Un fantasma si aggira per il sistema bancario italiano, il fantasma del processo all’Ubi, la terza banca italiana installata tra Bergamo e Brescia. Sembra non fare notizia, eppure l’intero stato maggiore dell’istituto di credito più “pesante” dopo Intesa e Unicredit è imputato in un processo per ostacolo alla vigilanza in cui rischia fino a 8 anni di carcere. Quello che si sta svolgendo è il vero processo al capitalismo di relazione, un’araba fenice di cui tutti parlano ma a cui la Procura di Bergamo ha fatto la fotografia. Siamo abituati a vedere alla sbarra i banchieri caduti in disgrazia con i loro istituti. Il caso Ubi è diverso: è a processo il gruppo dirigente in carica e la Banca d’Italia non si è neppure costituita parte civile. Il processo è nato cinque anni fa dalle denunce dei risparmiatori dell’Adusbef, del piccolo azionista Giorgio Jannone (ex parlamentare di Forza Italia) e dell’economista Andrea Resti per conto dei cinque consiglieri di minoranza.
Le indagini le ha fatte la Consob, poi la Procura. La Banca d’Italia ha fatto sapere di non aver ravvisato indizi di colpevolezza, e nei prossimi giorni potremo misurare l’efficacia di questa implicita pressione. Il giudice dell’udienza preliminare Ilaria Sanesi dovrà infatti decidere sul rinvio a giudizio chiesto dal procuratore di Bergamo Walter Mapelli e dal suo sostituto Fabio Pelosi per trenta imputati, tra i quali: l’amministratore delegato Victor Massiah, il presidente Andrea Moltrasio, i vicepresidenti Mario Cera, Flavio Pizzini e Armando Santus, i consiglieri Francesca Bazoli e Pierpaolo Camadini. Poi ci sono i due imputati simbolo, considerati i veri capi: il bergamasco Emilio Zanetti e il bresciano Giovanni Bazoli, gli “onnipotenti” accusati di aver organizzato, gestito e diretto il patto di sindacato occulto che ha garantito ai due gruppi di potere, quello bergamasco e quello bresciano, un dominio assoluto sulla banca in spregio ai diritti degli azionisti di minoranza.
Ubi è un caso particolare per un altro motivo. L’anno scorso ha rilevato, dalla Banca d’Italia, Banca Marche, Banca Etruria e Carichieti, tre dei quattro istituti “risolti” a novembre 2015 con l’operazione che ha fatto esplodere la crisi bancaria. E ha un bilancio anomalo. Mentre le altre banche hanno svalutato i loro crediti inesigibili (le sofferenze) in media al 34 per cento del valore nominale, Ubi le tiene ancora al 55 per cento. Se si adeguasse ai valori correnti, brucerebbe 1,5 miliardi di patrimonio, dopo averne bruciati 2,2 nel 2017. Il processo di Bergamo interviene dunque in una situazione già delicata. Gli imputati, spalleggiati dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, si dichiarano innocenti. Nelle prossime pagine potete farvi una vostra idea leggendo come sono andate le cose, ricostruite sulla base delle carte processuali, delle intercettazioni, degli interrogatori e di un documento inedito, la lunga e articolata replica del pm Pelosi alle difese, in conclusione dell’udienza preliminare che dovrà decidere se rinviare a giudizio oppure no i 30 imputati eccellenti di Ubi Banca.
Tutte le date
Il patto invisibile tra Bergamo e Brescia. Bazoli l’“onnipotente”. Le deleghe false per l’assemblea 2013. Il ruolo della Consob. Il silenzio di Bankitalia
Il primo aprile 2007 nasce Ubi Banca, dalla fusione della bresciana Blp (Banca Lombarda e Piemontese) e della bergamasca Bpu-Banche Popolari Unite. Adotta un modello federale, “consentendo”, afferma il pm Fabio Pelosi, “l’integrazione di due anime, corrispondenti a due realtà territoriali (quella di Brescia e quella di Bergamo), ma anche a due modelli diversi di impresa bancaria”. Giovanni Bazoli – fondatore di Ubi e presidente onorario di Intesa Sanpaolo – ha raccontato in un’intervista al Corriere della sera: “La Banca Lombarda e Piemontese era entrata nelle mire delle due maggiori banche spagnole, Santander e Bbva. Io ebbi conferma delle intenzioni del Santander in un incontro richiestomi personalmente dal presidente, Emilio Botin. Egli mi precisò che intendeva procedere con un’offerta pubblica di acquisto amichevole. Replicai subito che la banca stava considerando una diversa ipotesi e mi mossi senza indugio per proporre ai massimi responsabili di Blp e Bpu l’idea di una fusione”. La fusione coinvolge una spa, Blp, dove votano le azioni, e una banca popolare, Bpu, dove votano i soci (una testa, un voto) a prescindere dalle azioni possedute.
Ricostruzione del Corriere: “Fu deciso che la nuova banca avrebbe avuto la forma cooperativa: non solo era una condizione tassativa posta da Bpu, ma tale forma appariva anche più idonea a proteggere dal rischio di scalate esterne che, come si è detto, erano in quel momento allo studio. Per convincere i soci della banca spa ad accettare e ‘adeguarsi’ al principio cooperativo del voto capitario, indipendentemente dalle quote di capitale possedute, si studiarono regole e clausole del tutto nuove, intese a garantire, nella governance della nuova banca, un equilibrio – il principio di ‘pariteticità’ – fra le due componenti societarie”. Dice Bazoli: “La fusione non avrebbe mai potuto realizzarsi se non fossero state garantite tali condizioni di equilibrio: meccanismi complessi, riguardanti la composizione dei consigli di sorveglianza e di gestione, del comitato nomine, un’alternanza delle cariche apicali e così via. Regole di governance approvate da tutte le autorità interessate, in primo luogo Bankitalia, e rese pubbliche con l’atto fondativo di Ubi, lo statuto e i regolamenti”. Secondo l’accusa, invece, al momento della fusione i due presidenti firmano un Protocollo d’intesa che “non era destinato a disciplinare la sola fase originaria del gruppo bancario, ma costituiva un patto parasociale a tempo indeterminato (comunque rinnovato nell’estate 2012), dandogli attuazione senza che né lo Statuto né gli altri documenti societari consentissero alle Autorità di vigilanza (e conseguentemente al mercato) di capire il reale processo di individuazione dei componenti degli organi sociali”. È il reato di ostacolo alla vigilanza, articolo 2638 del codice civile, che prevede una pena fino a 8 anni di carcere.
28 marzo 2012. Bazoli si dimette dal consiglio d’amministrazione di Ubi per il cosiddetto divieto di interlocking deciso dal governo Monti: non può presiedere Intesa Sanpaolo e contemporaneamente stare nel cda di uno dei maggiori concorrenti. Secondo l’accusa, però, “dal 29 marzo 2012 ha continuato a mantenere sia la presidenza del gruppo bancario Intesa Sanpaolo, sia l’amministrazione e gestione di fatto all’interno del gruppo Ubi Banca, così ostacolando le funzioni di vigilanza”. La procura di Bergamo rileva che Ubi, con Bazoli sia consigliere della banca sia presidente di Intesa Sanpaolo, ha acquistato azioni Intesa Sanpaolo e le ha rivendute, dopo diverse svalutazioni, con una perdita di circa 600 milioni. Al di là se “l’operazione sia stata o meno vantaggiosa per la società Ubi”, la vicenda “assume comunque una peculiare importanza per delineare il contesto dei rapporti tra Bazoli e Zanetti”, in ragione degli “accordi sottostanti diretti al controllo del gruppo Ubi”.
5 novembre 2012. Un esposto alla Procura di Bergamo del presidente dell’Adusbef Elio Lannutti “prospettava la sussistenza di fatti integranti ipotesi di reato compiuti dal gruppo dirigente di Ubi”.
30 dicembre 2012. Riunione tra Andrea Moltrasio, Armando Santus e Italo Lucchini, ai vertici di Ubi. Secondo il resoconto di quest’ultimo, Moltrasio ha definito Bazoli “l’onnipotente” e ha detto: “Non discute più, ma dà solo ordini”.
Febbraio 2013. Secondo l’accusa della Procura bergamasca, su disposizione di Zanetti (presidente del consiglio di gestione Ubi), “vengono comunicati i dati personali dei soci Ubi alla Compagnia delle Opere”. L’obiettivo è portare più soci possibile, tra quelli appartenenti alla Compagnia delle Opere guidata da Rossano Breno, a votare per la Lista 1 di Zanetti e Bazoli all’assemblea dei soci fissata per il 20 aprile 2013. Il pericolo, ora, non viene più dalle banche spagnole, ma da due liste alternative, guidate da Andrea Resti e Giorgio Jannone, “estranei al gruppo di potere al momento dominante nella banca” e “immediatamente percepite come aggressive”. Si utilizza una lista dei soci Ubi, con “un trattamento illegittimo dei dati”, con l’avallo di “Zanetti, il quale autorizzò tale operazione”. Un gruppo di imputati (tra cui Zanetti, Bazoli, Italo Folonari, Victor Massiah, Andrea Moltrasio, Rossano Breno) saranno accusati di aver falsato i dati dell’assemblea, “con atti simulati o fraudolenti, ovvero mediante la predisposizione di deleghe in bianco e di deleghe (mai rilasciate) falsamente o artatamente disposte a vantaggio della cosiddetta Lista 1”. Sul lato bergamasco si attivano Zanetti, Breno, Cdo, Confiab (il Consorzio fidi imprese artigiane di Bergamo). Sul lato bresciano entra in scena Massiah che affida un incarico alla società Sodali per “effettuare una profilatura dei soci”, consentendo “un controllo anticipato del voto, al fine di evitare sorprese in sede assembleare”. La Guardia di finanza ha trovato anche 49 deleghe, su 264 analizzate, del tutto false, con i deleganti che dichiarano “di non aver mai firmato alcuna delega”.
2 marzo 2013. Trattative in corso tra bergamaschi e bresciani per la formazione del cda nella prossima assemblea del 20 aprile. Il consigliere Italo Lucchini annota nel suo diario: “In modo trionfale, Andrea Moltrasio (presidente in pectore dell’Ubi, ndr) ha comunicato che Calvi (Giuseppe, oggi imputato, ndr) aveva convinto il prof. Bazoli a non candidare la figlia Francesca. Armando Santus più tardi ha confermato che Calvi, per convincere l’onnipotente a mollare, ha minacciato di non fare la lista del Consiglio di sorveglianza”. Il pm Pelosi ha sostenuto davanti al gup che i movimenti per la “successione dei figli dei due soggetti di riferimento”, Matteo Zanetti e Francesca Bazoli, “al di là del profilo penale sono rilevanti solo al fine di meglio declinare il contesto degli accordi esistenti per la gestione della banca”.
8 marzo 2013. La relazione ispettiva della Banca d’Italia su Ubi fa riferimento ad anomalie in materia di antiriciclaggio e a possibili conflitti di interesse.
13 marzo 2013. Riunione a casa del presidente Ubi Franco Polotti a cui partecipa anche Bazoli. Tempo dopo Moltrasio, intercettato, dice a Polotti: “Queste riunioni fatte a casa tua con il presidente di Banca Intesa… Ma insomma, se lo venissero a sapere che figura ci facciamo?”. Replica Polotti: “Dipende da noi tenere la bocca chiusa”.
20 aprile 2013. Assemblea degli azionisti Ubi: la Lista 1 vince con 7.340 voti, quasi 5 mila dei quali con deleghe rilasciate da assenti. Battuta la lista Jannone. Moltrasio viene eletto presidente, Massiah confermato amministratore delegato. Scatta l’indagine della Procura di Bergamo, affidata al nucleo valutario della Guardia di finanza. L’inchiesta si chiuderà nel novembre 2016. Il pm Pelosi ritiene di aver trovato prove di un patto occulto, nascosto al mercato e alle autorità di controllo (Bankitalia, Consob e Autorità per la concorrenza), per consentire a una “cabina di regia” formata dai bresciani di Bazoli e dai bergamaschi di Zanetti di nominare i vertici, prendere le decisioni strategiche ed escludere “dalla gestione soggetti estranei alle due associazioni”.
24 giugno 2013. Una riunione tra i futuri imputati viene così verbalizzata da Italo Lucchini: “La contestazione dell’esistenza di un patto parasociale fra le Associazioni Amici Ubi e Ablp è stata giudicata in qualche misura fondata. L’amico Pierga (Piergaetano Marchetti, ndr) ha già fornito a Moltrasio qualche primo riscontro: sul passato siamo tranquilli, in quanto nei primi sei anni di Ubi vi è stata una completa disclosure sulla documentazione delle associazioni; dove invece vi è la conferma di un’interferenza di Ablp nelle decisioni che dovrebbero essere prese in piena autonomia da Ubi è nel meccanismo delle votazioni del comitato nomine/consiglio di sorveglianza, un vero e proprio patto parasociale che mette a rischio l’indipendenza dei consiglieri”.
20 luglio 2013. Esposto alla procura di Bergamo del consigliere di minoranza Andrea Resti. Il dirigente Consob Marcello Bianchi dice ai pm che l’esposto “evidenziava un sistema di governance non palesato” attorno alle due associazioni di azionisti bergamaschi e bresciani. Consob decide di fare l’ispezione.
10 ottobre 2013. In un incontro riservato presso lo studio del notaio bergamasco Armando Santus, vicepresidente Ubi, che “doveva rimanere del tutto riservato”, Bazoli (secondo il diario di Lucchini) denuncia gli “attacchi esterni” e invita i convenuti “a non lasciarci influenzare da fattori esogeni, rafforzando ciò che giova a Ubi, resistendo alle interferenze anche degli organismi di vigilanza”. Bazoli critica “l’incalzare di Banca d’Italia”. Poi dice che “la freddezza dei numeri e dei computer pone in secondo piano l’attenzione all’uomo e ci fa correre il rischio di essere battuti sia dalle grandi banche europee, sia dai due istituti italiani di maggiori dimensioni (Unicredit e Intesa, di cui Bazoli è presidente, ndr). È per questo che Ubi deve continuare a rimanere ancorata al proprio territorio: l’Italia è un Paese dove contano ancora i campanili e la storia”.
13 febbraio 2014. Bankitalia notifica a Ubi un verbale ispettivo “parzialmente sfavorevole”. Nel mirino tra l’altro i meccanismi di governance. Durante l’ispezione è stata avviata una riforma, ma secondo gli ispettori con “modifiche poco incisive”. Il punto delicato rimane l’accordo non pubblico secondo cui le due associazioni di azionisti Ablp (Brescia) e Amici di Ubi (Bergamo) si spartiscono tutte le nomine con criteri di pariteticità.
13 marzo 2014. Mentre è in corso un confronto tra Ubi e Banca d’Italia sulle modifiche allo statuto, Bazoli viene ricevuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nel pomeriggio, nuova riunione a casa di Polotti. Dal verbale di Lucchini: “È intervenuto il prof. Bazoli per affermare che, grazie al parere del prof. Marchetti, le presidenze possono riprendere i rapporti con la Banca d’Italia e la Consob, facendo presente che: la conduzione della governance nei primi sei anni è del tutto legittima; le innovazioni che verranno introdotte debbono tutelare i patti fondativi, in quanto nell’interesse della Banca”. C’è anche uno scontro tra Moltrasio e Bazoli sulla decisione di fondere in un’unica banca i vari istituti del gruppo Ubi. Bazoli (presidente del maggiore concorrente) è contrario. Lucchini appunta: “Bazoli mai visto così agitato”, reagisce “in modo duro e risentito”. Bazoli attacca: “Per risolvere i problemi di Bergamo non si possono certo mettere in discussione valori non negoziabili per Brescia”. Poi ricorda la battaglia assembleare di un anno prima contro Jannone: “Non dimenticatevi che nell’ultima assemblea insomma è stata Brescia… Cuneo, le fondazioni e tutto il resto… siamo noi che siamo venuti a difendere la banca perché altrimenti, a questo tavolo, oggi non ci sarebbe nessuno di noi sei” (i bergamaschi Moltrasio, Lucchini, Santus e i bresciani Bazoli, Polotti e Cera).
9 aprile 2014. Massiah telefona a Flavio Pizzini (vicepresidente Ubi): “Ci andiamo anche a cercar rogne, perché oltretutto c’è anche… per la seconda volta, una strategia sbagliata a negoziare con Banca d’Italia, perchè se ti dice ‘Non voglio vedere più le provenienze’ e tu, seppur con giri di parole, gliele ritiri dentro nel regolamento nomine, allora hai un problema eh!”.
30 aprile 2014. La Consob notifica a Ubi l’avvio della procedura sanzionatoria. Il responsabile corporate governance Marcello Bianchi ai pm: “Mancava una comunicazione al mercato”.
12 maggio 2014. L’ad Victor Massiah parla con il capo della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo. L’uomo di Visco avrebbe manifestato sorpresa e preso le distanze dalla Consob: “Mi ha dato segnali di fiducia e solidarietà”, dice Massiah a Cera. Il presidente Andrea Moltrasio incontra il presidente della Consob Giuseppe Vegas. Intercettato, riferisce: “Si ricorda, presidente, che mi aveva detto che in caso di accanimento dovevo rivolgermi a lei, eccomi qua!”.
13 maggio 2014. Vegas riceve Moltrasio e Cera. La Gdf sintetizza: “Moltrasio riferisce che Mario Cera è rimasto particolarmente colpito dalla sollecitudine manifestata da Vegas”. Vegas negherà: “Che mi sia dimostrato cortese con loro, come abitualmente faccio, non ha alcun significato rispetto all’esito della pratica”.
14 maggio 2014. Mentre Giovanni Bazoli è a colloquio con il governatore Visco, scattano le perquisizioni nel suo ufficio e in quelli di altri dirigenti Ubi. Alla Consob tesa riunione tra Vegas e Bianchi. Riferisce il dg Gaetano Caputi: “Il presidente era seccato perché credeva che la perquisizione avesse origine dall’attività Consob”. Racconta Bianchi: “Il segretario generale Stazi mi ha riferito che era molto arrabbiato perché aveva incontrato Cera che si sarebbe lamentato delle nostre contestazioni”.
23 maggio 2014. Visco riceve a Palazzo Koch lo stato maggiore di Ubi (Massiah, Cera, Polotti, Moltrasio, indagati per ostacolo alla vigilanza).
25 giugno 2014. Interrogato dai pm, Barbagallo minimizza: “Avevano ricevuto un provvedimento di perquisizione e si sono mostrati stupiti e un po’ meravigliati. Noi non abbiamo espresso valutazioni. (…) Laddove le decisioni della banca risultassero prese all’esterno dei suoi organi sarebbe fatto estremamente grave”.
16 luglio 2014. Il Corriere della sera pubblica gli estratti conto del commissario Consob Giuseppe Pezzinga presso Iw Bank (controllata Ubi) dai quali risulterebbero investimenti non ammessi dal codice etico Consob. Il pm Pelosi sente odore di bruciato e inscrive la vicenda “in un contesto di contrasti tra Pezzinga e Vegas in merito alla vicenda Unipol-Fonsai”.
2 febbraio 2015. Interrogato, Vegas nega lo “scambio” Consob/Ubi/Pezzinga: “Escludo categoricamente che ci sia stato un accordo tra me e Cera e Moltrasio secondo cui, a fronte di un mio interessamento in favore del gruppo Ubi riguardo alla procedura sanzionatoria, gli stessi si adoperassero per far uscire da Iw Bank gli estratti dei conti correnti di Pezzinga”.
4 febbraio 2015. Bazoli intercettato racconta alla figlia Francesca di aver parlato con Carlo Messina (ad di Intesa Sanpaolo) di una possibile acquisizione del Monte dei Paschi da parte di Ubi.
22 maggio 2015. Il direttore generale di Ubi Francesco Iorio viene designato dalla Vigilanza bancaria per affiancare il presidente della Popolare di Vicenza Gianni Zonin, in un tentativo di salvare la banca.
4 settembre 2015. Bankitalia decide “l’avvio di accertamenti sul gruppo Ubi Banca in tema di (…) contrasto del riciclaggio”. All’esito dell’ispezione avvierà una procedura sanzionatoria. Il riciclaggio è la spina nel fianco di Ubi: sulla controllata Iw Bank sono ancora in corso un’inchiesta della Dda di Brescia e una della Procura di Milano, nella quale è imputato il vicepresidente Cera. Il 12 aprile inizierà l’udienza preliminare sui rinvii a giudizio chiesti dal pm milanese Elio Ramondini.
24 settembre 2015. Interrogatorio di Cera. Si parla dello scontro sul progetto “banca unica” a cui Bazoli era ostile: “Polotti mi disse che questa operazione non si poteva fare senza l’avallo del prof. Bazoli, quale ultimo garante dei patti fondativi ovvero come ultimo padre fondatore”.
Ottobre 2015. La Consob sanziona il vertice Ubi che ottiene la secretazione per “grave rischio per i mercati finanziari/danno sproporzionato per le parti”.
18 gennaio 2017. Ubi compra dal Fondo di risoluzione della Banca d’Italia tre delle quattro banche “risolte” il 22 novembre 2015: Etruria, Banca Marche e Carichieti. Il 31 gennaio 2017 Bankitalia archivia il procedimento sanzionatorio per il riciclaggio Ubi.
9 marzo 2017. Interrogatorio di Italo Lucchini: nel 2013 “le nomine furono fatte da Bazoli, ricordo che voleva effettuare direttamente lui le nomine”.
24 marzo 2017. Gianluigi Gola, consigliere Ubi, dichiara al pm: “Io nel Consiglio di gestione del 28 marzo 2011 lamentai fortemente il disagio sulla scelta dei candidati, (…) contestavo di trovarmi di fronte a elenchi già predeterminati che ‘planavano’ in consiglio”.
22 maggio 2017. Ubi licenzia Roberto Peroni, il whistleblower che nel 2014 ha denunciato ai carabinieri le attività di riciclaggio protette dalla banca. Peroni aveva dettato a verbale: “La Ubi International in Lussemburgo è in pratica la banca utilizzata dagli amici degli amici per fare le peggio schifezze”.
30 maggio 2017. Il procuratore aggiunto di Brescia Sandro Raimondi ordina l’acquisizione di documenti presso l’Ubi per un’indagine su due alti dirigenti, Carlo Peroni, responsabile antiriciclaggio, e il suo capo Mauro Senati, responsabile del controllo rischi. Secondo il pm, dall’agosto 2012 al 31 dicembre 2016 “presso la struttura a cui sono demandati i compiti in materia di antiriciclaggio di Ubi banca si sono verificati sistematici episodi di omissione di segnalazioni per operazioni sospette”, per una selezionata platea di “soggetti legati a figure apicali in seno al gruppo bancario ovvero facenti parte della governance della banca”.
14 giugno 2017. Audizione del governatore Visco alle commissioni riunite Finanze di Camera e Senato. Dice a un deputato M5S: “Su Ubi non abbiamo informazioni, non c’è un rinvio a giudizio, leggiamo i giornali come lei, se ci saranno fatti gravi sarà la Bce che interverrà”.
10 novembre 2017. Inizio dell’udienza preliminare al tribunale di Bergamo.
9 marzo 2018. Bazoli per la prima volta parla, con dichiarazioni spontanee davanti al gup: “Sfido a dimostrare che il mio fine non è stato esclusivamente il bene della banca. Nessuno potrà mai dimostrare l’indimostrabile: che io abbia agito per fini personali”.
23 marzo 2018. Il pm Fabio Pelosi replica a Bazoli e agli altri imputati: “Siamo di fronte a un gruppo bancario di dimensione nazionale, le cui scelte strategiche (…) venivano assunte anche da chi non avrebbe potuto, come il prof. Bazoli”, che ricopriva ufficialmente “il ruolo di presidente del gruppo bancario Intesa Sanpaolo, società in concorrenza con il gruppo Ubi”. E ancora: “Nessuno può considerarsi al di sopra della legge: qui ho sentito sviscerare curriculum vitae (…) ma anche asserzioni finalizzate a ritenere alcune persone assolutamente ‘intoccabili’, come se il solo sospetto non potesse che costituire già un crimine di lesa maestà”. Infine inchioda Bazoli a una citazione della filosofa Hannah Arendt: “Siamo ormai pienamente consapevoli delle conseguenze disastrose che discendono da una linea di pensiero che costringe ad ammettere che tutti i mezzi, purché siano efficaci, sono leciti e giustificati per conseguire qualcosa di definitivo come fine”.
Il Fatto quotidiano, 4 aprile 2018