L’attuale presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione
di AMDuemila
Non è proprio l’immagine di un paladino dell’antimafia quella presentata oggi dell’attuale presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta Antonio Calogero Montante, finito agli arresti domiciliari. La Polizia di Caltanissetta ha arrestato assieme a lui altre cinque persone, tra cui tre poliziotti, accusate, a vario titolo, di essersi associati allo scopo di commettere più delitti contro la pubblica amministrazione e di accesso abusivo a sistema informatico, nonché più delitti di corruzione. Tra gli indagati risulta anche l’ex presidente del Senato Renato Schifani. Montante, che in passato è stato uno degli esponenti di punta della svolta antimafia di Confindustria ricoprendo la carica di responsabile nazionale per la Legalità, secondo le indagini, avrebbe creato una rete illegale di spionaggio. Una “tentacolare rete di rapporti” formata da soggetti “legati a doppio filo dallo scambio di favori funzionali”, di cui fanno parte sia gli indagati sia “apicali esponenti delle istituzioni”, che ha agito “al fine di ostacolare le indagini” della procura, scrive il Gip nella parte dell’ordinanza dedicata alla fuga di notizie.
Il presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta e presidente di Retimpresa Servizi di Confindustria Nazionale aveva un vero e proprio archivio informativo che gli serviva per acquisire elementi per paralizzare azioni di contrasto nei suoi confronti ha detto il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone che coordina l’inchiesta assieme all’aggiunto Gabriele Paci e ai sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso.
Montante si sarebbe servito di una serie di informatori anche per avere informazioni sull’inchiesta che era scattata nei suoi confronti anni fa, dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia.
Il 22 gennaio di due anni fa infatti, Montante aveva ricevuto un avviso di garanzia per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in cui venivano ipotizzati legami d’affari e rapporti di amicizia con Vincenzo Arnone, boss di Serradifalco, figlio di Paolino Arnone, storico padrino della provincia di Caltanissetta morto suicida in carcere nel 1992. Vincenzo Arnone è stato testimone di nozze di Montante. La Procura di Caltanissetta aveva chiesto la custodia cautelare in carcere per Antonello Montante e gli altri cinque finiti poi agli arresti domiciliari per decisione del gip secondo cui: “La salvaguardia delle esigenze di cautela sociale e probatoria non richiede l’applicazione della custodia intramuraria, potendosi validamente assicurare con altra misura custodiale minore”. Questo per il giudice può “validamente arginare sia il pericolo di indebite interferenze sulle fonti di prova che il rischio di reiterazione dei reati”. Tra i collaboratori di giustizia che resero dichiarazioni su Montante c’è Salvatore Dario Di Francesco. Il pentito Di Francesco parlò di appalti pilotati tra il 1999 e il 2004 nell’area di sviluppo industriale di Caltanissetta. Poi però la Procura non ha raggiunto elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio. ”L’accusa di concorso esterno non è stata formulata nella richiesta di misure cautelari in quanto la soglia probatoria non si è ritenuta sufficientemente acquisita a fronte di indicazioni di collaboratori di giustizia che parlano di vicinanza di Montante a personaggi di particolare rilievo della mafia di Serradifalco”. Ha detto il procuratore di Caltanissetta, Amedeo Bertone, a margine della conferenza stampa.
22 persone fra indagati e arrestati: una rete di spionaggio
Sono finiti agli arresti domiciliari anche degli uomini delle forze dell’ordine che con diversi ruoli, secondo l’accusa, avrebbero fatto parte di una rete ”protettiva” di spionaggio a favore di Montante, in alcuni casi passando anche dati riservati a cui potevano avere accesso. Sono: il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, ex capocentro della Dia di Palermo tornato all’Arma dopo un periodo nei servizi segreti, Diego Di Simone, ex sostituto commissario della squadra mobile di Palermo, Marco De Angelis, sostituto commissario prima alla questura di Palermo poi alla prefettura di Milano, Ettore Orfanello, ex comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza a Palermo, il re dei supermercati Massimo Romano che gestisce la catena “Mizzica” – Carrefour Sicilia, con oltre 80 punti vendita nella regione ed infine un altro provvedimento cautelare rivolto a Giuseppe Graceffa, vice sovrintendente della polizia in servizio a Palermo, sospeso dal servizio per un anno.
Massimo Romano venne indagato per corruzione nell’ambito di una verifica fiscale, andata a buon fine per l’imprenditore, e con lui nell’inchiesta finì anche il maggiore Orfanello. Romano era nel team della legalità di Sicindustria.
Nell’inchiesta “Double face” vi sarebbero anche altri 15 indagati, non raggiunti da alcun provvedimento, accusati di aver fatto parte della catena delle fughe di notizie. Ed è qui che compare anche il nome di Renato Schifani, oltre a quello dell’ex generale Arturo Esposito, ex direttore del servizio segreto civile (Aisi), di Andrea Cavacece, capo reparto dell’Aisi, di Andrea Grassi, ex dirigente della prima divisione del Servizio centrale operativo della polizia, di Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di finanza di Caltanissetta e poi capocentro della Dia nissena e di Mario Sanfilippo, ex ufficiale della polizia tributaria di Caltanissetta.
Indagati anche il professore Angelo Cuva, docente di diritto tributario all’università di Palermo, Maurizio Bernava, segretario confederale della Cisl, in passato segretario regionale dello stesso sindacato in Sicilia, gli imprenditori Andrea e Salvatore Calì titolari di un’azienda che avrebbe effettuato bonifiche negli uffici di Montante, Alessandro Ferrara, attualmente commissario del Fondo Pensioni della Regione, Carlo La Rotonda direttore di Reti d’imprese di Confindustria, Letterio Romeo ex comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Caltanissetta, Salvatore Mauro, Vincenzo Mistretta indicato come persona vicina a Montante che avrebbe cercato di contattare persone che dovevano essere ascoltate dalla Procura.
L’archivio segreto
Un vero e proprio verminaio, in mano a Montante, fatto di corruzione, di amicizie con mafiosi e di dossieraggio in danno di una quarantina di magistrati, giornalisti, colleghi di Confindustria Sicilia e di potenziali nemici che avrebbero potuto ostacolare la propria ascesa ai vertici di Camera di Commercio e Confindustria. E’ questo il quadro delineato dal procuratore di Caltanissetta Bertone alla conferenza stampa. Nel gennaio 2016 quando, durante una perquisizione a Serradifalco (Caltanissetta) nella villa di Montante, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, gli agenti hanno rinvenuto in una stanza nascosta da una libreria, un archivio con veri e propri dossier e, frugando nel suo pc hanno recuperato tra i file cancellati quello che elencava contatti, incontri, e compensi per i corrotti (soprattutto posti di lavoro, promesse di trasferimenti etc.). Particolarmente attiva sarebbe stata la complicità del maggiore Orfanello, che nei suoi accertamenti tributari sarebbe stato ”molto generoso con gli amici di Montante ma molto severo con i nemici”. Per i dossier e le rivelazioni del segreto d’ufficio Montante poteva contare su Di Simone, Perricone e Graceffa.
Nello specifico il sistema si basava sul contributo di “Di Simone, ex appartenente alla polizia di Stato che grazie all’interessamento di un altro soggetto delle istituzioni era stato ingaggiato da Confindustria e si occupava della sicurezza dell’associazione. Essendo un ex appartenente della polizia di Stato teneva contatti con altri due indagati attraverso i quali acquisiva informazioni. -ha spiegato Bertone – Graceffa lavorando alla questura di Palermo forniva informazioni riservate attraverso l’inserimento nella banca dati delle richieste che il Montante faceva tramite Di Simone”.
Sono decine i profili richiesti: da Alfonzo Cicero, che era alla guida dell’Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive, a Davide Durante, ex presidente di Confidustria Trapani, da Gioacchino Genchi ex poliziotto e legale di Pietro Di Vincenzo, imprenditore condannato per estorsione e cessione fittizia di beni, dall’ex senatore Pd Vladimiro Crisafulli all’attuale assessore all’Economia e avvocato Gaetano Armao. L’elenco è lunghissimo: ci sono i collaboratori di giustizia Carmelo Barbieri, Pietro Riggi e Aldo Riggi, l’ex presidente del consorzio Asi di Caltanissetta Umberto Cortese, l’ex direttore di Confindustria nissena Tullio Giarratano, l’ex assessore regionale Nicolò Marino e i suoi figli, i giornalisti Giampiero Casagni e Attilio Bolzoni. Secondo il gip Montante ”voleva acquisire informazioni su persone che hanno rivestito un ruolo politico di ambito regionale e che erano entrate in rotta di collisione con lui e col sistema confindustriale che rappresenta in relazione alle più svariate vicende”.
Il questore di Caltanissetta, Giovanni Signer, ha detto che “l’indagine ha portato a scoprire punti deboli nella nostra amministrazione ma ci conforta il fatto che siamo stati noi stessi ad accertarlo e dunque a dimostrare che nella polizia ci sono ancora gli anticorpi che ci assicurano affidabilità e integrità istituzionale”. Ad accusare Montante oltre ad alcuni collaboratori di giustizia, ci sono anche due ex amici dello stesso imprenditore, Marco Venturi, ex assessore regionale, e Alfonso Cicero, ex presidente dell’Irsap.
Capitolo Schifani
Sono tre i capi d’imputazione che riguardano Renato Schifani. Nel primo l’ex presidente del Senato è accusato di rivelazione di segreti d’ufficio assieme all’ex direttore della prima divisione dello Sco Andrea Grassi, del capo reparto dell’Aisi Andrea Cavacece e del docente dell’Università di Palermo Angelo Cuva. Secondo l’accusa, Grassi – dopo aver appreso la notizia dalla squadra mobile di Caltanissetta – avrebbe rivelato a Cavacece che erano state disposte delle intercettazioni nei confronti di Montante e che il colonnello D’Agata fosse indagato nello stesso procedimento in cui era coinvolto l’ex presidente di Sicindustria. Cavacece, sostiene sempre l’accusa, a sua volta avrebbe rivelato che vi erano intercettazioni nei confronti di Montante sia al suo capo, il generale Esposito, sia a D’Agata. A quest’ultimo, però, non avrebbe detto che era indagato, cosa che invece avrebbe riferito al direttore dell’Aisi. Quest’ultimo, tramite D’Agata, avrebbe fatto arrivare a Montante la notizia che era intercettato. Sempre Esposito, si legge ancora nel capo di imputazione, avrebbe rivelato a “Valerio Blengini – affinché si recasse da Bruno Megale, questore di Caltanissetta, al fine di attingere informazioni – e a Renato Schifani, la notizia che D’Agata fosse indagato”. Ed è a questo punto che entrerebbe in gioco Schifani. L’ex presidente del Senato “rivelava a Cuva la notizia, veicolata dal Grassi ed appresa dal generale Esposito, che D’Agata fosse indagato”. Cuva, infine, avrebbe riferito le informazioni allo stesso D’Agata. Schifani – assieme a Esposito e Cuva – è anche indagato per aver detto al professore, dopo averlo appreso dall’ex direttore dell’Aisi, che erano state disposte delle intercettazioni nei confronti della moglie di D’Agata. L’accusa di favoreggiamento, con Cuva, fa invece riferimento al fatto che i due “aiutavano Montante e D’Agata ad eludere le investigazioni che la procura della Repubblica di Caltanissetta stava eseguendo sul loro conto”.
Dal canto suo l’ex presidente del Senato di Forza Italia ha negato qualsiasi coinvolgimento: “Apprendo con stupore l’indagine a mio carico riguardo una mia presunta condotta, che è assolutamente inesistente – ha detto – Mi riservo, piuttosto, di denunciare per millantato credito chi per ipotesi mi ha coinvolto e fin d’ora sono a disposizione dell’Autorità giudiziaria per comprendere meglio la vicenda ed avviare tutte le iniziative opportune, al fine di tutelarmi da un’accusa palesemente infondata. Rivendico, infine, che non ho mai avuto alcuna amicizia o frequentazione con il signor Montante, a dimostrazione dell’assoluto disinteresse nei confronti di quest’ultimo”.
Claudio Fava: “Sia sollevato dalle funzioni”
“E’ scandaloso che l’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante conservi intatte le proprie cariche” ha detto il deputato regionale del movimento #CentoPassi Claudio Fava. “Chi consente ancora oggi – si chiede Fava – al signor Montante di ricoprire quegli incarichi nonostante da due anni sia indagato per reati di mafia? Quale sistema deviato di potere è stato costruito negli anni attorno a questo imprenditore? Quanti altri protettori occulti e palesi, dentro e fuori le istituzioni, hanno protetto la sua carriera?”. “In attesa di una risposta – conclude il deputato regionale di #CentoPassi – chiediamo agli organi preposti, nonché al presidente nazionale Confindustria Boccia e al presidente della Regione Musumeci, di adottare i provvedimenti urgenti ed opportuni affinché Montante venga sollevato immediatamente dalle sue funzioni. Se ad accuse così gravi e circostanziate non segue un atto di autotutela delle istituzioni, rischia di prevalere il senso tragico e ridicolo dell’impunità personale”. “Nessuno, di fronte al decoro delle istituzioni – conclude Fava – può essere considerato per così tanto tempo un intoccabile”.
Cgil, quadro inquietante fare chiarezza
“Il quadro che emerge dall’indagine della procura di Caltanissetta è inquietante, per i soggetti coinvolti, per le ipotesi di reato formulate, per le commistioni con la politica. Ancora una volta emerge una zona grigia, un sistema di potere non trasparente nella quale affogano legalità e ogni ipotesi di sviluppo sano della nostra terra”. Lo affermano Giuseppe Massafra, segretario confederale nazionale della Cgil e il segretario generale della Cgil Sicilia, Michele Pagliaro. “Il nostro auspicio – aggiungono Massafra e Pagliaro – è che su questa vicenda sia fatta immediata chiarezza. Se la rete di potere ipotizzata venisse confermata sarebbe un fatto gravissimo. Saremmo cioè di fronte a un sistema che in nome dell’antimafia operava nei fatti per contrastare chi come noi si batte per la legalità e lo sviluppo del Paese e della Sicilia. Un sistema di potere per niente trasparente collegato a ben due governi della Regione e non solo”. Per il segretario provinciale della Cgil di Palermo Mario Ridulfo “l’affaire Montante è una vicenda inquietante, anche per l’incredibile rete di soggetti coinvolti nelle indagini”. “A questo punto – aggiunge – ci aspettiamo, come minimo, la revoca della nomina di Montante a consigliere dell’Agenzia nazionale dei Beni confiscati e sequestrati, superando l’autosospensione dalle sue cariche, in attesa che la giustizia faccia il suo naturale corso”.
14 Maggio 2018