di Gianni Barbacetto
Con gli amici si presenta, scherzando, come “il Beppe buono” (qualcuno allora potrebbe pensare che il “Beppe cattivo” dovrebbe essere Giuseppe Sala, ex commissario Expo e poi sindaco di Milano). Giuseppe Bonomi detto Beppe, di Expo ha rilevato l’eredità (pesante): cioè i terreni su cui è sorta l’esposizione universale, pagati salati, ai tempi di Roberto Formigoni e Letizia Moratti, con denaro pubblico che ora deve essere recuperato. Da amministratore delegato di Arexpo (la società pubblica proprietaria dell’area Expo), Bonomi il recupero lo sta facendo, con l’intervento della società australiana Landlease che, dopo aver vinto la gara per gestire per 99 anni i terreni, li dovrà “valorizzare” piazzandoci sopra aziende pharma e hi-tech, oltre alle facoltà scientifiche dell’Università Statale e al centro di ricerca Human Technopole.
Se ora sarà chiamato a Roma a fare il ministro, dovrà lasciare Arexpo e anche il consiglio d’amministrazione di Ferrovie Nord Milano (57,5 per cento Regione Lombardia e 14,7 Fs), dove il nuovo presidente lombardo Attilio Fontana lo ha appena inserito per cercare di raddrizzare un’azienda in cui i conti vanno bene ma il servizio (specie per i pendolari) va malissimo, oltretutto con un rapporto difficile con le Ferrovie di Renato Mazzoncini. Dovrebbe lasciare anche l’advisory board di Unicredit, il comitato strategico di sette membri in cui è entrato solo da pochi giorni.
Il ministero che sembrerebbe su misura per lui, visto il curriculum (verificato), è quello delle infrastrutture e trasporti. Ma in realtà per quella casella i giochi sono ancora tutti aperti. Potrebbe andare a riempirla un personaggio più “politico”, anche perché Bonomi, da manager, è abituato a valutare il rapporto costi-benefici delle opere, ma poi preferisce fare piuttosto che bloccare, e il mandato per il ministro delle infrastrutture del governo giallo-verde sembra essere – almeno per il Tav Torino-Lione – più quello di fermare l’opera che non di portarla a compimento.
Beppe Bonomi da Varese, 60 anni il prossimo 8 giugno, si è laureato in giurisprudenza alla Statale di Milano e ha aperto uno studio legale nella sua città. Comincia nel 1993 la sua attività politica: schierato con la Lega Nord, diventa assessore all’urbanistica a Varese, poi nel 1994 deputato. Un paio di anni dopo è assessore ai lavori pubblici a Milano, nella giunta del sindaco leghista Marco Formentini. Poi il Carroccio lo piazza nei posti che il partito comincia a ottenere nelle aziende pubbliche. Entra nel consiglio d’amministrazione di Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa, di cui diventa presidente tra il 1997 e il 1999. Sono gli anni in cui decolla “Malpensa 2000”, il progetto di fare dello scalo più vicino a Varese che a Milano l’hub intercontinentale di Alitalia.
Nel 2003, proprio di Alitalia diventa per un anno presidente, non senza contrasti con l’amministratore delegato Francesco Mengozzi. Passa al vertice di Eurofly, la compagnia aerea di Alitalia specializzata nei voli charter. Entra anche nel consiglio d’amministrazione di Anas. E questo gli costa un’inchiesta della Procura di Milano per turbativa d’asta e abuso d’ufficio per un’appalto da 9 milioni di euro, quello della galleria di Maccagno, non lontano da Varese: viene arrestato un suo assistente, Fabio Mangini, che era consulente Anas ma era stato socio di un’impresa, la Cic, che puntava all’appalto Anas di Maccagno. La Cic non vince, Mangini e un paio di funzionari Anas patteggiano la pena, ma Bonomi esce prosciolto dall’indagine.
Nel 2006 torna alla Sea, dove resta fino al 2013 con il doppio incarico di presidente e amministratore delegato. Prima di lasciare l’azienda, manda alla Consob e alla Procura di Milano un esposto che accusa il fondo F2i, allora guidato da Vito Gamberale, di aver fatto fallire la quotazione in Borsa che il Comune di Milano aveva progettato per Sea. Secondo l’esposto, F2i per far saltare l’ingresso a Piazza Affari avrebbe manipolato il mercato, al fine di riuscire a mantenere il controllo sul proprio pacchetto di azioni Sea e anzi accrescerlo senza bisogno di lanciare un’opa. La vicenda si concluderà con il proscioglimento di Gamberale.
Tra il 2015 e il 2016, Bonomi è direttore generale della Regione Lombardia, a fianco del presidente Roberto Maroni, a cui è sempre stato vicino, pur non avendo cattivi rapporti con Matteo Salvini. Nelle prossime ore sarà Salvini a decidere il suo futuro: resterà a Milano, a tentare di sbrogliare la matassa dell’area Expo e delle Ferrovie Nord, oppure dovrà traslocare a Roma, alle prese con le grandi opere da fare o forse no?