di MOWA
Dalle notizie riportate sui quotidiani dei giorni scorsi siamo arrivati ad apprendere che i nuovi Ministri della Repubblica sono formati, in buona misura, da leghisti o pentastellati, anche se non dichiaratamente iscritti al movimento/partito.
Ministri della Repubblica che dovranno dare dimostrazione di capacità non indifferenti dando risposte concrete ai bisogni del Paese.
Un assaggio di tali ‘capacità‘ (sic!) l’abbiamo avuta con il tanto discusso Paolo Savona (che voleva alzare il valore dello spread a 600) che aveva lo scopo di “mettere sotto pressione l’Unione Europea verso la riforma dell’Eurozona […] mettendo in chiaro che l’Italia potrebbe essere costretta a uscire dall’euro”. Dichiarazioni economiche fatte da Savona prima di diventare Ministro della Repubblica e che, ora, assumono un peso non irrilevante e che sono contrastanti con quanto postato su youtube da SantoStefano Cinquestelle, il 31 mag 2018, che, in un estratto dell’intervista “all’Avvocato ed Economista Nando Ioppolo” da parte di Elia Menta, spiegha cosa sia lo spread e i meccanismi truffaldini che lo regolano.
Ma, allora, a chi dovrebbero credere le persone?… a Savona o allo scomparso avvocato Ioppolo?
A chi dovrebbero credere le persone che hanno, anche votato 5 Stelle: ai vari Di Maio di turno (che hanno preteso Paolo Savona come ministro), o a quelli del movimento/partito che hanno postato una video-intervista che cozza con le teorie del neo-ministro Savona?
Oppure, vale la regola anarcoide dove ognuno dice quel che vuole tanto le cose importanti le decidono altri? E di solito sono i padroni insinuatisi nelle maglie della Repubblica!
Regole anarcoidi come, sembra, succedere nel caso della deputata 5 Stelle, Barbara Lezzi, ora nominata Ministra per il Sud, che si accinge a descrivere, in un video (destabilizzando non poco le persone che hanno un minimo di conoscenze economiche), quali siano le cause che fanno aumentare il prodotto interno lordo del nostro paese e, cioè: “Il caldo fa crescere il Pil”.
Onde evitare di essere bollati come saccenti o di presunzione ci siamo limitati a riportare un paio di descrizioni tratte dal dizionario e dall’enciclopedia Treccani su cosa sia e come si calcola il prodotto interno lordo, nella speranza che qualcuno ponga rimedio a questo negativo stillicidio conoscitivo.
1– “PIL (Prodotto Interno Lordo)
Misure e funzioni del PIL
Il PIL misura il risultato finale dell’attività produttiva dei residenti di un Paese in un dato periodo. La nozione di ‘prodotto’ è riferita ai beni e servizi che hanno una valorizzazione in un processo di scambio; sono quindi escluse dal PIL le prestazioni a titolo gratuito o l’autoconsumo. Il termine ‘interno’ indica che tale variabile comprende le attività economiche svolte all’interno del Paese; sono dunque esclusi i beni e servizi prodotti dagli operatori nazionali, imprese e lavoratori all’estero, mentre sono inclusi i prodotti realizzati da operatori esteri all’interno del Paese. Escludendo la produzione all’interno del Paese da parte degli operatori esteri, e aggiungendo quella all’estero degli operatori nazionali, si ottiene il PNL (Prodotto Nazionale Lordo). Il termine ‘lordo’ indica che il valore della produzione è al lordo degli ammortamenti (➔ ammortamento), ovvero del deprezzamento dello stock di capitale fisico intervenuto nel periodo; questo comporta che, per non ridurre tale grandezza a disposizione del sistema, parte del prodotto deve essere destinata al suo reintegro. Sottraendo dal PIL gli ammortamenti, si ottiene il PIN (Prodotto Interno Netto).
Tre modi di misurare il PIL. L’importanza del PIL non risiede solamente nella sua capacità di sintesi degli andamenti dell’economia, ma anche nel fatto che esso è calcolato mantenendo le coerenze interne del sistema dei conti economici nazionali. Poiché il PIL misura il valore di transazioni fra soggetti, esso può essere misurato sia dal lato degli acquirenti (domanda) sia da quello dei produttori (offerta); inoltre, esso può essere calcolato facendo riferimento ai redditi che esso remunera distribuendo il ricavato della vendita.
La misurazione del PIL dal lato della domanda esplicita le diverse componenti della spesa. Nel conto delle risorse e degli impieghi il PIL si ottiene sommando i consumi (➔ consumo p), gli investimenti fissi lordi (➔ investimento p) e le esportazioni nette (ovvero le esportazioni meno le importazioni). Gli investimenti sono al lordo degli ammortamenti, ovvero includono la quota necessaria per conservare invariato lo stock di capitale a fine periodo; gli investimenti ‘netti’ sono pari alla variazione dello stock di capitale dell’economia.
Il PIL misura soltanto le transazioni ‘finali’, esclude cioè gli scambi di prodotti intermedi, in quanto il valore del prodotto finale già incorpora i costi sostenuti per gli acquisti di prodotti intermedi ai differenti stadi del processo produttivo. La misurazione del PIL dal lato dell’offerta consiste nel sommare l’apporto al PIL del Paese fornito da tutte le imprese. Il PIL è infatti pari alla somma del valore aggiunto (➔) delle diverse unità produttive e stima gli scambi ai prezzi di mercato, comprensivi quindi delle imposte sulla produzione e dell’IVA.
Infine, il PIL remunera i fattori della produzione (➔ fattore di produzione). Può pertanto essere calcolato come somma dei redditi da lavoro dipendente e del risultato lordo di gestione dell’economia, oltre alle imposte sulla produzione e all’IVA e al netto dei contributi alla produzione. Della misura del PIL devono far parte anche quelle parti di prodotto generate dall’economia sommersa. Tale quantità deve essere stimata e aggiunta a quella prodotta nel mercato regolare.
Il PIL come indice dell’andamento economico. Il valore del PIL è espresso generalmente nella valuta nazionale (PIL a prezzi correnti). La dinamica può essere scomposta nell’andamento dei prezzi dei beni e servizi che esso comprende (deflatore del PIL) e in quello delle rispettive quantità (PIL a prezzi costanti). I dati vengono riferiti solitamente all’anno solare o al trimestre. In questo secondo caso essi sono generalmente corretti per tenere conto del diverso numero di giorni lavorativi e dei fattori stagionali che ne condizionano l’andamento. La crescita del PIL a prezzi costanti è la misura più utilizzata per quantificare l’andamento di un’economia. Solitamente i dati sul PIL sono diffusi in termini di variazioni percentuali e l’andamento del PIL è alla base delle analisi delle oscillazioni dell’attività economica. A seconda di tale andamento, congiuntamente all’evoluzione di altre variabili economiche rilevate, vengono individuate le diverse fasi del ciclo economico. Le fasi di recessione dell’economia si caratterizzano per una riduzione significativa, e di durata di almeno alcuni mesi, del tasso di crescita del PIL. Dal secondo dopoguerra l’economia italiana è stata caratterizzata da 13 cicli economici. In 4 di essi la recessione ha comportato una riduzione significativa del PIL: 1975, 1992-93, 2008-09, 2012. I cicli economici descrivono le fluttuazioni dell’attività rispetto a una tendenza di fondo che può essere diversa a seconda dei Paesi o dei periodi storici: a tale tendenza è associata la nozione di crescita del PIL potenziale.
Il livello del PIL è una misura della dimensione economica di un Paese. Essa non è però immediatamente utilizzabile nei confronti internazionali, essendo espressa nella valuta nazionale. La traduzione del valore del PIL in una valuta comune può essere effettuata attraverso i tassi di cambio del periodo di riferimento. Più frequentemente, però, si utilizzano i tassi di cambio basati sulla parità dei poteri d’acquisto, che consentono di eguagliare il livello dei prezzi nei diversi Paesi, rendendo la misura indifferente rispetto alle oscillazioni dei cambi. Allo scopo di ottenere una rappresentazione del grado di sviluppo relativo di Stati diversi, quest’ultima misura viene divisa per la popolazione; è espressa cioè in termini pro capite.
Indicatori alternativi al PIL. L’utilizzo del PIL come misura di sintesi dell’andamento dell’attività economica di un Paese è oggetto di dibattito. I dubbi riguardano il suo impiego come indicatore del grado di sviluppo in senso ampio e del livello di benessere della popolazione. In particolare, viene sottolineato il fatto che alla nozione di PIL vanno accostati anche indicatori in grado di cogliere elementi relativi alla distribuzione del reddito, oppure alla sostenibilità ambientale della crescita, in considerazione del fatto che l’attività di produzione può in alcuni casi determinare un depauperamento delle risorse naturali di un Paese. Fra i vari tentativi di sviluppare nuovi indicatori sintetici della performance di un’economia si segnalano il FIL (Felicità Interna Lorda, ➔ PIL/FIL), l’ISU (Indice di Sviluppo Umano) e l’Indice di benessere economico sostenibile.”
2 – “prodotto interno lordo
La produzione come ricchezza
Il prodotto interno lordo è il valore di tutto quello che produce un paese e rappresenta una grandezza molto importante per valutare lo stato di salute di un’economia, sebbene non comprenda alcuni elementi fondamentali per valutare il livello di benessere
Il PIL nominale, reale, potenziale
Il prodotto interno lordo (PIL) è pari alla somma dei beni e dei servizi finali prodotti da un paese in un dato periodo di tempo. Si dice interno perché si riferisce a quello che viene prodotto nel territorio del paese, sia da imprese nazionali sia da imprese estere. Se invece vogliamo riferirci solo a ciò che è prodotto da imprese nazionali, dobbiamo togliere dal pil quel che è prodotto sul territorio nazionale da imprese estere e aggiungere quel che è prodotto all’estero da imprese nazionali: abbiamo così il prodotto nazionale lordo (PNL).
Il PIL si definisce nominale quando i beni e i servizi sono considerati in base al loro prezzo corrente, e reale qualora i prezzi dei beni siano mantenuti costanti rispetto a un anno base. Consideriamo, per esempio, un paese che nel 2000 abbia prodotto 500 paia di occhiali venduti a un prezzo di 100 euro l’uno e nel 2004 abbia prodotto 600 paia degli stessi occhiali venduti a 120 euro. Il PIL nominale del 2000 sarà pari a 500 × 100 = 50.000 euro e quello del 2004 a 600 × 120 = 72.000 euro. Il PIL reale rispetto ai prezzi del 2000 sarà pari al PIL nominale per l’anno base (2000), mentre sarà uguale a 600 × 100 = 60.000 euro nel 2004. Come possiamo notare, un aumento del PIL nominale durante un certo lasso di tempo può essere dovuto a un incremento dei prezzi o delle quantità prodotte; invece l’incremento del PIL reale è sicuramente riconducibile alle sole variazioni nelle quantità prodotte.
Il calcolo del PIL
Il PIL può essere misurato in tre diversi modi. Il primo consiste nel considerare la somma dei prodotti e servizi finali di un paese. Si usa il termine finali per escludere i beni intermedi usati per la fabbricazione: per esempio, il prezzo del pane include già il prezzo della farina usata. Sommare pane e farina vorrebbe dire contare lo stesso bene due volte.
Per evitare confusione c’è un secondo metodo: sommare il valore aggiunto dell’economia in un dato periodo di tempo, dove per valore aggiunto si intende la differenza tra il valore della produzione di ogni impresa e il valore dei beni intermedi usati dalle stesse imprese nella produzione.
Infine, poiché il valore della produzione è uguale a quanto è stato pagato dalle imprese per i fattori di produzione utilizzati (lavoro, capitale e servizi pubblici), il PIL può essere calcolato come somma dei redditi (salari e stipendi dei lavoratori, profitti delle imprese, imposte pagate allo stato) di tutta l’economia.
Le attività escluse
Il PIL è considerato uno dei principali indicatori della ricchezza complessiva di un paese (economia), mentre il pil pro capite, che si ottiene dividendo il pil per la popolazione, fornisce una misura del benessere medio dei cittadini. Tuttavia il pil non considera l’economia illegale, ossia quella parte della produzione di un paese legata ad attività proibite dalla legge (per esempio, il traffico di droga, il ‘lavoro’ dei ladri o dei rapinatori, la prostituzione e via dicendo).
Il PIL include invece quella che viene chiamata l’economia sommersa o il cosiddetto lavoro nero. Mentre per l’economia illegale non sono disponibili dati che possano fornire un’idea della sua rilevanza, gli esperti di contabilità nazionale (in Italia l’istat è responsabile delle stime del pil) stimano che nel nostro paese l’economia sommersa copre una quota compresa fra il 15 e il 17% del PIL (dati del 2003).
Il PIL è una misura senz’altro grossolana del benessere economico di un paese. Tuttavia, anche molti dei fattori di benessere che non rientrano nel calcolo del pil, quali la qualità dell’ambiente, la tutela della salute, la garanzia di accesso all’istruzione, dipendono in ultima analisi anche dalla ricchezza di un paese e quindi dal suo PIL.”
Non è una novità che, dopo il 1993, i massocapitalisti abbiano creato, costantemente, partiti diretti dai padroni e che, le persone perbene, in queste ultima tornata elettorale, debbano sperare e/o augurarsi (causa l’eliminazione del proporzionale puro, quindi dell’eguaglianza dei cittadini nel momento del voto), solo, che ci siano dei validi portaborse onde evitare di trovarci a sostenere che il nostro Paese vada male perché “è tutta colpa del ‘ciàffico'” (come disse nella parodia, depistando le responsabilità della mafia palermitana, lo zio mafioso nel film, di Roberto Benigni, Johnny Stecchino)…