Riproponiamo un articolo comparso su Liberazione, il 3 luglio 2008, in risposta ad una critica sulla figura di Palmiro Togliatti (che morì per un “ictus“ a Yalta il 21 agosto 1964) comparsa sullo stesso quotidiano, per dare visione della grandezza analitica dell’uomo che contribuì enormemente per la nostra democrazia e la nostra Repubblica…
Lo staff di iskrae
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Polemica a proposito dell’articolo di “Liberazione” su Togliatti
Indipendentemente dalle accuse, per altro non nuove, mosse a Togliatti in un articolo di Liberazione, riteniamo necessario puntualizzare i caratteri di fondo della visione strategica del Partito Comunista Italiano elaborata da Togliatti e della sua personalità politica.
Infatti il tipo di critica mossa a Togliatti prescinde dalla considerazione storiografica della figura di Togliatti.
Il cui “allineamento” a Stalin è stato contraddetto positivamente dalla concezione e dalla strategia della democrazia progressiva, notoriamente tesa alla trasformazione dei rapporti sociali. Ovvero a sviluppare la democrazia “formale” in democrazia “sostanziale” con le lotte sociali e politiche nel Paese e nelle istituzioni. Su ciò si è basata la Costituzione del ‘48 nell’Italia che la democrazia doveva non “ricostruire” ma “fondare”. Una democrazia sociale, di massa e di base, che costituisce al tempo stesso la via e la sostanza del socialismo.
Del resto, non è la prima volta che al dirigente comunista vengono attribuiti fatti e responsabilità poi rivelatisi falsi (per esempio, la firma per la condanna dei comunisti polacchi, smentita dal fatto che in quel momento Togliatti non era a Mosca ma in Spagna, come sostiene anche Canfora in Togliatti e i dilemmi
della politica, Laterza, 1989) o che sono ancora da accertare.
Quand’anche, comunque c’è da chiedersi se la vicenda umana e personale, il periodo sovietico di Togliatti vissuto nel contesto staliniano, siano elementi sufficienti per mettere in discussione il significato storico-politico e il valore di un’opera e di una linea politica e strategica di fondo. Una linea che non è l’effetto di una conversione o di un mutamento repentino, che ha radici lontane, fin nell’idea ordinovista dei consigli operai e del partito come parte della classe e non corpo a se stante.
Per esempio Ernst Fischer in Ricordi e riflessioni (Editori Riuniti, 1969) cita un rapporto del sovietico Nsdap (Commissariato del popolo affari interni) il quale giunge alla conclusione che lui medesimo, Fischer, era l’intellettuale straniero più pericoloso che si trovasse in Unione Sovietica accanto a Palmiro Togliatti.
Dalla testimonianza diretta e certo non sospetta, neanche minimamente, di Fischer esce un’immagine di Palmiro Togliatti negli anni dal ‘35 al ‘43, la «impenetrabile pensierosità» con cui Togliatti viene ritratto nel corso di difficili e complesse riunioni degli organismi del Comintern, ben diversa, opposta, a quel che si è cercato di costruire da parti diverse e avverse. Il pensiero di Togliatti – come qualcuno ha ricordato – «dite che è così, ma io continuo a pensarla diversamente» (tanto che la storia dimostra che appena la congiuntura muterà, con la guerra di Spagna, egli tornerà non solo a ribadire la diversità ma ad elaborare e ad anticipare una linea del pluralismo e della democrazia opposta a quella dell’Urss e che riverserà nella teoria e nella prassi del processo costituente, della Costituzione, e del Pci), la cauta astuzia nel rimuovere gli ostacoli frapposti dai funzionari troppo zelanti o troppo fanatici, le stesse «accortezza e decisione», corrispondono a tante altre testimonianze date da testimoni diretti: un dirigente esperto e distaccato (esteriormente), mai invischiato in lotte di frazione, anzi spesso sollecito ad intervenire a favore di quanti, nel passato oppostisi a lui, di ciò subivano le dure conseguenze.
«Togliatti era un uomo a cui non faceva velo alcuna illusione… colpiscono la sobrietà e la crudezza delle analisi. Il suo è un realismo attivo: fare i conti con la realtà per lui vuol dire raccogliere le forze reali, per quanto ridotte, disperse, divise, iniziare con esse un lavoro di lunga durata per un obbiettivo lontano, cui si giunge attraverso vie diverse e molteplici; nella vittoria sfruttare il successo, nella ritirata combattere battaglie di retroguardia, nella sconfitta ricominciare con l’organizzazione della lotta dopo aver salvato tutti i quadri salvabili».
Quello che Fischer fissa come ritratto di Togliatti è l’elemento di consapevolezza protesa verso il futuro che ce lo fa vedere attivo e operante in quegli anni in cui, riferisce sempre Fischer, Togliatti disse che occorreva salvaguardarsi «dall’errore di considerare l’orrenda caricatura davanti alla quale ci trovavamo, come l’essenza del comunismo». «Tutto ciò – gli disse Togliatti – è diventato un intrico così impenetrabile che nessuno era più in grado di racapezzarcisi… non si poteva spiegare tutto con i nemici… c’erano di mezzo anche altre cose, vecchie rivalità, ambizioni senza principi, manie di persecuzione… e tutto ciò era diventato una sorta di meccanismo sfrenato che schiacciava gli uomini». «Un tragico periodo di transizione condizionato dal concorso di circostanze molteplici, un temporaneo oscuramento di ciò a cui anelavamo». E Togliatti aggiunse che non si doveva «trarne false conclusioni, ma apprendere una cosa per il futuro: «Se noi un giorno torneremo nei nostri Paesi, bisognerà fin dall’inizio avere la consapevolezza di una cosa: lotta per il socialismo significa lotta per una maggiore democrazia. Se noi comunisti non saremo i democratici più conseguenti, saremo superati dalla storia».
Ciò che Fischer riporta di Togliatti è presente in tutta la sua elaborazione che dalla guerra di Spagna in poi lo pone in contrasto strategico con il Comintern. Comintern che non a caso egli rifiuterà di tornare a dirigere (nonostante nel Pci la destra amendoliana, innanzitutto, lo volesse spingere nelle braccia di Stalin).
La descrizione di Aldo Natoli (la Repubblica del 14 marzo 1979, ripresa nel libro di Canfora sopra citato) corrisponde anch’essa a quella di tanti: «il piu grande tattico del movimento comunista internazionale» – secondo la nota definizione di Lukasc – per essere tale non poteva che essere anche un grande stratega, che guarda e vede lontano, e si muove di conseguenza.
La questione, quindi, non è soltanto di quello che Togliatti poteva fare o non fare a favore di uno o di un altro, la questione va vista e posta nel ”fuoco” del dilemma reale che gli si pose, ovvero del fatto che sottraendosi e aprendo il conflitto con Stalin egli non soltanto avrebbe perso la vita ma non avrebbe potuto
costruire quel partito comunista della guerra e del dopoguerra, originale, forte, grande, sul quale poi hanno campato di rendita per decenni (fino ad oggi) tutte le forze politiche e sindacali. Non avremmo avuto quella democrazia avanzata, democrazia sociale e antifascista, che ha fatto dell’Italia un “unicum” nel panorama internazionale, una versione istituzionale della strategia sociale dell’antifascismo anticapitalistico, fuori dagli schemi della liberal-democrazia che regge il sistema del capitalismo occidentale anglosassone. La democrazia in Italia definita dalla Costituente del 1948, che è il prodotto – caso unico nel panorama mondiale di qualsivoglia lavoro costituente – del contributo non di giuristi ma innanzitutto del contributo teorico e politico di Togliatti, appunto, di
Dossetti, (nonché di Basso), del confronto dialettico fra le loro e quelle di altri culture e teorie politiche, politiche e non giuridiche.
L’allineamento di Togliatti a Stalin è stato pertanto contraddetto positivamente dall’introduzione della Costituzione del ’48, dall’elaborazione togliattiana della strategia della democrazia progressiva, tesa a sviluppare la democrazia formale in democrazia sostanziale con la lotta nel Paese e nelle istituzioni e, come negli anni ‘60-‘70, a trasformare i rapporti sociali, assumendo la democrazia di massa e di base (dal basso e consigliare) come via e al tempo stesso come sostanza del
socialismo.
La crisi attuale della sinistra – contrariamente a quanto sostenuto dagli antitogliattiani secondo i quali la crisi discenderebbe dalle responsabilità di Togliatti – è tutta riconducibile all’abbandono del marxismo e al tatticismo esasperato dei Ds, del Pdci e di Rifondazione Comunista.
Tutte conseguenze dell’abbandono dell’impostazione Togliatti-Gramsci, culminata nella fase successiva alla morte di Berlinguer con l’abbandono di una concezione “classista” dei rapporti tra società civile e società politica, da cui la vera origine dello snaturamento e della crisi della democrazia italiana. Un abbandono, un arretramento storico e un rovesciamento culturale totale, resi evidenti dalla scelta di entrare a far parte del sistema di potere capitalistico
compiuta dai vertici del Pci-Pds-Ds e della Cgil, che hanno occultato tale decisione, di non essere più forze incompatibili col sistema, dietro la crisi del “soviettismo”. Mentre in realtà quella scelta fu fatta quando, insediata la segreteria di Occhetto e criticando Berlinguer, si aderì alla linea craxiana della “modernizzazione” e delle “riforme istituzionali” auspicate dalla P2 di Gelli per controriformare la Costituzione.
Costituzione che deve essere rilanciata e non già “toccata”, come si vuol fare anche da sinistra. Così favorendo il revanscismo teorico che unisce una destra variegata, tesa a riproporre i valori gerarchici del privato e dell’economia, per coniugare “autoritarismo sociale” dell’impresa e “autoritarismo politico”
delle istituzioni.
Un “revisionismo costituzionale” e teorico insito nel “revisionismo storiografico”, volto, criminalizzando Togliatti, a delegittimare e a criminalizzare l’idea stessa di rivoluzione, socialista, ma non solo, perfino democratica e antifascista. Per cancellare ogni ideale comunista e giustificare l’abbandono sia della Carta del ‘48 sia del gramscismo e di una strategia comunista come quella togliattiana che si è dimostrata la più feconda di risultati e di conquiste sul piano sociale e della democrazia.
Gli iscritti all’ex Pci:
Giovanni Caggiati (Parma), Giovanni Chiellini (Firenze), Domenico Chirico (Napoli), Angelo Ciampi (Locarno), Letizia De Franco (Bologna), Salvatore D’Albergo (Roma), Cini Gabriele Gilardi (Milano), Vittorio Gioiello (Milano), Luigi Grimaldi (Udine), Fabio Lupi (Pisa), Andrea Montella (Pisa), Walter Montella (Milano), Franco Narrifatti (Bologna), Gerardo Padulo (Salerno), Angelo Ruggeri
(Varese), Dante Travaglini (Bologna), Aldo Visco Gilardi (Roma), Laura Zucchini (Bologna)
inoltre:
Michele Baroni (Pdci, Pisa), Paola Baiocchi (ex Ds, Pisa), Alessandro Gagliardo (Catania), Giancarlo Martinelli (ex Ds, Milano), Elena Montella (Pisa), Raul Mordenti (Rifondazione Comunista, Roma), William Pedrini (ex Dp Bologna), Raffaele Simonetti (ex Ds, Milano)
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