L’argomento pensioni dominerà le prossime settimane, anche una piccola revisione della Legge Fornero determinerebbe l’uscita anticipata di migliaia di lavoratori e lavoratrici dal mercato del lavoro
A distanza di 10 anni, sembrerebbero tornare le uscite di anzianità con la “quota” , ossia sarà possibile andare in pensione con “quota 100”. Un anticipo, pur piccolo, dell’età pensionabile rispetto alla Fornero ma sicuramente piu’ anni saranno necessari rispetto alla famosa quota 95\7 della riforma Damiano.
Non è ancora chiaro lo scenario in cui si muoverà il Governo, sicuramente il nodo saliente è costituito dalla copertura economica, nessuno tuttavia sta parlando del ripristino del sistema retributivo che determinerebbe un importante aumento del potere di acquisto dell’assegno previdenziale ma allo stesso tempo causando spesa aggiuntiva che porterebbe l’Italia in rotta di collisione con l’Ue.
La Ragioneria generale dello Stato, nel Rapporto redatto poche settimane fa, parla di aumento incondizionato della spesa per le pensioni che già oggi corrisponde al 15% del Pil.
Ma attenzione a non cadere nel pericoloso equivoco di ritenere che una pur piccola revisione della Fornero significhi andare in pensione troppo presto, del resto per raggiungere quota 100 sono necessari almeno 60 anni di età e 40 di contributi, anche se ci sarà da capire come intendono modulare la nuova riforma. Siamo lontani anni luce dai tempi nei quali esistevano le baby pensioni per le statali con prole (bastavano 15 anni di contributi) ma lontani sono anche i tempi della Riforma Amato che almeno prevedeva il limite dei 60 anni per le donne e dei 65 per gli uomini. Diciamo almeno perchè con l’aspettativa di vita il rischio è di andare in pensione, tra meno di 20 anni, a 70 anni di età e ormai la differenza tra uomini e donne è irrilevante.
Anche la futura riforma delle pensioni si muoverà nel solco delle precedenti, nessuna rottura con la Legge Dini che introdusse il sistema di calcolo contributivoeccezion fatta per chi aveva piu’ di 18 anni di contributo al 31 dicembre 1995. Del resto sono oltre 10 anni che i vari Governi, da quelli di destra al Pd, si muovono per contenere la spesa previdenziale aumentano i contributi necessari e innalzando l’età minima. Le finestre sono comunque un segnale di cambiamento rispetto al Governo Monti che cancello’ le anzianità innalzando i requisiti di vecchiaia (67 anni dal 2019). Lo stesso Governo Renzi poi ha continuato sulla medesima strada inventandosi l’ Ape sociale che poi è stato un clamoroso fallimento.
Per scoraggiare il Governo dall’intervenire sulle pensioni le stanno provando di tutte, ha iniziato l’Ue, poi la Ragioneria dello Stato e in parte l’Inps e ora arriva la notizia che applicando la quota 100 e per ogni anzianità aggiuntiva saranno necessari i contributi di cinque lavoratori.
Un autentico spauracchio visto che all’orizzonte non si intravede nuova occupazione, i posti di lavoro creati sono ancora troppi pochi e per lo piu’ precari.
Cosa accadrà allora? Di sicuro resterà inalterato il sistema contributivo, il ritocco con la quota 100 potrebbe avere dei tetti imposti all’età anagrafica o determinando il calcolo di tutti i contributi , anche quelli antecedenti al 1995, con il solo sistema contributivo. Il cantiere previdenziale è aperto e l’incognita è quella di come finanziare la eventuale quota 100, se la merce di scambio saranno tagli al welfare , alla sanità e all’istruzione magari mascherati dalla spending review.
Perchè in tal caso, diciamocelo senza timori di smentita, sarebbe un fallimento e non una vittoria, pagheremmo pochi mesi di anticipo dell’età pensionistica con tagli e il molto probabile rincaro di tante tariffe.
17 settembre 2018