di: Antonella Napoli
In Turchia non c’è pace per i giornalisti. Questa volta a finire nelle galere turche, semplicemente per aver fato il proprio mestiere, un collega austriaco di 29 anni, Max Zirngast, accusato di appartenere a un’organizzazione illegale.
Zigmast era stato arrestato l’ 11 settembre dalla polizia anti-terrorismo e venerdì scorso un tribunale turco ha confermato la custodia cautelare contestandogli di essere membro del gruppo Kivilcim, vicino al Partito Comunista Turco (TKP), che la Turchia ha bandito e considera un’organizzazione terroristica.
Il giornalista austriaco si era da poco diplomato all’Università tecnica del Medio Oriente ad Ankara in Scienze politiche e filosofia. In contemporanea stava realizzando un’inchiesta sul post elezioni e aveva chiesto un’intervista a Hikmet Kivilcimli, leader comunista turco e intellettuale marxista. Questa sua iniziativa ha suscitato l’interesse dei servizi di sicurezza che lo hanno segnalato alle autorità giudiziarie. Interrogato sui motivi per cui avesse cercato Kivilcimli, il 29enne austriaco ha dichiarato che era per una presentazione universitaria.
Non è la prima volta che Zigmast finisce nei guai per il suo lavoro. In passato aveva scritto articoli critici sul presidente turco Recep Tayyip Erdogan e pubblicato pezzi sul giornale del Kurdistan Workers Party, considerato fuorilegge.
Da quando è arrivato ad Ankara per completare i propri studi, il giornalista si è progressivamente impegnato in reportage sugli sviluppi politici e sociali in Turchia collaborando con portali di critica radicale come ReVolt Magazine e Jacobin. Zigmast, inoltre, partecipava a numerose iniziative e seguiva la campagna del partito d’opposizione progressista HDP. Si era poi lasciato coinvolgere nell’organizzazione di campi estivi per i bambini delle famiglie povere curde, attirando sempre più l’attenzione dei servizi di sicurezza.
Ma a far scattare l’arresto, secondo il suo avvocato, potrebbe essere stato un recente editoriale del giovane reporter con il quale definiva ‘illegittime’ le elezioni del giugno scorso, riportando notizie di manipolazioni e di brogli elettorali.
Le organizzazioni in difesa della libertà di stampa e attivisti per i diritti umani hanno condannato il fermo di Zigmast, come d’altronde non ha esitato a fare il governo austriaco. Il cancelliere Sebastian Kurz ne ha chiesto l’immediata liberazione pretendendo chiarimenti in merito.
Dal tentativo di colpo di stato del luglio 2016, il governo di Erdogan ha intrapreso un’ondata di arresti e condanne di giornalisti per presunti collegamenti terroristici. Sono almeno 170 gli operatori dell’informazione attualmente in carcere in Turchia.
Ma non è solo la stampa tra gli obiettivi delle operazioni contro la presunta rete golpista di Fethullah Gulen.
A oltre due anni dal fallito golpe le procure generali di Istanbul e di Ankara continuano a spiccare mandati di cattura. La settimana scorsa nella capitale turca sono stati eseguiti 61 arresti nei confronti di militari delle forze terrestri e navali accusati di essersi infiltrati nell’esercito per conto dell’organizzazione eversiva.
Un’altra operazione è stata condotta a Istanbul, dove blitz in 24 quartieri hanno portato all’arresto di 21 sospetti gulenisti che avrebbero reclutato nuovi membri dell’organizzazione e utilizzato ByLock, l’app di messaggistica impiegata secondo gli inquirenti dai golpisti per scambiarsi informazioni criptate la notte del tentato push.
Una repressione ininterrotta nonostante dallo scorso luglio sia stata decretata la fine dello Stato di emergenza.
Per quanto si propagandi lo ‘Stato di diritto riconquistato’ dai cittadini turchi, nulla sembra essere cambiato. Violazioni di diritti e limitazioni di ogni genere vengono imposte in ogni ambito della società civile in Turchia e chi prova a contrastarle finisce in carcere.
24 settembre 2018