Da sabato diecimila persone camminano dall’Honduras: vogliono pane e lavoro, vogliono arrivare in “America”, negli Usa, a piedi.
Cento mani afferrano il cancello, cento mani sporche gli danno una spinta, spingono e tirano e fanno forza insieme. Tutto intorno bambini, donne, uomini, la pioggia e il fango gridano: “Messico, Messico!”, poi di colpo le sbarre di metallo cadono a terra e allora mille piedi le calpestano di rabbia e furore e un urlo di liberazione esce dai corpi in festa e copre il rumore delle trombe la stadio.
La frontiera è caduta, migliaia di persone corrono di fronte a quattrocento poliziotti messicani e attraversano il fiume.
Vengono da San Pedro Sula, dall’Honduras, e hanno deciso di andare a piedi fino agli Stati Uniti per trovare pane e lavoro. Finora hanno attraversato il Guatemala e ieri almeno in tremila sono entrati nel Chiapas, in Messico, dal passo di Tucán Umán, sulla costa del Pacífico. A questi tremila migranti mancano ancora mille ottocento chilometri fino al Texas, il cammino più breve, come da Portopalo a Stoccarda. Fra loro c’è anche gente da El Salvador, il Guatemala, è il Centroamerica che si rivolta contro la disoccupazione e la violenza delle mafie e decide di migrare. Secondo la Banca Mondiale, in Honduras nelle zone di campagna una persona su cinque vive con meno di due dollari al giorno. E chi sta nei quartieri delle città vive la statistica dei morti ammazzati: quarantatré ogni centomila abitanti.
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Mario Murillo prova ad attraversare la frontiera. Una mano con le unghie smaltate lo prende, è una poliziotta, e lui ha solo dodici anni. Mario voleva andare negli Stati Uniti a studiare.