Presentato a Roma “Il Patto Sporco” scritto con Saverio Lodato
di Aaron Pettinari – Video e Fotogallery
“La sentenza del processo sulla trattativa Stato-mafia si interseca in maniera fondamentale con le stragi del 1992-1993 e da qui dovrebbe ripartire lo slancio per comporre il percorso di verità sulle stragi. Mai siamo stati così vicini alla possibilità di completare quel percorso di verità, individuando una responsabilità al di fuori di Cosa nostra. Mancano alcuni passi ma devono essere fatti in maniera corale, senza lasciare il compito a pochi magistrati isolati. Serve intelligenza e determinazione in sede giudiziaria, politica ed istituzionale. Il grande silenzio dopo la sentenza e l’assenza, allo stato, di segnali precisi nel senso di un rinnovato slancio nella ricerca di verità mi fanno pensare che questo Paese ha ancora una voglia insana di archiviare per sempre quella pagina buia del suo recente passato, come se bastassero queste verità acquisite che sono importanti ma che, ne sono convinto, sono anche parziali”. Scandisce ogni parola, il sostituto Procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo, durante il suo intervento alla libreria Ibis+Libraccio di Roma, per la presentazione del libro scritto con Saverio Lodato, “Il Patto Sporco” (ed. Chiarelettere). In tanti erano presenti per ascoltare le parole del magistrato che assieme ai pm Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia ha condotto l’accusa nel processo di Palermo, giunto lo scorso 20 aprile a sentenza. Una sentenza in qualche maniera storica, come hanno ribadito tutti i relatori (oltre agli autori sono intervenuti il direttore de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Travaglio, e l’attore e regista Pierfrancesco Diliberto, anche noto come Pif), non solo per le condanne che sono state emesse nei confronti degli imputati mafiosi, dei politici e dei rappresentanti delle istituzioni ma proprio per la visione di insieme che viene offerta in cinquemila pagine di motivazioni di sentenza. “Il Patto Sporco” non solo mette in fila le vicende del processo ma allarga l’orizzonte per offrire quella che Saverio Lodato chiama “una visuale dall’alto che sappia anche guardare al passato remoto”. Un libro in cui vengono descritti i fatti e le sensazioni avute in cinque anni di dibattimento. Anni difficili, fatti di attacchi gratuiti, indecenti e gravi come il Conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale contro la Procura di Palermo. Un caso senza precedenti. Con le letture di alcuni stralci del libro Carmelo Galati e Lunetta Savino sono riusciti immediatamente a proiettare i presenti in un altro luogo come se fossero spettatori di quello scambio di pensieri e considerazioni che vedeva di fronte un giornalista (Saverio Lodato) ed un magistrato (Antonino Di Matteo) che per anni si sono occupati di mafia, stragi ed omicidi eccellenti.
Pif: “Perché negare sempre?”
Di fatto è stato Pif ad introdurre il tema della serata, con domande semplici di chi vuole capire e comprendere. “Leggendo questo libro si scoprono una serie di cose – ha detto il regista de la “Mafia uccide d’estate” – Ho sempre la sensazione che se si guardano i singoli casi, i fatti di magia, gli omicidi di mafia, la politica, non capisci. Manca sempre una prova. Poi se guardi tutto dall’alto, partendo dalla seconda guerra mondiale fino ad arrivare ai giorni nostri, trovi una linea logica e tutto sembra più chiaro. Allora capisci che non c’è solo la mafia. Ci sono gli incastri con storici politici che hanno permesso di arrivare fin qui”. “La domanda che mi sono sempre fatto è perché si nega sempre, anche di fronte all’evidenza di una sentenza? – ha proseguito – In questo processo si certifica che vi è stata una trattativa ma già prima proprio le persone che erano inizialmente solo sospettate avevano ammesso di aver trattato con la mafia, parlando degli incontri con Ciancimino. E allora perché si è negato per tanto tempo?”. Pif ha poi voluto sottolineare “il coraggio di quei magistrati che si sono scontrati con il potere, quello vero. Non parlo dei poteri forti, ma del potere reale. Il coraggio di certi magistrati di interrogare anche ex Presidenti della Repubblica, mettendosi contro tutti. Un aspetto che dovremmo ricordare più spesso”.
Travaglio: “Si è aperto il mar Rosso. È questo il tempo per conoscere i pezzi mancanti della storia”
A certi interrogativi ha offerto una chiave di lettura Marco Travaglio che ha evidenziato come domenica scorsa, il direttore di La Repubblica, parlando dell’assoluzione del sindaco di Roma Virginia Raggi avesse fatto un paragone con “l’assoluzione” di Giulio Andreotti. “Ancora oggi – ha ricordato Travaglio – c’è una legge ferrea per cui la grande stampa ed il secondo giornale italiano non può dire veramente le cose come stanno su Andreotti che non fu assolto. Figurarsi se cose simili non accadono per sentenze che riguardano i ‘vivi’. Oggi abbiamo l’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato che è giudice della Corte Costituzionale. C’è ancora Silvio Berlusconi, Presidente del consiglio del terzo ed ultimo governo a cui, tramite Dell’Utri, furono consegnate le richieste della mafia. Berlusconi ancora oggi è leader di Forza Italia e immediatamente dopo la sentenza del 20 aprile è stato ricevuto più volte al Quirinale per le consultazioni del Governo. Questo dunque è un processo popolato di vivi che hanno ancora il potere e che non sono ancora andati in pensione”. Travaglio nel suo intervento ha anche ricordato tutti gli episodi che hanno riguardato il Generale Mario Mori, dall’incontro con Ciancimino, alla mancata perquisizione del covo di Riina ed i mancati blitz a Terme Vigliatore e Mezzojuso per arrestare i boss Nitto Santapola, prima, e Bernardo Provenzano, poi. “Nella sentenza – ha proseguito il direttore de Il Fatto Quotidiano – si dice chiaramente che quel dialogo, per capire cosa fosse il ‘muro contro muro’ ha rafforzato la convinzione di Riina che le stragi pagassero. Infatti ci sono state via Fauro a Roma, via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano e le due basiliche a Roma. E il 23 gennaio 1994 doveva esserci l’attentato allo Stadio Olimpico per colpire i carabinieri. Tutto questo si ferma con l’arrivo di Berlusconi e questo è un fatto”. Continuando a parlare di Mori, Travaglio ha ricordato proprio le parole dell’ufficiale del Ros durante il processo di Firenze, in cui parlò lui stesso della trattativa con Ciancimino. “Lo ripete tre volte – ha proseguito – E’ ovvio che non può essere stata un’iniziativa individuale di due carabinieri quella di trattare con Ciancimino venti giorni dopo la distruzione dell’autostrada di Capaci. E’ ovvio che li ha mandati qualcuno che stava al Governo. Questo signore nonostante gli svariati errori commessi diventa generale, vice comandante del Ros e poi persino capo del Sisde, il servizio segreto civile. Perché in questo Paese funziona al contrario, sbagli e arrivano promozioni”. Infine Travaglio ha anche lanciato un messaggio di speranza per la ricerca della verità tenuto conto che, dopo le elezioni del 4 marzo scorso, si è aperta una nuova fase storica: “Sono state messe fuori gioco il centro sinistra ed il centro destra. Certi crimini di Stato sono stati processati solo quando c’è stato una fase di passaggio. E’ accaduto con Tangentopoli per la prima repubblica. Può accadere ora. Siamo in un momento chiave dove certe omertà si sono allenatate. Si sono aperte le acque del Mar Rosso. Abbiamo pochi attimi prima che si rialzino quei vecchi poteri. E’ il momento in cui si può sperare che qualcuno di quello Stato che conosce come sono andate le cose ci dica il resto della storia, quei pezzi mancanti. E’ rimasto pochissimo tempo”.
Di Matteo: “Necessario rompere il silenzio su certi fatti”
Il sostituto procuratore nazionale Antimafia, Nino Di Matteo, ancora una volta è tornato a evidenziare come la vicenda della “Trattativa” ancora oggi sia “scabrosa per il potere” tanto che in questi anni vi sono stati più atteggiamenti. Quello negazionista, nella sua prima fase, quello giustificazionista, quello di attacco nei confronti dei magistrati accusati di essere politicizzati o fantasiosi. “Gli attacchi sono giunti da destra, centro e sinistra – ha ricordato – autorevoli giuristi, seguiti da giornalisti, hanno descritto questo processo come una ‘boiata pazzesca’. Poi, dopo la sentenza, dal travisamento dei fatti si è passati all’assoluto silenzio. Poche pagine sono state scritte dopo il deposito delle motivazioni della sentenza, il 19 luglio scorso, e il muro di gomma si è fatto sentire nonostante quanto consacrato dai giudici in una sentenza pronunciata nel nome del popolo italiano. E l’obiettivo di questo libro è proprio quello di rompere il muro di gomma del silenzio”.
Di Matteo, che ha anche letto alcuni passaggi della sentenza, ha dichiarato che “nel corso della storia vi sono stati tre momenti cardine. Il primo è stato il maxi processo, dove viene riconosciuta per la prima volta l’esistenza e l’unitarietà come struttura verticistica di Cosa nostra. Poi c’è stato il processo Andreotti, dove in sentenza si dimostrano i rapporti tra il sette volte Presidente del Consiglio e i capi mafia di Palermo con incontri prima e dopo l’omicidio di Mattarella. Poi c’è il processo sulla trattativa che ha chiuso il cerchio perché dimostra che i rapporti tra la mafia e le istituzioni non sono sempre stati fisiologicamente conflittuali ma spesso la mafia e le istituzioni hanno instaurato e cercato la via del dialogo, della mediazione e del compromesso”. Uno dei passaggi chiave nella sentenza, secondo il magistrato, è quello in cui si certifica “l’accelerazione che ha portato alla strage di via d’Amelio. Si scrive che è provata e che proprio l’esser venuto a conoscenza della trattativa ha portato a questa accelerazione. E parlare di queste cose significa parlare anche dell’agenda rossa dove è dimostrato da prove indiscutibili che Paolo Borsellino scriveva e annotava le sue sensazioni, i suoi timori e le sue conoscenze. E questo avveniva nel periodo in cui si stava verificando la trattativa”. Altro punto importante, inoltre, riguarda “il dato che i giudici scrivono che il governo Berlusconi, tramite Dell’Utri, ha ricevuto le richieste di Cosa nostra. I giudici dicono che quel governo ha tentato di adoperarsi, non riuscendoci, per motivi che non dipendevano dalla volontà del Premier. E si scrive anche che il Presidente del Consiglio continuava a pagare Cosa nostra come aveva fatto negli anni Settanta, ingenti somme di denaro. E questo avviene nel tempo in cui Cosa nostra fa le stragi. Allora, forse, si spiega perché certe sentenze sono scomode”. Infine Di Matteo ha evidenziato i silenzi istituzionali di quei politici che hanno parlato “solo dopo che era stato ascoltato il figlio di un mafioso, Massimo Ciancimino, mentre quando erano stati sentiti in altri processi nulla avevano detto su certi fatti”. Silenzi che hanno riguardato anche la magistratura quando ci sono stati attacchi come il conflitto di attribuzione del Quirinale sul caso delle intercettazioni casuali tra Napolitano e l’imputato, al tempo indagato, Nicola Mancino. “Nessuno dall’Anm, dal Csm ha avuto l’onestà intellettuale di dire che quella medesima situazione era capitata in altri episodi, proprio con lo stesso Napolitano e con Scalfaro. Nessuno ha chiesto perché si stavano adottando due pesi e due misure. Ugualmente nessuno ci ha difeso quando abbiamo chiesto di sentire il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ci hanno accusato perfino di essere stati assassini e responsabili della morte del consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio. Ci fosse stato qualcuno che avesse detto ‘tuteliamo la dignità o il lavoro del magistrato’. Perché la magistratura non ha reagito in quel momento? Perché è scesa in valutazioni di opportunità politica”.
Saverio Lodato: “Oggi noi sappiamo e abbiamo le prove”
Appassionato, come sempre, l’intervento di Saverio Lodato. Citando Sciascia, Pasolini e Dacia Maraini ha sottolineato quanto nel tempo sia cambiata la consapevolezza su certi misteri d’Italia. “Cosa è cambiato con questa sentenza di primo grado? Per la prima volta ci sono pesanti condanne contro uomini politici e rappresentanti di certi apparati dello Stato. Noi oggi possiamo dire non solo che sappiamo ma anche che abbiamo le prove perché ci sono cinquemila pagine di motivazioni di sentenza che ci fanno capire come fossero convergenti le ricostruzioni della accusa e come fossero convergenti propri a significare del fatto che in Italia si trattava di nascosto perché non c’era il coraggio di trattare apertamente con la mafia. E’ questo il punto di fondo della domanda di Pif. Si ostinano a negare perché oggi la storia del nostro Paese non può essere più raccontata come era avvenuto negli ultimi Settant’anni. Non si può raccontare più la favola di una mafia contro lo Stato e di uno Stato contro la mafia”. “Oggi – ha proseguito – dobbiamo dire che tutti quei magistrati, politici, funzionari di polizia, carabinieri, giornalisti, imprenditori e sacerdoti che sono stati uccisi dalla mafia non furono ammazzati avendo le spalle coperte dallo Stato o dai corpi di appartenenza”.
Lodato ha ribadito come “il silenzio che c’è attorno al processo oggi è direttamente proporzionale al chiasso, al rumore, alla canea e alla propaganda che per cinque anni hanno accompagnato il processo di Palermo”. Quindi ha ricordato gli attacchi di certi giornalisti contro il processo: “‘Quando è in corso una guerra, una trattativa tra le parti è pressoché inevitabile per evitare i danni. Qual’è il reato che si cerca dunque?’ scriveva sul suo giornale Eugenio Scalfari. Lo faceva mentre il Quirinale accusava i pm di Palermo. Assieme a lui sostenevano cose simili altri giornali; Giuliano Ferrara, Giuseppe Sottile, Mulé, Deaglio. Dopo la sentenza come mai Scalfari non prende atto che il reato è stato trovato che le condanne ci sono state e che forse è stata riscritta la storia di settant’anni di antimafia in questo Paese”. Quindi ha cercato di rispondere al perché dopo la sentenza è calato il silenzio. “Perché ormai si è capito che per Settant’anni non ci sono state differenze tra Stato e mafia, salvo qualche decisione autonoma e individuale al limite del sacrificio personale rappresentato dai martiri che ci sono stati. E oggi è difficile parlare di una sentenza. Perché si deve entrare nel merito delle cinquemila pagine di argomentazioni e, dottor Di Matteo, si dovrebbe entrare nel merito della sua vita blindata perché ci sarà una ragione se lei da 25 anni vive così in un Paese dove si dice apparentemente che la mafia non c’è più, ed è stata sconfitta. Evidentemente non è così perché ancora sono vivi molti dei quali furono mandanti, parte in causa, complici e collusi di pezzi di apparati dello Stato che allo stragismo hanno dato il loro contributo”. E poi ha concluso: “Il rapporto Stato-Mafia ha un cuore molto antico e non si parla perché, cinquant’anni dopo Pasolini, nei limiti del possibile di questa prima sentenza, noi oggi sappiamo perché abbiamo le prove”.
15 Novembre 2018